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7 - Il pignoratario

 

E' rientrato all'imbrunire, trascinando una cassetta di cartone piena di bottiglie vuote. E' tutto intento a far conti: si aggrotta, bisbiglia e punta perplesso le dita sulle labbra e sul mento.
La mia domanda lo ha distratto dai suoi calcoli. Non porge l'orecchio, ci sente benissimo, si può parlargli senza alzare la voce - anche se è vecchio come Matusalemme.
«Sì, già sono io quello che cerchi: Floris Celestino, domiciliato qui. Quanti anni ho, non me lo ricordo, ché sono molti e conti lunghi non ne so fare. E tu, se è lecito, chi sei?»

Minuto esile incartapecorito, nuota dentro un pastrano militare. Gli occhietti lucidi vivi nel volto affilato mi scrutano diffidenti. Si è messo con le mani tra gli stipiti, teso nel riquadro della porticina, a difendere la sua tana - una casupola di mattoni di fango e paglia sopravvissuta tra due nuovi edifici che non si capisce se la sorreggano o se la stritolino tra le loro spalle di cemento dalla bava pietrificata.
Ha finito per dimenticarsi dell'intruso, si è seduto sulla soglia con la scatola vicina e riprende a borbottare e ad articolare le dita conteggiando dieci bottiglie a venticinque lire l'una.
La cifra suggeritagli lo coglie di sorpresa e lo lascia perplesso. Deve essergli arrivata troppo veloce. Scuote la testa: «Um… duecentocinquanta lire… um», e solleva più volte il viso spostandolo a destra e a manca per cogliermi in controluce, nel riverbero del tramonto, e valutarmi. Sembra rassicurato.
Vede l'auto parcheggiata. «Ho capito», dice «tu sei venuto a vedere come sta. Già sta bene sì, adesso. Me l'hanno restituito proprio oggi».
Scruta il pacco che ho in mano. «Anche roba gli hai portato? Se è pane, te lo puoi anche riportare via. Pane non ne mangia». Lo prende e comincia a scartarlo, curioso. Appena vede profilarsi una bottiglia, la estrae e ne esamina il colore del contenuto. Scuote la testa soddisfatto. «Qualche goccio di vernaccia gli farà tornare le forze. Sta facendo freddo, quest'anno. Non sembra nemmeno il mese di aprile».
Ha perso ora ogni residua diffidenza. Spalanca la porta per farmi entrare più comodo. «Entra, entra, che parliamo meglio dentro».

Lo aiuto a sistemare la cassetta di cartone con le bottiglie vuote in un angolo dell'ingresso. Il cemento del pavimento è scrostato da molto tempo, ne restano qua e là alcune scaglie sulla terra battuta. Spostiamo le due sedie spagliate accanto all'uscio, al chiarore che ancora viene da fuori. Dal soffitto pende un residuo di portalampade, covile di mosche.
«Luce non ne ho più. Me l'hanno staccata quelli che vanno in giro a passare le bollette. Ai poveri fa bene stare al buio. Più stanno al buio, meno vedono e meno desideri fanno. Una cosa io l'ho sempre desiderata: di non morire solo come un cane. No, io non sono di qui, sono nato vicino a Cagliari. Il consumato di babbo si era trasferito in questo posto per fare il pescivendolo. Di ventiquattro figli siamo rimasti in due fratelli. Eh, sì, ventiquattro. Senza contare quelli sparsi, ché il consumato di babbo vendeva pesci ma ne regalava anche, in giro per i paesi. L'altro fratello sta nel Capo di Sopra. Sono più di trent'anni che non ne so notizia, dalla volta che l'avevano trovato con un paio di porcetti dentro il sacco. Era già buio e non aveva bollettino, così avevano pensato male e ne ha fatto quasi tre anni di galera».
Si interrompe. «Compatiscimi per un poco, torno subito», dice. Si alza e sparisce sul fondo, dietro uno straccio di tenda.

Rientra cinque minuti dopo, ilare. «L'appetito già non gli manca, grazie a Dio». Siede a schiena diritta, il vecchio, e guarda con occhietti vispi.
«Fumare? Non ne fumo di quella roba dolce, io. Ma se non ti offendi, la prendo lo stesso e la conservo. Che mestiere faccio? Il girovago. Giro da quando ero bambino. A vendere di tutto. Raccogliere e vendere. Conosco tutti i letamai della zona. Prima ho cominciato a vendere pesci. Mi portava con lui il consumato di babbo. Mi lasciava in piazza col cesto aperto e se ne andava nelle osterie o a correre, dietro le siepi. Gira gira, trovi solo fame. Ci vogliono i mezzi, per vendere pesce. Al tempo mio, andavo con la corbula attaccata al cappuccio di sacco dietro le spalle. D'estate, prima di finire il giro, il pesce già puzzava, e anche io puzzavo. Sparlotti del golfo, specialmente. Vivevo a sparlotti, nella stagione loro che è adesso. In occasione di feste, prima un po' di guadagno c'era. Finita l'affluenza della gente, restavano a dozzine le teste dei muggini arrosto. E duravo una settimana a teste di muggini e ravanelli. Passata la prima guerra, giravo con la carriola che mi aveva venduto la vedova di un muratore che non era ritornato. Facevo meno fatica e caricavo tre ceste. Poi è venuta l'altra guerra, e anche i pesci si erano messi in divisa, con la tessera. A venderli non faceva più liberamente, se no uno andava in prigione. Allora ho cambiato e mi sono messo col ferro vecchio. Così mi sono comprato un carretto da uno che gli era morto l'asino. Una specie di ambulante sono. Giro sempre in tondo, e il giro è sempre più piccolo e finisce dentro la fossa… Adesso che sono vecchio mi hanno regalato il compagno, ché da solo non ce la facevo più a tirare il carretto. Mi hanno chiamato col brigadiere, quelli che comandano. Io subito ho pensato a una disgrazia, ma mi sono fatto coraggio e ho detto che venivo pronto. Il brigadiere mi ha portato davanti a tutta la giustizia parata. C'erano tutti insieme, e dalla faccia sembravano allegri. Però io non mi fidavo molto, ché quelli fanno una faccia e invece ne hanno un'altra. Mi hanno detto: - Coraggio, allegria! che noi il cuore ce l'abbiamo buono e non credere che non ci pensiamo a quelli bisognosi. Guarda che bel regalo ti abbiamo fatto. Tienilo bene, che porta la benedizione di Monsignore qui presente. - Non ci volevo credere, io… Così il lavoro si è alleggerito, e faccio visita a tutte le botteghe. Cartone e anche cassette di mercato. Le cassette le rivendo a trentacinque l'una. Se te ne servono, per qualunque cosa che sia, sono utili - adesso ti conviene, che ce ne sono molte in cortile, ferme da tutti questi giorni. A te posso fare anche trenta… Il cartone me lo danno i bottegai, quando finiscono pasta e zucchero. Il ferro non va più, adesso. Neanche una scheggia. Ci vorrebbe un'altra guerra, ci vorrebbe. Allora sì frutterebbe tutta quella roba ammucchiata nei cortili e nei letamai. Dicono che il ferro serva per fare bombe. Io già lo so a chi dovrebbero metterle, le bombe. Bombe e dinamite!… Eh, sì, guerra non ce n'è adesso - così dicono. Ma una specie di guerra c'è sempre, per combattere la vita. La fame arriva a prenderti per il collo, peggio degli austriaci… Nella grande guerra fame ce n'era di meno. Quasi tutti i giorni la gavetta di minestra e di tanto in tanto scatoletta. E anche liquore, di quello forte, per rafforzare le ginocchia prima di correre ad ammazzare austriaci. Brutte bestie, gli austriaci. Razza di banditi appostati nei monti e nei boschi. A noi ci avevano mandato per servire la giustizia per ordine del re. Io ne ho fatto poco o niente. Mi avevano preso quasi subito… Non mi ricordo quasi nulla della guerra. Tutto il santo giorno sbucciando patate e schiacciando pidocchi in quel concentramento o come diavolo lo chiamavano, senza poter parlare con nessuno perché era un casino di gente che non si capiva l'uno con l'altro nel modo in cui parlavano. Chissà di quali interni erano,tutti quei demoni gettati insieme. Facce di Giuda, ladri senza rispetto, dovevo stare col coltello sempre aperto, se no mi risvegliavo senza calzoni. Quando mi hanno lasciato andare, guerra non ce n'era più… Se mi hanno dato il sussidio? Una stoccata mi hanno dato! Così ne avessero dato ai figli del re! E l'altro giorno sono venuti a pignorarmi…».
Attraverso lo straccio di tenda, nel cortile, si è intravista un'ombra. Il vecchio ha l'udito fino. Si volta. «Nominatolo, l'angelo, eccolo apparire!», esclama giulivo, alzandosi. Si affaccia sul cortile, bamboleggiando: «Stai buono adesso, ho gente di rispetto. Vai, che roba da mangiare ne hai ancora, vai…».
Ritorna e riprende il racconto. «L'altro giorno… eh, l'altro giorno, brutto giorno è stato! È venuto di presto un signore con due carabinieri. Mi sono pensato: - Gesù Maria, qualche disgrazia grande. Ho creduto morto mio fratello che sta nel Capo di Sopra, oppure arrestato per causa brutta. Ma quelli: - Tu non hai pagato la tassa di casa. Se non paghi facciamo pignoramento. - Io ho detto: - E che cosa devo pagare, se è lecito? - E quelli: - Diciotto mila di casa. - Io mi sono sentito di fuoco sotto. Dopo però ho pensato che diciotto mila non li valgo neppure io con tutta la mia roba - branda materasso, coperta e due sedie. Lui ce l'ho in cortile e forse non lo sanno. Ho detto: - Fate il dovere vostro, ché io già non so niente. - E non sono andati diritti in cortile e mi hanno pignorato proprio lui? Colpo di palla li ferisca! già lo sapevano sì! Quelli sanno tutto: il mostrato e il nascosto. Ci hanno tutto scritto… Il carretto non l'hanno preso, malapasqua li colga! L'hanno solo guardato…».

Mi si fa più vicino, si guarda attorno circospetto e abbassa il tono della voce. Gli occhi gli si sono fatti acuti come spilli. «Eppure, io ho sempre pagato, anno per anno. Quando, non me lo ricordo di preciso, ma pagato ho. Ricevute non me ne hanno lasciato. Capisci come vanno le cose?! Triste grande e nero mi hanno lasciato. E Piriccu, lui, portato al macello… No, male no, non me l'hanno trattato male, questo non lo posso dire. L'hanno legato nel pezzo del cortile dove ci cresce erba. Ma Piriccu non ne mangia di roba cresciuta nei cortili. Allora gli hanno dato pane. Il pane non lo può nemmeno vedere, lui. Gli è andato in antipatia da quando siamo stati insieme a fare questua con padre Crisantemu, quello dei Cappuccini. Era tutto slombato, a furia di bisacce di pane. Mi aveva preso con Piriccu per opera di carità. Adesso anche Piriccu è vecchio e non ha più denti fermi. Gli ho trovato una specie di erba che gli piace più dei sommommoli zuccherati. A leccate se la mangia, proprio di gusto… Come un cristiano è, gli manca solo la parola. Quando mi sono visto solo, mi sono mancati i sensi ed è corsa gente dalle case vicine. Mi hanno spruzzato acqua in faccia, per far scendere il sangue dalla testa. Neanche lo so tutto il tempo che è passato, gettato nella branda. Non mi faceva cuore di assaggiare nulla, neanche di parlare, sempre pensando - Adesso il giro è finito e la fossa ce l'ho sotto già piena di vermi… - Sì, anime buone ce ne sono state, questo non lo posso dire. Come la figlia piccola di Raimondo, quello che aggiusta le ossa rotte. Ogni santo giorno veniva e mi portava una tazza di brodo caldo con un'esca di pane fresco, e mi faceva coraggio, diceva: - Piriccu già sta bene, lo ho visto io, è tutta una finta e dopo glielo riportano fino a casa. ma quando mai?! male non ne ha fatto a nessuno, e la giustizia niente gli deve fare… - Sono venuti anche i signori di fuori a prendere notizie di Piriccu e a fare fotografie, e anche loro mi hanno fatto coraggio: - Ma quando mai?! Un vecchio così, senza compagnia di nessuno, che cose così non ci dovevano essere neanche in Abissinia. - Allora la gente ha cominciato a muoversi e a mormorare e sono venuti i carabinieri per vedere che cosa era tutto quel movimento. E quando lo hanno saputo, sono entrati anche loro, hanno guardato tutto il posto senza dire bah. Solo uno che aveva gradi si è tolto il portafogli di tasca e mi ha messo soldi sotto il cuscino. Che Dio glielo renda nell'altra vita a più e più… L'hanno anche messo nel giornale, Piriccu. Me l'hanno portato per farmelo vedere. Era preciso uguale… Un po' dimagrito, ché non gli trovavano la roba giusta da mangiare… O forse il dispiacere gli toglieva la voglia, legato in quel posto straniero, lontano da casa… Questa mattina a presto me l'hanno riportato. Prima si sono presentati una brigata di signori che avevano la faccia allegra. Non ci stavano tutti, ché la casa, lo vedi, è piccola; e quelli di fuori battevano le mani. Ho avuto subito un presentimento buono, da come ho visto le facce. Uno mi ha detto: - Celestino, allegria! Ci abbiamo pensato noi. - Ce l'avevano nascosto dietro la porta, per farmi una improvvisata. L'ho sentito subito, Piriccu. Mi sono ritornate le forze e mi sono alzato…».

Piriccu si è affacciato sull'uscio, da dietro lo straccio di tenda, con le orecchie tese.
Il vecchio si volta e gli sorride. «Non gli piace stare solo. Mi segue di giorno e di notte, come un cristiano… E' come una creatura battezzata. Porta rispetto alla gente e anche alla casa, ché quando deve sporcare va nel posto suo… Se non ti è disturbo, lo faccio entrare e stiamo ancora a parlare, tutti insieme».
Accenno di sì con la testa.
Il vecchio si alza verso il fondo: «Vieni, Piriccu, entra, che ti faccio conoscere questo signore che è venuto a farci una visita di allegria…». Prende euforico la bottiglia di vernaccia dal pavimento e gliela mostra levandola in alto: «Guarda, cosa ci ha portato, guarda. Domani facciamo festa, e niente giro…».

 

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