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Un intellettuale fuori dal coro Ugo Dessy: il pensiero e l’opera                                                                 .
di Maria Marongiu


Un intellettuale fuori dal coro Ugo Dessy, scrittore e educatore

di Marinella Pisano



L'intellettuale e il potere Intervista con lo scrittore Dessy



Un intellettuale fuori dal coro Ugo Dessy: il pensiero e l’opera
di Maria Marongiu


Scrivere di Ugo Dessy non è facile. Non è facile descrivere il percorso della sua vita e del suo pensiero. Ugo Dessy ha sempre fatto scelte difficili, controcorrente. Il suo anticonformismo emerge sia nelle scelte di vita che nelle opere. Molteplici sono i suoi interessi di studioso e di ricercatore. Come pubblicista e scrittore ha affrontato in chiave critica i diversi aspetti della società. Nei suoi saggi si è occupato di politica, di sociologia, di etnologia, di pedagogia e metodologia didattica. La collaborazione con numerose riviste e quotidiani regionali e italiani, ha contribuito a far conoscere l'altra Sardegna fuori dall'Isola.

Un intellettuale fuori dal coro
Le sue analisi, fuori dal coro, sono ironiche pungenti e dissacranti e si rivelano sempre esatte. Come L'affaire Tangentopolis, pubblicato a puntate su questo giornale nel '92, dove anticipando i tempi, Dessy denuncia la prevaricazione del potere giudiziario sugli altri poteri dello Stato, la politicizzazione dei pubblici ministeri, la costituzione del partito dei giudici.
Negli anni '50 e '60, gli anni del grande esodo, dell’emigrazione forzata, Ugo Dessy vive per diverso tempo in Germania, in Svizzera, in Belgio e in Olanda. Sui suoi "taccuini di viaggio" annota le amare esperienze dei nostri fratelli esuli in terre lontane e spesso ostili. Il dramma dell'emigrazione dà spunto a Dessy per scrivere un saggio sulla tolleranza, I velenosi pascoli del pregiudizio, che viene pubblicato su Umanità Nova.
Fondamentale nella vita di Ugo Dessy è l’insegnamento, non solo per i suoi approfondimenti pedagogici e le applicazioni di metodologia didattica, ma soprattutto perché gli consente di conoscere il mondo dei ragazzi, coi quali vive quotidianamente, per anni, nei paesi dell'interno.
Di quelle esperienze conserva, oltre alla "memoria del vissuto", una imponente documentazione fotografica, accompagnata da testimonianze scritte che costituiscono un patrimonio di inestimabile valore sulla vita di quelle comunità negli anni '40 - '50 e '60. E da quelle esperienze muovono le sue denunce sullo sfruttamento del lavoro minorile.
Nel '67 è tra i fondatori del Partito Radicale, nato come movimento per i diritti civili, di cui fa parte della direzione nazionale fino a quando non viene decisa la partecipazione del Partito alle elezioni politiche. Infatti, Dessy, coerentemente alla sua ideologia libertaria che non ammette deleghe e compromessi, rifiuta ogni candidatura.

Ugo Dessy, il libertario, l'antimilitarista
Nell'autunno del 1969 è uno dei relatori al 1° Congresso antimilitarista internazionale tenutosi a Milano, nella Biblioteca del Palazzo Sormani, cui aderiscono e partecipano numerose organizzazioni pacifiste e non-violente, radicali, anarchiche, socialiste e libertarie. Dessy svolge la sua relazione sul tema della militarizzazione della Sardegna e dei pesanti condizionamenti cui viene sottoposta con tale oppressiva presenza. E' la prima volta che si parla della militarizzazione della Sardegna, e qualche anno più tardi, su indicazione del Congresso radicale, uscirà di Dessy il
suo primo saggio antimilitarista Un'isola per i militari, edito da Marsilio.
Dopo la strage di Stato di Piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre '69, Dessy si avvicina alla Federazione Anarchica Italiana che, tra mille difficoltà, portava avanti una strenua difesa dell'ideale libertario, in particolare con il glorioso giornale che fu di Malatesta, Umanità nova, contro il piano di criminalizzazione degli anarchici, in atto in quegli anni da parte del potere. In quel periodo di caccia alle streghe, Ugo Dessy si schiera, senza esitazioni, a fianco dei perseguitati. Alla sopravvivenza del giornale, allora diretto da Mario Mantovani, cui lo legò una profonda amicizia, Dessy diede con la sua penna un valido contributo.
Nel 1972, con Pannella e altri radicali, manifesta a Roma, davanti al Senato, contro l'insediamento della base nucleare USA a Santo Stefano: in quella occasione, durante una carica della polizia, a stento viene messo in salvo dai compagni. Dessy infatti oltre che con il suo insegnamento, i suoi scritti, la sua militanza e fin quando gli è stato possibile anche con la presenza fisica, è sempre stato tra i protagonisti delle lotte per la liberazione della Sardegna dalle basi militari.
Contro le basi militari scrive altri due saggi: uno sulla base nucleare di Santo Stefano (La Maddalena, morte atomica nel Mediterraneo - Bertani editore 1978) e l'altro sul "Referendum mancato" del 1988/89, e quasi senza interruzione numerosi scritti antimilitaristi sui pochi giornali che si battono per il disarmo e la pace nel mondo. Tra questi Sa republica, Quando la patria chiama e l'Asino, rivista diretta da Carlo Cassola, convertito all'idea libertaria pacifista nei suoi ultimi anni di vita.
Pochi sanno che Ugo Dessy, di famiglia borghese, sul finire della seconda guerra mondiale, ancora ragazzo, abbandonò gli studi per andare a vivere presso una famiglia di contadini, in un paese dell'alta Marmilla, dividendone lavoro e sacrifici. Dopo quella esperienza, che lo ha segnato
per sempre, poco più che ventenne, studente universitario, inizia la sua attività di maestro, vivendo e insegnando in diversi paesi agricoli, imparando dai suoi scolari - come egli stesso ha tante volte testimoniato - a conoscere il mestiere della vita.
E' stato certamente da queste "esperienze di vita vissuta", l'essersi poi dedicato con passione alla difesa del diritto del popolo ad affrancarsi dalla colonizzazione e a realizzarsi in ogni sua esigenza culturale e politica. Nella sua opera monumentale, frutto di attenta osservazione e di approfonditi studi, prodotto della fatica di tutta una vita (opera che si realizza in centinaia di articoli giornalistici e in una ventina di volumi, tra narrativa e saggistica) Dessy si sofferma a lungo sui temi sempre attuali del pregiudizio e del razzismo, di cui tocca i vari aspetti: di carattere etnico e colonialistico, ma anche sociale e culturale. Un pregiudizio-razzismo - si badi - non solo nei confronti del sardo, o del meridionale, o del terrone, ma anche del nero, del diverso, del colonizzato, del bambino, della donna…
Non c'è evento storico, o categoria sociale e morale su cui Dessy non abbia soffermato la sua attenzione di studioso e di cittadino impegnato, soprattutto come "intellettuale del popolo" (come egli ama definirsi), in funzione della liberazione dell'uomo dalla oppressione e dallo sfruttamento.
L'amicizia con Ignazio Silone nella formazione del pensiero di Dessy c'è un elemento importante che è poco noto: la sua amicizia con Ignazio Silone e con Nicola Chiaromonte, tra l'altro direttori della rivista Tempo Presente, a cui Dessy collaborò. La sua fede libertaria lo ha sempre portato a opporsi a ogni forma di dottrina dogmatica, settaria, intollerante «come lo è ogni fondamentalismo, da quello giudaico a quello cattolico, da quello marxista a quello islamico» che presume o pretende di possedere la verità. Ed è proprio Nicola Chiaromonte, nel presentare al grande pubblico italiano i racconti giovanili di Dessy, raccolti in un volume intitolato Il testimone, a scrivere nella prefazione: «… si può dire che ci sono in Italia tre livelli dell'espressione letteraria: quello “ufficiale” che si ricollega alla tradizione letteraria propriamente detta; quello “volgare” che una volta era dei romanzi di Carolina Invernizio e di Michele Zevaco, e che oggi sta tra i fumetti e il linguaggio della televisione; e, infine, ultimo, ma certo non meno significativo, quello “popolare”, proprio dei pochi scrittori, che, nello scrivere, non vogliono allontanarsi né dal linguaggio che il popolo della loro regione può capire, né tanto meno, dalla realtà della vita locale. A quest'ultima categoria di scrittori appartiene il Verga dei “Malavoglia” (…). Ma in modo anche più specifico e autentico vi appartiene uno scrittore come Ignazio Silone, il quale non è certo uno scrittore regionale, ma piuttosto, e tipicamente, uno scrittore socialista nel senso profondo della parola, ossia uno scrittore impegnato a ritrarre la vita del popolo dal punto di vista del solo ideale che abbia in Italia in qualche modo riunito una parte almeno dell' «élite» al popolo: l'ideale socialista (…). Sembra a me che Ugo Dessy appartenga a questa schiera non numerosa, ma eletta, di scrittori. Nei suoi racconti, egli non aspira a far brillare una maestria stilistica della quale non si cura, ma a riferire la verità sulla vita della Sardegna quale egli la sperimenta, la conosce e la soffre…»
Intanto la produzione narrativa di Dessy si fa copiosa. Pubblica racconti e romanzi con diversi editori, da Feltrinelli a Marsilio, a Bertani e all'Alfa editrice. In cui sono evidenziati i vari aspetti della vita sociale, e dove i suoi personaggi sono caratterizzati da una forte tensione morale e civile, tanto da valergli da parte dei critici la patente di "scrittore etico".
Dessy sostiene che l'uomo è causa, mezzo e fine di ogni ragione, di ogni diritto, di ogni progresso. L'uomo è il metro di ogni valore, il valore di ogni misura. «In ogni uomo ci sono tutti gli uomini del mondo e tutte le stelle del cielo», si legge in uno dei suoi scritti più noti, I quattro viandanti, un lungo racconto pubblicato nel '69 da Feltrinelli, che già nel '66 Geno Pampaloni definì «un'opera nobile, ben scritta… Ha quasi il ritmo della prosa d'arte, è piena di lenta meditazione e di appassionata difesa umana»"Educarsi è tutt'uno con il liberarsi" "Con il diritto alla vita viene il diritto alla libertà (…), vivere ed essere liberi è tutt'uno (…). Libertà quindi per tutti gli uomini del mondo, libertà autentica e non guidata, libertà nel rispetto di ogni libertà. Tutto ciò che opprime e limita l'Uomo è immorale e va combattuto con ogni mezzo».
Lo stesso concetto di educazione, per Dessy, come d'altro canto per Paulo Freire, coincide con quello di liberazione, cioè a dire: educarsi è tutt'uno con il liberarsi. Di questo concetto parla più diffusamente, qui a fianco, Marinella Pisano, che presenta la recente tesi di laurea sul lavoro di Ugo Dessy educatore e animatore sociale, svolta all'Università di Sassari, Facoltà di Magistero, corso di Pedagogia, dalla neo-dottoressa Maria Antonietta Deriu, relatore prof. Giulio Girardi, correlatore prof. Alberto Merler.
Il pensiero di Dessy è imbevuto di libertarismo, di antimilitarismo, del principio della nonviolenza, e principalmente di un grande amore per la sua terra e per la sua gente. Mai, Dessy, educatore, scrittore, cittadino, ha dimenticato di essere sardo; e in tutte le occasioni che gli si sono presentate ha sempre scritto in difesa della sua gente umiliata e offesa.
Nei suoi toni seri e perfino cupi, egli sa usare con maestria i feroci strali dell'ironia. Ne sono un esempio brillante - come dicevamo all'inizio - i suoi scritti su Tangentopoli e diversi suoi racconti, quali La mia gente, La Superstrada e altri. Le sue analisi vanno oltre le semplici statistiche sociologiche, in quanto tese a sfrondare dai pregiudizi le valutazioni sociologiche politiche e culturali che della Sardegna fanno spesso gli studiosi del Continente e sulla loro scia diversi accademici sardi.
Negli articoli e nei saggi sul banditismo (inizia a parlarne alla fine degli anni '50 con un saggio dal titolo Orgosolo, un mitra puntato male) Dessy finisce per capovolgere la tesi reazionaria forcaiola del positivismo, ventilata fino ai nostri giorni da eminenti esperti sulla questione, basata su una valutazione essenzialmente criminologica e non sociologica del banditismo sardo, così come Lombroso, Ferri e Niceforo l'avevano imposta con teorie pseudoscientifiche. E' un'immagine della società sarda, quella che Dessy ci offre, che oggi, forse più che mai, dovrebbe essere messa in luce e rivisitata e considerata. E' l'immagine di un popolo oppresso e sfruttato da molti padroni che fanno razzia della nostra terra, della nostra cultura.
Quali banditi? è la risposta in tre volumi che Dessy ha dato alla fioritura saggistica sul banditismo sardo venuta di gran moda negli anni Sessanta, quando tale antico e storico fenomeno di opposizione e di rivolta sociale viene volutamente ingigantito, drammatizzato, e perfino "provocato e incentivato", come sostiene Dessy, per consentire al potere di creare una "emergenza" e far passare leggi eccezionali, penali e fiscali, ai fini dello sfruttamento del lavoro e della repressione delle opposizioni. In questo saggio, edito nel 1977 da Giorgio Bertani di Verona, Dessy sostiene, con una ricca documentazione storica e una serrata analisi politica, che i cosiddetti banditi sardi, per lo più provenienti dal mondo pastorale barbaricino, lo sono per cause storiche; mentre i veri banditi sono i colonizzatori, i dominatori, assassini, ladri e rapinatori, ai quali si possono addebitare un numero infinito di crimini contro il popolo sardo, nei tremila anni in cui si è esercitato il loro esecrando dominio sull'Isola.
Attualmente costretto a far vita sedentaria per la sua invalidità, Dessy vive a Cagliari, totalmente occupato nei suoi studi e nelle sue ricerche, tra i suoi libri e le sue carte. Ma non è inattiva la sua mente: egli si dedica quasi interamente alla sua ultima e più ambiziosa opera: una antologia delle tradizioni popolari della Sardegna in dieci volumi, di una serie intitolata Su tempus chi passat, e un Dizionario enciclopedico sardo-italiano. Un'opera monumentale, che, come lui dice sorridendo, “finiranno gli altri, se vorranno…”. Dei volumi di questa serie, due sono già stati pubblicati dall'Alfa Editrice e un altro Artis e fainas, una raccolta antologica di mestieri e attività del mondo contadino è in stampa.
Seguiranno gli altri volumi, Is contus e is contixeddu, i racconti e le novelle; Giogus e gioghittus, giochi e giocattoli, testimonianze e documenti sul mondo dei ragazzi; Is ligendas, le leggende, una raccolta di leggende isolane, dalle classiche alle meno note.
Egli trova ancora spazio per dedicarsi alla correzione di molti suoi lavori, praticamente ultimati. Tra questi una Autobiografia di Tomaso Serra, rielaborazione del testo di una decina di cassette, registrate dalla viva voce del vecchio anarchico, padre della comune di Barrali. Poi, alcuni romanzi, compreso Iknusu '74, parzialmente pubblicato a puntate negli anni settanta su Sassari Sera. Alcune raccolte di racconti, una intitolata Figure di donna, cui Dessy tiene molto, e alcune raccolte di scritti in lingua sarda. E infine, "per tenersi in esercizio", butta giù quotidianamente qualche pagina di appunti, di riflessioni, di spunti narrativi, e perfino qualche pezzo di costume ispirandosi alle cronache su Tangentopoli, divertendosi come un matto a prendersi gioco di Borrelli, di Dipì e del Vecchio Marpione - quello che siede nel Korinale, e che è, poi, un personaggio emblematico del suo romanzo pop "Il diario dello stregone di Iknusu", pubblicato nel 72 da Marsilio Editori, presentato da A P. Buttitta e C. De Michelis. come "fra le cose migliori della nostra recente narrativa".
Maria Marongiu
[Tratto da "Sa republica sarda" n° 2/3 marzo 1997]



"Libertà d'espressione e di pensiero, indipendenza di giudizio: valori che troppo spesso vengono dati per scontati (...). C'è un intellettuale per il quale la conquista della libertà di pensiero è il fine ultimo dell' educazione popolare"

 


 

Un intellettuale fuori dal coro Ugo Dessy,scrittore e educatore
di Marinella Pisano


Libertà d'espressione e di pensiero, indipendenza di giudizio: valori che troppo spesso vengono dati per scontati, anche perché tutti i mezzi di informazione si affannano ad attribuire a questa strana società italiana la decorativa bandiera della democrazia. Oggi più che mai essere liberi pensatori è una conquista da difendere con le unghie e con i denti. Ecco perché essere educati a pensare con il proprio cervello è un mezzo importantissimo di crescita per ciascun individuo, e di conseguenza per la comunità.
C'é un intellettuale per il quale la conquista della libertà di pensiero è il fine ultimo dell'educazione popolare: Ugo Dessy, scrittore, polemista acuto, educatore, pensatore antimilitarista ed anarchico (ma lui preferisce definirsi libertario). Dessy, e in particolare la sua attività di promotore di iniziative di educazione popolare, è stato recentemente oggetto di una tesi di laurea in pedagogia, presentata da Maria Antonietta Deriu alla Facoltà di Magistero dell' Università di Sassari. La tesi, intitolata "Educazione popolare e coscienza politica - l'esperienza del MCC in Sardegna", analizza l'attività dei centri del Movimento di collaborazione Civica presenti in Sardegna ai primi degli anni '60.
Si trattava di un'iniziativa di ampio respiro tendente a creare una occasione stabile di incontro, di confronto e di crescita fra i cittadini di diversa estrazione. Iniziativa nata nel Continente ma poi approdata ad opera di Ugo Dessy, anche in parecchi comuni dell' Isola.
Questi centri erano sede di dibattito culturale e politico, ma non solo. Le significative esperienze di educatore maturate da Dessy in quegli anni sono state da lui raccontate in un saggio dal titolo "Educazione popolare come movimento di liberazione in Sardegna", Alfa Editrice, 240 pp. L. 30.000.
L'esigenza della nascita di questi circoli nasceva dalla consapevolezza della situazione di sottosviluppo della Sardegna. Sottosviluppo che, secondo l'acuta analisi di Ugo Dessy non può aver avuto altra causa se non lo sfruttamento arbitrario delle risorse naturali ed umane cui l'Isola è stata sempre sottoposta, ad opera di dominatori esterni con la complicità di élites locali privilegiate economicamente e politicamente. Colonialismo e razzismo sono criteri con cui il dominio esterno è stato esercitato in Sardegna nel passato, e continua per molti versi ad essere esercitato ancora oggi ad opera di governi continentali del tutto estranei alla cultura isolana. Il valore di questa cultura, le sue espressioni e i suoi significati più genuini sono stati completamente snaturati. Non propriamente distrutti, ma devitalizzati, fino ad essere ridotti a mere espressioni folcloristiche ad uso e consumo turistico. Una cultura così svuotata dal di dentro non ha più capacità di evoluzione e di sviluppo, ed anzi le viene negata una propria dignità di cultura. Perciò la vera cultura, secondo la logica del potere ufficiale, è altra: quella italica, unica, omologata.
Il contesto in cui Dessy ha operato negli anni '60 con i suoi centri del MCC è sicuramente molto diverso da quello attuale, ma vi sono parecchi aspetti della sua analisi che non sono affatto anacronistici, ed esistono molti elementi della sua metodologia per l'educazione degli adulti che appaiono ancora sicuramente validi ed efficaci. Educazione degli adulti in quegli anni significava risolvere il problema ancora gravissimo dell'analfabetismo. Le iniziative e i programmi dell'UNESCO, l'Organizzazione della Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, hanno tenuto soprattutto presente la necessità di risolvere questo problema, con l'obiettivo di favorire l'ingresso nella società di quelle persone che non hanno avuto nessun tipo d'istruzione. Ovvero la loro integrazione all'interno del sistema.
Dessy invece va molto oltre, anzi critica fortemente le iniziative umanitarie di stampo paternalistico che spesso hanno causato spreco di denaro pubblico senza veramente favorirne la crescita culturale delle popolazioni sottosviluppate. Anche la Sardegna in quanto zona depressa, è stata oggetto di interesse da parte degli educatori dell'UNESCO ma i programmi tentati non erano mirati al reale sviluppo della sua popolazione, né alla crescita di un vero senso critico, di una vera consapevolezza di sé e delle proprie condizioni. Fornire un bagaglio di nozioni più o meno utili non esaurisce certamente il compito di un educatore. Questo compito in realtà è molto più complesso, e consiste nel favorire lo sviluppo dell'individuo, creare in lui una maggiore consapevolezza politica e civile, permettere la libera espressione delle potenzialità di ciascuno. Per Dessy l'educazione popolare ha come fine ultimo il raggiungimento della consapevolezza della propria condizione di disagio e di sfruttamento. Educazione intesa in questo modo ha un vero significato rivoluzionario, perché la formazione di una vera coscienza politica nel popolo avviene senza essere monopolizzata da alcuna ideologia specifica, né marxista, né reazionaria. La coscienza politica deve svilupparsi spontaneamente e liberamente. Ispirandosi a questi criteri, Dessy ha portato avanti in Sardegna delle interessanti esperienze educative prima nei centri AILC (Associazione Italiana per la Libertà della Cultura) e poi in quelli del MCC (Movimento di Collaborazione Civica). L'AILC promossa da intellettuali del calibro di Ignazio Silone, inizia ad operare nell'Italia meridionale nel dopoguerra, ed arriva in Sardegna nel 1959.
Centri interessati, Cabras e Guspini. A Cabras, dove Dessy insegnava come maestro elementare, era stato già promosso un circolo culturale, che poteva confluire nell'organizzazione nazionale senza stravolgere i suoi programmi e i suoi principi ispiratori, fondati essenzialmente su una totale libertà di espressione e di interessi. Nel 1961 il circolo AILC di Cabras sceglieva di schierarsi a fianco dei pescatori in lotta contro i proprietari dello stagno. Una lotta durissima, segnata dall' intervento massiccio delle forze dell'ordine e da tanti arresti. Il circolo locale aveva cercato di coinvolgere l'opinione pubblica di fronte al grave problema, che d'altronde più o meno finiva per riguardare tutti gli abitanti di Cabras, compresi i bambini che erano stati allontanati dalla mensa scolastica dove avevano preso alloggio i carabinieri. Lo steso centro AILC, apertamente schierato dalla parte dei dimostranti, non poteva avere vita facile. Nonostante le difficoltà, però, in quello stesso anno nasceva un' altro circolo anche a Guspini. L'ispiratore, pure in questo caso era Ugo Dessy, e anche lo spirito era lo stesso.
L'esperienza di questi due centri doveva poi rivelarsi preziosa per altre nuove iniziative a più ampio raggio, tutte coordinate nell' ambito del Movimento di Collaborazione Civica (MCC), ma con ampia libertà d'azione e di programmi. In Sardegna il MCC trovava davvero terreno fertile: una quindicina di centri in altrettanti comuni, suddivisi in tre zone d'appartenenza. Nell'Oristanese: Oristano, Cabras Mogoro; nel Marghine: Borore, Sedilo, Norbello, Paulilatino, Bolotana; nel Guspinese: Guspini, San Gavino, Arbus, Gonnosfanadiga, Villacidro; e inoltre, Buddusò e Nuoro (quest'ultimo però mai veramente decollato).
Con il coinvolgimento nell'attività dei circoli di tutte le categorie sociali, (soprattutto studenti, ma anche operai, artigiani, insegnanti, perfino amministratori comunali e qualche sacerdote) era anche favorita l'apertura dove è possibile, a persona di diversa ispirazione politica. Certo, prevalevano di fatto i simpatizzanti di sinistra, con o senza tessera PCI o PSI, ma non mancavano i portavoce di altre ideologie. A Borore, caso particolarmente fortunato, fra i promotori figuravano marxisti e democristiani: erano coinvolti perfino il viceparroco, il sindaco, il direttore didattico e vari insegnanti, il medico condotto. Altrove però i circoli MCC erano visti certo non di buon occhio da parte dei tradizionalisti. Si trattava di iniziative ben lontane dagli schemi di cultura più conservatrice, aperte a dibattiti su qualsiasi argomento, destinate soprattutto ai giovani (ma non solo), e strutturate in modo tale da coinvolgere veramente tutte le categorie sociali. Era favorita la promozione della letteratura e della discussione anche fra persone del tutto prive di cultura scolastica. Preziosa occasione di incontro e di dibattito in comune dove peraltro non esistevano molte altre alternative, se non l'Azione Cattolica o, al limite, il bar. Non a caso i circoli avevano decisamente meno impatto nelle città più grandi (Oristano e Nuoro, ad esempio), dove la gente si era dimostrata meno propensa a sensibilizzarsi alle iniziative dei centri. Nei comuni di piccola o media estensione le persone potevano essere più facilmente coinvolte nella vita della comunità.
Il successo di quelle iniziative era tutto legato alla trattazione di argomenti e problemi di interesse comune, dall'agricoltura all'amministrazione pubblica, dai corsi professionali e artigianali all'attività di cucito per le donne, dalla proiezione di film alle discussioni su libri.
Significativo è l'esempio di Borore: tra il 1963, l'anno della sua costituzione, e il 1967, l'anno di chiusura, il centro presente nel Comune del Marghine riusciva a portare avanti una serie di attività di notevole rilievo. Attività destinata ad avere una certa eco anche al di fuori dei confini della Sardegna e dell'Italia. In particolare, la realizzazione di un giornale-bollettino da distribuire anche agli emigrati bororesi sparsi in giro per il mondo. I collaboratori del giornale potevano tenere un contatto diretto con gli emigrati soprattutto attraverso una fitta corrispondenza, ed avere così un quadro piuttosto preciso della realtà che riguardava questi concittadini lontani.
Questi circoli erano insomma nel complesso un'ottima palestra per chi iniziava ad interessarsi all'attività pubblica. Il contatto con gli altri significava per ciascuno arricchimento di esperienze e permetteva l'emergere di personalità che potevano in seguito assumere un ruolo importante nella vita della comunità, nell'ambito delle amministrazioni locali. Non pochi dei futuri sindaci e assessori infatti hanno iniziato la loro formazione politica come osservatori nei consigli comunali per conto dei circoli.
L'avventura di questi centri non doveva durare a lungo. L'opposizione di molte amministrazioni locali conservatrici, la diffidenza di molti concittadini che forse temevano chissà quali attività sovversive all'interno dei circoli, e soprattutto il venir meno di qualunque aiuto economico dall'esterno: questi i motivi che dovevano portare inevitabilmente allo scioglimento definitivo dei vari gruppi. Nel 1967 la Cassa per il Mezzogiorno tagliava i fondi agli Enti culturali, rendendo di fatto impossibile il proseguimento di qualunque attività da parte dell'MCC in Sardegna. Era il colpo di grazia: nonostante alcuni tentativi disperati da parte di qualche gruppo di sopravvivere autofinanziandosi, le iniziative non potevano più svolgersi regolarmente fino a cessare completamente.
Le biblioteche civiche organizzate e gestite dai circoli nel corso di qualche anno, sono però diventate fortunatamente patrimonio dei comuni interessati e hanno continuato a rappresentare dei centri di aggregazione e dibattito ancora vitali. La scintilla, a quanto sembra, è ancora accesa.
[
Tratto da "Sa Republica Sarda" N. 2/3 - Marzo 1997]



 



L'intellettuale e il potere Intervista con lo scrittore Dessy


"Ho visto l'ultimo fascicolo della rivista Ichnusa. Se questa rivista è il "meglio" di ciò che può offrire la pubblicistica isolana, allora è proprio vero che abbiamo toccato il fondo."

In una lunga intervista, rilasciata a Sa Repubblica Sarda e che pubblichiamo alle pagine 8 e 9, Ugo Dessy ci ha parlato della sua lunga malattia, del ruolo degli intellettuali, del referendum sulla responsabilità civile del magistrato, dell'Italia nel Golfo Persico...

"Essere anticolonialisti, in Sardegna, oggi come ieri, significa innanzitutto essere "sardi".
"E' una tesi di Frantz Fanon"

Sa Republica - Da oltre tre anni - scusa, ma i lettori non sanno - ti sei chiuso nel silenzio. Perché?
Dessy - "Non è esatto che in questi ultimi anni mi sono chiuso nel silenzio: me ne sono rimasto ad ascoltare le sinfonie aritmiche, parossistiche e asincopali del mio cuore - strumento essenziale per dar fiato alla sonata della vita".
Sa Republica - Da diversi mesi dunque sei in convalescenza e la tua "autoemarginazione" continua. Prudenza? Stanchezza? Difesa? .... Ed ora, questo tuo rientro...
Dessy - "Convalescenza lunga, tu dici. Relativamente. Per la verità io non mi sono mai "autoemarginato", perché almeno a livello di pensiero non ho mai abbandonato l'impegno, la militanza ideologica, che per me significa nient'altro che "essere testimone attivo del mio tempo". Molto semplicemente, sono stato malato e mi sono venute meno le forze non soltanto per impugnare la penna, ma financo per levare la voce.
Altri hanno tentato e tentano di emarginarmi - profittando del momento; qualcuno, potendo, mi avrebbe interrato prima del tempo.
Per far loro un dispetto - mi sono detto - visto che sono in Francia, se i "luminari" di Lariboisiere non ne cavano i piedi mi faccio anche una capatina a Lourdes: non si sa mai.
Né prudenza, quindi, né difesa e neppure stanchezza (intesa nel senso di chi crede di aver lavorato abbastanza e si mette in pensione). Mi stupisce l'uso di questi termini da parte di chi mi conosce - posso comprenderli in chi è mosso da torbidi sentimenti di invidia o da chi vorrebbe, se potesse, cancellarmi perché è parecchio doloroso (ho sentito dire) per ladri, funamboli, concussionari, per i membri della consorteria al potere sentir parlare di ladronerie, funambolismo, concussioni e altre quisquilie del genere.
Chi scrive può continuare a vivere con i suoi scritti anche dopo la morte. Egli dunque "non può autoemarginarsi"; egli può essere emarginato dagli altri, e per due soli e ambedue validi motivi: perchè ha scritto delle solenni cazzate (vedi la gran parte degli scrittori accademici) oppure perchè non torna utile alle mene del potere. Insomma, accade che, se sei scomodo cercano di tapparti la bocca da vivo e perfino dopo morto.
A me sta ancora bene Sartre l'irriducibile de la preface en Les damnés de la terre di Fanon: l'intellettuale autentico non va mai a braccetto con i potenti, perchè egli tende a essere la dignità umana, l'ansia di liberazione di ogni uomo oppresso.
Non vorrei essere pessimista quando l'esserlo potrebbe apparire presunzione: la mia impressione è che oggi ci sia ancor più di ieri un gran vuoto di valori, in tutti i settori e a tutti i livelli. Nella pubblicistica, in particolare in Sardegna, un vuoto di contenuti e di presenze, nel senso che (se togli poche eccezioni) non ci sono uomini che abbiano idee degne d'essere chiamate tali, che siano in grado non dico di fare ma almeno di proporre qualcosa di nuovo e di serio.
Ho visto l'ultimo fascicolo della rivista ICHNUSA - l'ho comprato in una edicola del centro dove ne arriva (e quindi se ne vende) un'unica coppia - e se questa rivista è il "meglio" di ciò che può offrire la pubblicistica isolana, allora è proprio vero che abbiamo toccato il fondo. In un pezzo di un "mai sentito nominare" Natalino Piras sulla letteratura contemporanea sarda si tira in ballo perfino me che sono tutto fuorché un letterato: "Un altro outsider, nel senso che è quasi sconosciuto nonostante abbia fatto cose di un certo spessore è Ugo Dessy" - afferma il Nostro, e prosegue con la bibliografia d'uso. Che vuol dire: "Cose di un certo spessore? E poi: "Quasi sconosciuto a chi? Ai redattori di Ichnusa che godono del privilegio di scriversi e leggersi l'un l'altro?
Ha mai sentito parlare, il signor Piras, della questione del ruolo dell'intellettuale, oggi?
Qualcuno comincia a dire che il "vero intellettuale" è l'intellettuale che sta sempre "al di fuori dei partiti", che è sempre in funzione critica nei confronti del potere. D'accordo - ma di quale potere si parla? Liberalismo e Marxismo si identificano nella definizione che danno dell'intellettuale in funzione di appoggio o di critica, secondo la classe che lo detiene.
Per quel che ne so, gli intellettuali che il sistema riconosce come tali svolgono una attività critica nei confronti di "un certo tipo" di potere, non contro il potere in quanto tale.
Intanto devo dire che non credo esista una categoria sociale di intellettuali - qualunque uomo lo è quando usa il proprio intelletto. Ma se proprio vogliamo classificare, direi che ci sono intellettuali che servono i padroni, e condividono con questi potere e privilegi, e ci sono intellettuali espressi dal popolo e condividono con questo oppressione e sfruttamento. E' un dato di fatto che nel potere, e nei privilegi che esso comporta, non c'è posto per l'intellettuale del popolo. La misura della validità rivoluzionaria del lavoro di uno scrittore è inversamente proporzionale al successo che il sistema gli riserva nell'Olimpo della cultura ufficiale.
Per chiudere restando in argomento, non per caso ho scelto di riprendere la mia attività di pubblicista proprio con Sa Republica Sarda. Innanzitutto perché è un giornale schiettamente sardo. E ancora - seppure divergendo e non soltanto nei dettagli con questo periodico - perché resta incontrovertibile il fatto che è l'unico vecchio giornale in cui i Sardi e il Sardismo possono riconoscersi e perchè no? rispecchiarsi".
Sa Republica - Un tuo rientro, in quel tuo vecchio ruolo battagliero, dopo anni di ruggine, non ti sembra troppo impegnativo?
Dessy
- "Non amo fare dichiarazioni impegnative. Le dichiarazioni "impegnative" sono un vezzo proprio dei politici. Credo che l'impegno sia da correlarsi esclusivamente a "ciò che si fa".
Per quel che riguarda la "assenza", la "ruggine" e tutto il resto direi che in effetti, bene o male, in questi anni, sono stato presente con i miei vecchi scritti - tant'é vero che il mio Editore, proprio per colmare un certo vuoto, ha riproposto al pubblico il saggio "Quali banditi?".
Inoltre mi pare che in questi ultimi anni le cose non siano poi cambiate di molto: il potere è rimasto truffaldino e arrogante e il popolo - come sempre - sfruttato e minchionato.
Tutto sommato non ci sono molti sforzi da fare per aggiornarsi, per assumere dati conoscitivi su modificazioni (che non ci sono state) tra l'ieri e l'oggi. A malapena potrebbe sembrare che qualcosa sia cambiato - giusto nella forma, non nella sostanza. E se è vero che non si fanno più processi contro i terroristi (allo scopo di criminalizzare l'opposizione ideologica) è perchè non ci sono più oppositori ideologici o se ci sono non vengono ritenuti pericolosi o sono stati ammaestrati".
Sa Republica - Ci troviamo di fronte ad un profondo mutamento sociale, che sembra risolversi in un sostanziale isolamento di gruppi, di movimenti anticolonialisti e indipendentisti. La domanda è questa: che significa oggi in Sardegna essere anticolonialista? O meglio: quale deve essere oggi, a tuo avviso, il ruolo degli anticolonialisti sardi?
Dessy
- "Nella premessa a questa domanda appare chiaro che il sostanziale isolamento in cui versano i gruppi e movimenti anticolonialisti non è quel "profondo mutamento sociale" cui si accenna, ma la conseguenza logica e storica della divisione del movimento anticolonialista e indipendentista in tanti gruppi spesso in conflitto tra loro.
Bisogna dire che, non i mutamenti sociali, ma le manovre politiche che portano alla frantumazione dei movimenti di liberazione dell'uomo (ovunque e comunque si manifesti) hanno sempre, ovviamente, un significato negativo, di involuzione. I frammenti di un movimento rivoluzionario, per taglienti che siano, sono impotenti a raggiungere il loro scopo e vengono facilmente spazzati via dalle forze repressive o dai meccanismi di inglobamento di cui il potere sa fare buon uso.
E' necessario un richiamo alla unità di tutte le forze anticolonialiste. Voglio dire che, per essere anticolonialisti, in Sardegna, oggi come ieri, significa innanzitutto essere "sardi". Per una ragione molto semplice: è assai più facile trovare una unità tra individui appartenenti a un gruppo etnico omogeneo che tra gruppi di individui, tra parrocchie che si muovono in concorrenza tra loro con l'evidente ma inconfessata intenzione di "arrivare per primi". E se è proprio necessario costituire una "parrocchia", è lapalissiano che questa deve essere una sola e deve consentire l'accesso a tutti i Sardi indistintamente - tutti quelli che ci vogliono entrare, naturalmente, classe o non classe, borghesia o proletariato, lavoratori o disoccupati. E' una tesi che svolge Fanon nella sua Opera sui movimenti di liberazione nei Paesi colonizzati, ed è la stessa che parallelamente porto avanti da anni in Sardegna parlando di questa questione".
Sa Republica - Dessy, tu hai sempre parlato in modo chiaro, senza reticenze, da uomo che ha rifiutato ogni compromesso. La situazione politica è quella che è: c'è il Partito Sardo che oggi è il terzo partito in Sardegna ed è al governo regionale. Come scrittore impegnato, quale suggerimento culturale-politico pensi di poter dare a questo partito, che è l'unico che dice di difendere l'interesse dei sardi?
Dessy
- "Grazie, molto lusingato. Sì, nonostante il mio non breve stato di letargo, mi sono accorto dell'avanzata del Partito Sardo, piazzatosi al terzo posto, dopo la DC e il PCI. Non credo però che spetti agli scrittori, neppure ai cosiddetti "impegnati", dare suggerimenti ai partiti che vanno guadagnando consensi e voti e hanno interesse a conservarseli, e magari ad aumentarli.
Se proprio devo esprimere una opinione sulla questione, direi agli amici sardisti di essere innanzitutto sardi e onesti e coerenti fino in fondo nell'essere sardi; che è uno dei modi per far proprie le millenarie aspettative del nostro popolo: trovare una propria dimensione politica economica e culturale in un consesso di popoli amanti della pace; la dignità, la responsabilità e la libertà di decidere del proprio presente e del proprio futuro, di essere cioè protagonista della propria storia.
Purtroppo io ho molte riserve e dubbi su questa democrazia, sui partiti politici come istituti e organizzazioni miranti allo sviluppo e al benessere delle umane genti, e tanto più sui funambolismi, sulle ambizioni, sui giochi di potere in cui i partiti - tutti i partiti - sono costretti a invischiarsi. Preferisco credere negli uomini, anziché nelle istituzioni. Negli uomini ancora onesti. Auguro quindi al PSd'AZ di avere tra le sue file meno politici che amino il partito e siano bravi nel giostrarsi, e più uomini, anche semplici ma onesti, che amino la loro gente e la loro terra.
Sa Republica - Già una volta tu hai vissuto un'esperienza di vita politica attiva, sei stato fra i fondatori del movimento radicale. Poi hai dichiarato di esserne uscito deluso. Perché?
Dessy - "Preciso: ho vissuto esperienze di vita politica attiva anche fuori dal partito radicale - specialmente fuori dai partiti, spesso con piccoli gruppi e ancora più spesso facendo gruppo con me stesso.
Comunque, basta con questa etichetta di "fondatore". Quando si tratta di partiti preferisco "sfondare". L'appellativo cui accenni è saltato fuori in un flash di agenzia, alla fine dell'anno scorso, quando ho simbolicamente dichiarato di voler riprendere la tessera del PR per evitarne lo scioglimento. La notizia è rimbalzata in alcuni quotidiani e sono diventato così "uno dei padri fondatori" del PR. Può darsi certamente che io abbia contribuito a dar vita a un movimento per i diritti civili e di richiamo al potere di un maggior rispetto delle proprie leggi e di essermi battuto contro la militarizzazione intensiva della mia terra e contro ogni violenza - in particolare alla fine degli Anni 60 e all'inizio degli Anni 70; un periodo in cui la Sardegna era sotto al morsa di un formidabile apparato repressivo, che agiva spesso nella illegalità, fino all'estremo della tortura e dell'assassinio; un periodo in cui, qui da noi, i "diritti civili" venivano definiti una "stravagante utopia". Potrebbe anche darsi che altri compagni e amici radicali, modificando un movimento libertario in un partito parlamentaristico con vocazioni governative, abbiano, loro, contribuito ad affondare il vecchio glorioso PR.
Ma la sua domanda precisa, esige una risposta altrettanto precisa: io non ho accettato la linea partitico-parlamentarista dei miei ex compagni di lotta; non sono stato io ad uscire dalla linea ideologica che seguivamo: io sono rimasto un libertario, radicale, cristiano e direi anche tolstoiano - se questo termine non ti dà tensioni. Qualcuno ha detto e ha scritto che "Dessy non sa mediare con il potere". Appunto. Non so mediare con il potere. Tant'è che non ho mai imparato a battere - neppure nei salotti dove si raccolgono gli intellettuali impegnati di buona famiglia".
Sa Republica - Se n'è discusso tanto. Qual'è la tua opinione sull'elezione di Cicciolina al Parlamento italiano?
Dessy - "Se ne è discusso tanto, ma secondo me non sempre a proposito. Cicciolina non ha fatto altro che approdare - con un vigoroso consenso popolare - in un luogo dove può esercitare nel migliore dei modi al sua onorevole professione; dove può realizzare la sua notevole vocazione mutualistica. Diciamo che si trova in buona compagnia".
Sa Republica - Giovanni Paolo II ha elogiato con enfasi le istituzioni democratiche in USA e il godimento in quel Paese di una esemplare libertà...
Dessy - "Penso che dove ci sono dollari, là c'è tutto: democrazia, lavoro, armi stellari, gioia di vivere, figone alla Marylin Monroe, i più grandi spettacoli del mondo, attori che fanno i presidenti e presidenti che fanno gli attori, e naturalmente c'è la libertà, tanta libertà...Con i dollari, Giovanni Paolo la troverebbe anche in Russia e in Cile, la libertà".
Sa Republica - Un'altra domanda: è di grande attualità il Referendum sulla responsabilità civile del magistrato. Hai qualcosa da dire?
Dessy - "Sì, con piacere. Questo Referendum ci vuole proprio. Agli elettori verrà posto il seguente quesito: "Volete voi l'abrogazione degli articoli 55, 56 e 74 del Codice di procedura civile approvato con Regio Decreto 28 ottobre 1940 n. 1143?".
Si tratta di uno dei tanti residui fascisti e polizieschi: tanti da costituire l'ossatura dei nostri Codici che si vorrebbero spacciare per democratici.
Non ho mai capito - e credo non abbia capito nessuno che sia fornito di buonsenso - perché mai, a differenza di ogni altro comune mortale, il magistrato che sbaglia non deve pagare.
Nella impunità del magistrato può darsi che giochi in qualche modo il "ruolo sovrannaturale" che egli presuntuosamente si attribuisce, quello cioè di giudicare i propri simili. Un compito che dovrebbe appartenere soltanto a Dio Padre Onnipotente, detto anche Creatore e Signore del Cielo e della Terra. Il quale, tra altri notabili attribuiti, ha anche quello della "infallibilità". Che i magistrati purtroppo non hanno. E se non l'hanno significa che sono "fallibili", cioè soggetti a sbagliare. E pertanto, se sbagliano "devono" essere puniti. A meno che non entrino in diretto contatto con il Padre Eterno, evitando così ogni "umano" deprecabile errore. Ma siccome la panzana del diritto derivato da Dio ha finito il suo tempo, ci ho gusto che il Referendum si faccia; e farò del mio meglio perchè prevalgano i sì che abolisca un iniquo e ridicolo privilegio; e gioirò immensamente quando un qualunque magistrato che abbia contribuito a far morire d'infarto nel carcere di Buoncammino un detenuto in attesa di giudizio, verrà esemplarmente condannato a un bel po' d'anni di galera (o a scelta lavori forzati), previo isolamento nei sotterranei per mesi 12.
Dubito - per altro - che anche passando il Referendum questa genia di intoccabili verrebbe punita in caso di errore. L'errore sarebbe sempre "preterintenzionale" e il reo se la caverebbe con una tiratina d'orecchi, un trasferimento e una promozione".

L'Italia e il Golfo Persico

Sa Republica
- Finalmente anche l'Italia , con la sua presenza armata, ha deciso di dare un valido contributo per la pace nel Golfo Persico...
Dessy - "Finalmente davvero! Non vedevamo l'ora che l'Italia, risorta ai fasti gloriosi dell'antico Roma Imperiale, Regina dei Mari e non soltanto del “Nostrum”, mostrasse al mondo intero, compreso Padron Ronald, che non è più disposta a tollerare intimidazioni da chicchessia. Il "libero commercio" va garantito, eccome! Anche in casa d'altri, se necessario.
E penso che, giustamente, i venditori di cocomeri e cavolfiori che sostano ai margini delle vie urbane e suburbane, con i loro trabiccoli-bancarella, abbiano anch'essi tutto il diritto al "libero commercio". Come affermava il Nostro: "Libero commercio in libero stato".
Sa Republica - Un'ultima domanda: di tutta la tua produzione letteraria, qual'è il libro cui sei più legato, che a tutt'oggi ti piace di più?
Dessy - "Si tratta di un libro che non ho pubblicato perché ancora devo scriverlo. Ti dirò - in confidenza; ma non andarlo a dire in giro - a me piace molto di più ciò che dovrò fare di ciò che ho già fatto. Ho in mente di uscire presto con un saggio storiografico che, in forma cronachistica (magari un pochino pettegola) riproponga fasti e nefasti, protagonisti maggiori e minori di questi ultimi anni di storia isolana. Potrebbe essere anche questo un modo per dare una presenza attiva nelle vicende di casa nostra. E sono certo che un libro come questo piacerebbe non soltanto a me ma pure a coloro dei quali dovrei doverosamente "sparlare".
[Tratto da Sa Republica sarda n. 7-10 settembre-ottobre 1987]

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