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4. L'isola di Tavolara

La strada che da Siniscola porta ad Olbia si snoda in tornanti che per lunghi tratti si affacciano sul litorale tirrenico. E' la stessa strada statale 125, «l'orientale strada», che abbiamo visto attraverso il Salto di Quirra.
Appena più a sud di Siniscola, a Dorgali, profonde gole si aprono sull'immensa pietraia granitica di monte Corrasi, la zona calda dell'isola, millenario rifugio di contestatori del sistema di sempre, base di latitanti e di banditi d'onore, di giustizieri popolari, di ladri di greggi e di taglieggiatori di possidenti. Più vicina e ben temibile, si erge sullo sfondo azzurro chiaro l'isola di Tavolara, rifugio e base di banditi atomici.
La colossale rupe calcarea, densa di vegetazione spontanea, ricca di singolari esemplari di fauna, accessibile nelle sue baie dai pescosi fondali, ha una sua storia. Una storia di pirati e di predoni venuti dal mare.
Alle soglie dell'anno mille, i saraceni avevano scelto Tavolara come base d'approdo per le loro agili imbarcazioni corsare. Nell'isola confluivano i bottini e le prede, e lì - in tutta tranquillità - avevano luogo le spartizioni, gli arrangi. Quando il numero e la quantità degli affari di quegli intraprendenti precursori dei moderni filibustieri aumentarono, spostarono la base per i loro arrangi nel golfo situato più a settentrione (dove sorge l'attuale Olbia), che per una deformazione linguistica si chiama «degli Aranci».
Filibustiere di più squisiti modi, Carlo Alberto nel 1837 sbarcò nell'isola di Tavolara, in tenuta da caccia, armato di cesellato archibugio. Per ritemprarsi dei suoi ponderosi dubbi, il «re tentenna» venne qui a caccia delle favolose capre dai denti d'oro e dalle corna enormi. Fu ospite di Giuseppe Bartoleoni, il maddalenino che aveva acquistato la rupe proclamandosene re. Pare che Carlo Alberto fosse interessato più ai denti d'oro che all'ampiezza delle corna della locale fauna caprina. Già allora la corte piemontese vantava magnifici esemplari di becchi, mentre non altrettanto cospicuo aveva l'erario. Purtroppo i denti risultarono d'oro falso: si trattava di una patina gialla metallica prodotta dalle erbe di cui gli animali si cibavano. E il re piemontese si rifece depredando le tombe puniche della necropoli di Tharros, nell'Oristanese.
Nel 1936 l'isola diventa proprietà dei conti Marzano, speculatori d'alto borgo sbarcati dal continente, i quali pensarono di utilizzarla come riserva di caccia, per trascorrervi il week-end con i loro amici romani. Resta una parte - circa 40 ettari su circa 600 - proprietà di un pastore che si proclamava unico erede del re di Tavolara Bartoleoni e pretendete al trono. Ai conti Marzano l'affare costò un milione di lire.
Arriviamo al 1960, agli anni del boom turistico. Poco distante dal Golfo degli Aranci e da Tavolara, sbarca Karin Aga Khan - un nome che suona dell'idioma di coloro che mille anni prima facevano gli arrangi dopo le filibusterie. Karin Aga Khan sbarca con un assegno di due miliardi e mezzo da investire nell'operazione «Costa Smeralda». Sono al suo seguito finanzieri svizzeri e britannici. Inizia la corsa alla speculazione delle coste sarde. Il capitale del Nord guarda con interesse all'isola di Tavolara. Potrebbe diventare un prodotto altamente consumistico - una colonia di nudisti, beata oasi di approdo per affaticati e danarosi commendatori milanesi; oppure un discreto asilo estivo per principi e dive, e viceversa. Per Tavolara viene offerta la cifra di mezzo miliardo di lire. Siamo alle soglie del 1961.
Nello stesso anno, altri visitatori mettono piede nell'isola delle capre dai denti d'oro. Sono gli strateghi della NATO, ammiragli e generali, appassionati di caccia grossa, i quali, dimesso l'archibugio ad acciarino, usano missili a testata atomica. Per molti giorni una nave sta alla fonda dietro Tavolara. Ammiragli e generali si spacciano per innocui studiosi di talassografia, per salvare il cosiddetto segreto militare.
Pochi mesi dopo, il demanio marittimo decide l'esproprio per quanto di sua competenza. Ne entra in possesso con 54 milioni, versati ai conti Marzano. Il pastore successore dei Bartoleoni, sentendosi togliere il regno da sotto i piedi, minaccia di dar luogo a una vertenza internazionale, ricorrendo all'ONU per «violazione di diritto di sovranità». L'ONU ha altre gatte da pelare, e la vertenza è chiusa sul nascere da un decreto del prefetto di Sassari (n. 4 del 23 ottobre 1961) che dispone

“la requisizione, l'esproprio e l'occupazione immediata a fini militari dell'intera isola di Tavolara, in conformità al decreto presidenziale del 30-12-1960 ed al relativo provvedimento del ministro della Difesa del 4-9-1961”.

Un re della dinastia dei Bartoleoni viene spodestato d'ufficio dai funzionari della repubblica, e un centinaio circa tra pastori e pescatori vengono deportati in massa con le loro greggi e le loro reti. Il destino dell'isola delle foche e delle capre dai denti d'oro sembra compiersi. I difensori della civiltà occidentale e del dollaro USA hanno eletto questa rupe sul mare «nuovo anello della catena strategica NATO» - ovvero, base d'appoggio per sommergibili Polaris dotati di missili a testata nucleare. Giusta la nuova teoria bellica della risposta flessibile (“L’Astrolabio”, 14 settembre 1969).
Nell'autunno del 1961, un periodico sassarese si fa portavoce degli interessi del capitale turistico con un sensazionale dal titolo La bomba sotto il cuscino:

“L'esproprio di Tavolara per esigenze militari segna la fine del turismo internazionale in Sardegna. Negli ambienti della finanza svizzera e britannica la notizia è stata ricevuta e ritrasmessa in quattro lingue. L'Aga Khan e i suoi fratelli Guiness, Duncan, Miller e la Begum, David Niven e il barone di Asshe hanno girato il cablo tra le mani e hanno avuto un gesto di disappunto. Il loro pensiero è corso all'unica prospettiva possibile: recuperare gli oltre due miliardi investiti nell'acquisto delle coste brulle della Gallura nord-orientale…” (“Sassari Sera”, ottobre 1961).

Se gli operatori turistici vedono messi in pericolo i loro affari speculativi, per i sardi la militarizzazione di Tavolara significa qualcosa di ben più grave: la presenza di armi nucleari nel territorio non soltanto condiziona negativamente ogni possibile sviluppo dell'economia isolana, ma minaccia la stessa sopravvivenza fisica delle popolazioni.
D'altro canto, gli operatori economici trovano, anche in questa circostanza, il modo di impinguare i loro capitali:

“Una sola persona, tra le tante giunte dall'estero (in Sardegna) nella movimentata estate del '61 non ha battuto ciglio ed è il figlio dell'ambasciatore Attolico, funzionario della NATO a Ginevra. Indirizzato dal barone Franchetti era sceso ad Olbia con Bettina e attraversando la litoranea per Siniscola aveva detto alla fidanzata di Alì che gliela indicava: «Tavolara è invendibile; bellissima, ma servirà alla NATO per farci una base atomica». Poi aveva raggiunto Capo Ceraso (tre miglia da Tavolara) e aveva comprato un tratto di cinquanta ettari…” (“Sassari Sera”, ottobre 1961).

Dal che si deduce quanto sia labile il «segreto militare» quando possa servire a favorire speculazione tra membri della consorteria.
Il periodico sassarese conclude il sensazionale lamentando che:

“la stampa sarda e l'opinione pubblica olbiense hanno perduto la loro occasione di protesta. Con un deposito di esplosivo a due passi, i turisti che avevano deciso di dimenticare in confortevoli valli sul mare la tensione internazionale che opprime la Francia e Berlino, il Cairo e l'Algeria, o di sfuggire la nube atomica che intristisce di più il grigio ovattato delle città nordiche avrebbero la sensazione di dormire con una bomba sotto il cuscino… (“Sassari Sera”, ottobre 1961).

Sulla linea del periodico sassarese - «i militari a Tavolara allontanano gli operatori turistici dalla Gallura» - si schierano i partiti della sinistra parlamentare. Fioccano al Parlamento regionale e in quello nazionale le interrogazioni urgenti. La prima è del consigliere regionale Peralda, socialista, per sapere che fine faranno «i numerosi pescatori che nel perentorio termine di trenta giorni devono abbandonare l'isola e tutti i loro averi», per conoscere «se sia vero che l'espropriazione sia fatta al fine di installarvi una base per sommergibili atomici», e infine per sapere che cosa hanno in mente di fare le autorità regionali «al fine di scongiurare i gravi pericoli ed altresì il grave nocumento… al movimento turistico e ai connessi rilevanti investimenti finanziari in atto nell'intera costa nord-orientale».
Particolare rilievo politico viene dato alla interrogazione del consigliere democristiano Cadeddu, già assessore regionale all'agricoltura. «L'Unità» del 17 novembre 1961 sottolinea il fatto come esempio di «lotta unitaria». Il democristiano Cadeddu, dal canto suo, si dimostra soprattutto preoccupato degli interessi del capitale internazionale investito nel settore del turismo, senza che gli passi per l'anticamera del cervello il sospetto che le basi atomiche sono il mostruoso prodotto della politica dei blocchi di cui egli è complice attivo.
Il 14 novembre 1961 il Consiglio comunale di Olbia convocato d'urgenza in seduta straordinaria approva all'unanimità il seguente ordine del giorno:

“Vista l'ordinanza del 23-10-1961 che segna l'inizio del procedimento di espropriazione dell'isola di Tavolara ad opera del ministero della difesa, che si concluderebbe con la militarizzazione dell'isola stessa, sottraendola agli usi privati; considerato che attualmente l'isola di Tavolara costituisce con le sue incomparabili bellezze naturali una fonte di attrazione turistica di primo piano in tutta la costa orientale sarda e segnatamente nel golfo di Olbia e degli Aranci ed uno dei più suggestivi ed incantevoli itinerari del Mediterraneo celebrato fin dalla più remota antichità da poeti e da artisti; che l'isola dà vita alla categoria dei pescatori, alcune decine dei quali dimorano stabilmente traendone i modesti e unici mezzi di sostentamento; che la militarizzazione di tale località comporterebbe, oltre ai disagi dello sgombero immediato per le famiglie ivi residenti, anche la perdita definitiva di una delle zone più pescose del Tirreno; considerato anche che, oltre all'ingente danno sopra descritto della perdita dell'isola, la sua militarizzazione arrecherebbe grave pregiudizio ad ogni utile iniziativa economica intesa alla creazione di industrie e alla valorizzazione turistica, laddove è invece pacifico che solo dalla industrializzazione e dal turismo è lecito attendersi una vera rinascita per questo Comune, che attraversa attualmente una delle congiunture più scabrose della sua storia; rendendosi interprete del vivissimo malcontento e delle giustificate proteste della cittadinanza, rivolge accorato appello al Governo, al ministero della difesa-marina e alla Regione sarda, affinché attentamente valutate le considerazioni contenute nel presente ordine del giorno vogliano, per i settori di rispettiva competenza, adoperarsi energicamente e autorevolmente nel provocare la revoca immediata del lamentato procedimento di espropriazione dell'isola di Tavolara di questo Comune; impegna tutti i parlamentari sardi e invita le amministrazioni comunali della Sardegna nord-orientale per un'azione energica ed unitaria intesa a conseguire l'invocato provvedimento di revoca.”

La protesta è ormai generale a livello di vertici e di rappresentanze - ma non a livello di massa. La spinta maggiore la danno gli operatori economici che, disturbati nel banchetto in cui vanno divorando spiagge e scogli della riviera gallurese, muovono gli ingranaggi della contestazione politica del sistema. E' vero che il governo di Roma ancora tace, ma sono in molti a sperare che i supremi comandi militari, preso atto che non si tratta di levata di scudi sovversivi, avranno la compiacenza di spostarsi, di andarsene da un'altra parte della Sardegna - magari qualche chilometro più a sud, dove potranno unire i confini della loro base di Polaris con quelli dei missili di Perdasdefogu.
Intanto si tenta di dissuadere il ministero della difesa facendogli i conti in tasca - quasi che nei bilanci per le spese militari possa esistere il concetto «popolare» di risparmio! Di questo tentativo si fa portavoce un periodico di Sassari con l'articolo intitolato Lo Stato sborserà 10 miliardi per l'esproprio di Tavolara.

“L'esproprio di Tavolara verrà nuovamente riesaminato dal ministero della difesa? La massa degli interventi politici, la pioggia di interrogazioni e i servizi speciali della stampa italiana hanno finito per premere a favore di un'utilizzazione pacifica dell'isola. Più persuasiva, l'entità della spesa occorrente per l'esproprio… si parla di una cifra di miliardi… Negli ultimissimi contratti è stato denunciato agli effetti fiscali un valore di 2 milioni ad ettaro, ma in realtà il prezzo stabilito è stato di lire 15.000 al metro quadrato, cioè 15 milioni ad ettaro. Per l'isola di Tavolara potrebbe dunque arrivare a spendere 9 -10 miliardi…” (“Sassari Sera”, 20 gennaio 1962).

Il ministero ha invece preventivato 50 milioni, e naturalmente i conti Marzano, proprietari, si oppongono al provvedimento facendo riferimento all'art. 39 della legge del 1865 che riguarda le espropriazioni totali, per cui il giusto prezzo è quello che l'immobile avrebbe in una libera contrattazione di compravendita.
I padroni di Tavolara, intanto che difendono i loro interessi per via giudiziaria, fanno al ministero della difesa allettanti proposte.

“I sigg. Marzano proprietari della quasi totalità dell'isola sono stati invitati da numerose personalità del luogo ed in specie dai sindaci dei vari paesi interessati ad offrire a codesto on.le Ministero un'altra loro proprietà che possa essere adoperata agli stessi scopi militari, cosa che i predetti si onorano di proporre dichiarandosi disposti a trattare direttamente e volontariamente la cessione. Trattasi della zona nominata Monte Albo in provincia di Nuoro.
Questo monte è della stessa natura geologica dell'isola di Tavolara, ha un'altezza anziché di seicento metri come Tavolara bensì di mille metri sul livello del mare, trovasi in una zona appartenente al comune di Lula senza alcuna importanza turistica né agricola, né industriale, ha l'accesso molto più facile perché per accedervi non c'è bisogno di natanti ma esistono delle comode strade che conducono fino alle falde del monte, ha un'estensione superiore a quella di Tavolara e della quale ben 900 ettari appartengono ai sigg. Marzano, possiede nel suo interno grotte di ampiezza grandiose lunghe parecchi chilometri adatte a qualsiasi opera di difesa anche atomica, grotte recentemente esplorate dal professore Antonio Fureddu del gruppo speleologico Pio XII di Cagliari.
Tutti questi speciale elementi si pensa possano sostituire ottimamente quelli che si riscontrano nell'isola di Tavolara, per cui si chiede che sia esaminata la possibilità di sostituire e sia sostituito Monte Albo a Tavolara per l'installazione delle opere di difesa già progettate da codesto on.le Ministero, trovando in ciò consenzienti i proprietari del Monte ed evitando il grave nocumento che altrimenti deriverebbe ad Olbia e città limitrofe che sono le più povere e sottosviluppate della Sardegna.”

Dietro i propositi umanitari di questo singolare documento, che dichiara di voler sostenere gli interessi delle popolazioni galluresi conciliandoli con gli interessi bellici dei generali della NATO, si nasconde un rivoltante cinismo: se volete fare le vostre basi anche atomiche, va bene, purché le facciate nel Nuorese, dove vivono pastori e contadini, non cortigiani d'alto rango come nella Costa Smeralda.
Ma gli strateghi della NATO hanno deciso - i governanti debbono ubbidire. D'altro canto, ammesso che Andreotti possa decidere sulla questione, non sarà una ulteriore spesuccia di 10 miliardi - che non spende di tasca sua - a dissuaderlo, compiacendo i Marzano e dispiacendo i militari. Il ministro della difesa è oltre tutto uno scaltro homo politicus di pasta clericale e sa barcamenarsi benissimo per calmare da un lato gli animi agitati del capitale turistico e l'opinione pubblica da un altro lato.
All'on. Bardanzellu, che lo aveva interrogato per sapere se «non ravvisi l'opportunità e la necessità di accogliere l'ordine del giorno votato all'unanimità dal Consiglio comunale di Olbia nella seduta del 14-1-1961», il ministro Andreotti finalmente risponde:

“Esigenze militari richiedono l'installazione nell'isola di Tavolara di un impianto radio per le comunicazioni a grande raggio, la cui esatta ubicazione potrà essere fissata solo dopo complesse esperienze sullo sviluppo da dare al sistema delle antenne. In vista di ciò la Marina ha intrapreso procedimenti di espropriazione della piccola isola, con il proposito tuttavia di retrocedere le aree che in concreto non saranno da utilizzare in via permanente. Comunque - poiché gli studi nel frattempo condotti consentono già orientamenti di massima - la Forza Armata revocherà fin d'ora l'esproprio per oltre la metà dell'isola, fermo sempre il proposito di retrocedere successivamente anche le altre aree che dovessero risultare non più necessarie per le sue esigenze. Dato il ridimensionamento degli espropri e stante la natura degli impianti da costruire, sembrano da escludere turbamenti all'attività peschereccia e allo sviluppo turistico della zona.”

Nel dramma di Tavolara si innesta un elemento esilarante: che Tavolara debba essere utilizzata dalla NATO come rifugio di sommergibili Polaris con armamento nucleare è di pubblico dominio; soltanto il ministro della difesa ignora il fatto.
Certo è che Andreotti, se non è stato lui stesso menato per il naso dai generali della NATO, ha mentito spudoratamente. E' ciò che dimostrano i radicali intervenendo sul caso Tavolara con documenti esplosivi.
In una corrispondenza da Parigi del 23 settembre 1963, «Agenzia Radicale» (a. I, n. 55) dà notizia della costruzione della prima delle tre basi italiane per sommergibili NATO armati di Polaris, precisamente a Tavolara, nel golfo di Olbia, in Sardegna. Tra gli altri particolari l'«Agenzia Radicale», rende noto che i lavori sono già stati affidati dalla NATO alla Astaldi, una ditta italiana.
Il 2 ottobre dello stesso anno «Agenzia Radicale» (n. 56) pubblica ulteriori dettagli:

“Da Parigi abbiamo avuto una sola precisazione, che per quanto ci riguarda riveste il carattere di una nuova conferma di fondo: contrariamente a quanto comunicato, Tavolara non è la prima di tre basi italiane per sommergibili armati di Polaris, ma la prima di tre basi mediterranee, essendo le altre due una spagnola [la base di Rota?], l'altra in un'isola sotto la sovranità greca. Per il resto, ambienti NATO hanno sostenuto che la smentita d'obbligo spettasse semmai al ministero della difesa italiano (essendo italiana la fonte della notizia), mentre a Roma si è invece ritenuto che il ministro Andreotti non ha che da rispondere alle interrogazioni parlamentari, essendo la notizia proveniente da Parigi e relativa alla responsabilità dell'alto Comando NATO. Così aspettiamo ancora, e aspettano gli stessi ambienti di maggioranza, la popolazione sarda, i parlamentari e l'opinione pubblica, per sapere quali saranno le decisioni della NATO e del ministro della difesa italiano in proposito.”

Fra tutte le iniziative anti-NATO e in difesa della pace e del diritto delle genti a decidere del proprio destino, in un momento veramente drammatico che da diverse parti si tenta di strumentalizzare per fini tutt'altro che pacifisti, il partito radicale propone:

“la convocazione di un grande convegno dei paesi dell'area mediterranea, sui problemi della sicurezza civile anche in rapporto alla presenza di sommergibili armati di Polaris e della forza nucleare navale NATO costituita nelle settimane precedenti (neppure attraverso una delibera del Consiglio Atlantico ma tout court con un accordo a cinque: USA, Germania Federale, Italia, Grecia e Turchia).”

Il partito radicale ritiene che un'iniziativa del genere può consentire ai popoli interessati di seguire i vari «progetti Tavolara» che generali e ministri dovessero eventualmente elaborare, e rispondere con la dovuta fermezza. Comunque, ripropone a tutte le forze democratiche e antimilitariste:

“la battaglia per l'uscita dell'Italia dalla NATO, per il disarmo unilaterale del nostro Paese e dell'intera area europea (Est ed Ovest), per la denuncia dell'azione irresponsabile e reazionaria del ministro Andreotti (“Agenzia Radicale”, n. 56 del 2 ottobre 1963).

Tavolara ritorna in Parlamento nell'ottobre dello stesso anno con un'interrogazione e una proposta del senatore comunista Velio Spano. Andreotti ribadisce al senato la storiella delle antenne radio raccontata alla Camera. Velio Spano taglia corto chiedendo che una commissione di parlamentari visiti l'isola e accerti con mano la verità. Niente da fare: il segreto militare è al di sopra della curiosità del popolo sovrano e del Parlamento che lo rappresenta.
Si riaccende la polemica. I radicali diramano una nota politica con notizie e dati inediti sulla questione:

Secondo l'ineffabile Ministro della Difesa nel golfo di Olbia non si sarebbe progettato che la costruzione di un'antenna radio dell'esercito per fini pacifici… Dunque il nostro Ministro della Difesa per installare un impianto che richiede al massimo un ettaro di terreno e pochi lavori di scarso rilievo, ha:
    1. pagato 328 milioni per espropriare le proprietà private dell'Isola di Tavolara (600 ettari);
    2. incaricato la ditta Astaldi di scandagliare per settimane con mezzi tecnici rilevanti, sommozzatori e imbarcazioni di appoggio su cui si trovavano tecnici altamente qualificati; la roccia sottomarina dell'intera isola di Tavolara (il cui versante est - come è noto - si erge su fossa marina di oltre 200 metri);
    3. Effettuato studi per oltre un anno, come dimostrano fra l'altro i grandi disegni ancora oggi visibili sulla roccia a livello del mare e sotto il livello del mare, che unanimamente i tecnici dichiarano poter essere corrispondenti a progetti di scavi di caverne.
Oltre queste, altre osservazioni potrebbero essere fatte. Le contraddizioni tra le assicurazioni del governo regionale sardo, che aveva parlato di impianti radar, e quelle del Ministro che… assicura trattarsi di impianti radio, possono apparire solo tenui indizi. Che la ditta Astaldi abbia effettuati in genere solo importantissimi e segreti impianti militari, non solo per la difesa italiana ma per la NATO, può essere di per sé irrilevante. Che la stampa estera, indipendentemente (anche se successivamente) da «Agenzia Radicale», abbia dato, senza ricevere smentite, la stessa notizia; che il Ministro Andreotti abbia atteso che il Ministro Piccioni affermasse alla Camera l'impegno del nostro Paese per la forza multilaterale prima di fare la sua smentita, può non interessare molta gente.
Ma, per quanto ci riguarda, confermiamo quanto abbiamo scritto senza nulla ritirare nella forma e nella sostanza, della notizia che abbiamo ricevuto da Parigi e delle successive precisazioni da noi fornite. Ce ne assumiamo la piena responsabilità. Poi lasciamo giudicare all'opinione pubblica se sia più attendibile - in base ai dati di fatto - la nostra affermazione o quella del Ministro (“Agenzia Radicale”, n. 59 del 19 ottobre 1963).

La nota di «Agenzia Radicale» viene ripresa dalla stampa della sinistra sarda. «Sassari Sera» scrive:

“Già trecento operai si apprestano a invadere il più piccolo regno del mondo per costruire un tunnel che attraverserà per oltre la metà la montagna. E' ovvio che questo tunnel non servirà per deliziare gli abitanti con partite di palla a nuoto al coperto, né come base per una scuola di sci acquatico. Qui si parla di Polaris, di rifugi per sottomarini e di porto militare… Tavolara, Perdasdefogu, Sant'Antonio di Santadi, Teulada, Decimomannu sono tappe di una Sardegna che ogni giorno di più diventa fortezza. E' forse tempo che i parlamentari sardi e la Giunta regionale si interessino più da vicino della vita e della tranquillità dei loro elettori (“Sassari Sera”, 1° novembre 1963).

La rivista di Cagliari «Sardegna Oggi» riafferma senza mezzi termini:

“Nell'isola di Tavolara sorgerà una base per sottomarini muniti di Polaris: la notizia non è stata smentita; deve quindi ritenersi esatta… E' noto a tutti che cosa significhino le basi per i Polaris: significano armamento atomico multilaterale della NATO, cioè possibilità di riarmo tedesco che arriva fino alla concessione di missili a testata nucleare… La presenza di gran numero di militari e tecnici tedeschi in Sardegna è sintomatica anche a questo proposito… (“Sardegna Oggi”, novembre 1963).

Un anno più tardi (agosto '64) il Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale dell'Area Europea emette un comunicato: le indiscrezioni radicali erano fondate, la trasformazione della suggestiva isola in uno strumento bellico si va compiendo a ritmi accelerati, i governanti hanno mentito e truffato ancora una volta (“Agenzia Radicale”, n. 85 del 28 agosto 1964).
1969. Era nella logica delle cose prevedere un dirottamento dei filoni turistici verso aree mediterranee più tranquille - purtroppo sempre meno reperibili. E nella logica delle stesse cose è che le basi militari tendono ad allargarsi a macchia d'olio: una base necessita di ampliamenti e continui aggiornamenti in relazione ai nuovi strumenti difensivi e offensivi prodotti dalla tecnica; ogni base necessita a sua volta di altre basi: di appoggio e di integrazione, sottomarine, navali di superficie, aree poligoni di tiro, campi di addestramento, caserme, depositi di carburante, oleodotti, furerie, sussistenza, impianti radio e radar, polveriere, ecc. Il tutto - come d'uso - circondato dal più rigoroso segreto. Il che significa creare il deserto atomico, soppiantare o condizionare la società civile.
Non sono quindi in pericolo soltanto gli interessi economici degli operatori turistici e delle popolazioni della zona: sono in pericolo le istituzioni democratiche e la crescita civile della società.
Un giornale socialista dell'isola ha scritto:

“Non ci piace il neocapitalismo. Non ci piacciono i prìncipi ricchi. Ma se gli uomini che hanno in pugno il potere e i nostri destini ci mettono di fronte al dilemma - o il principe Karin o i missili atomici - noi ci facciamo mussulmani e scegliamo il principe Karin.”

Siamo invece dell'avviso che il popolo sardo possa rifiutare i missili atomici senza dover necessariamente accettare il Corano di Alì Babà. I capitalisti che muovono i capitali nella speculazione turistica sono gli stessi capitalisti che fomentano le rivalità nazionali per produrre e spacciare armi. E quando - come a Tavolara - dovessero diminuire i profitti dei capitali investiti in speculazioni di «pacifico sfruttamento dell'uomo e del suo naturale patrimonio», allora gli Alì Babà si rifarebbero con i profitti dei capitali investiti nella costruzione di missili. Per il capitalismo, Tavolara è un affare come lo è stato la Costa Smeralda.
1970. Che cosa si nasconde oggi nelle viscere di Tavolara? L'isola è diventata top secret. Per un largo raggio intorno alle sue coste è calata una fitta barriera. Dietro - continuano a dire gli informatori ufficiali - non c'è nulla, solo un impianto radio con relativa antenna. Si tratta, purtroppo, di informatori con licenza di mentire per la sicurezza dello Stato. Andreotti è il ministro che ha avuto più di ogni altro il grave compito di imbastire bugie militari per assopire l'opinione pubblica. Ha dichiarato pubblicamente che nessun pericolo avrebbe minacciato il turismo, che l'economia della zona non ci avrebbe rimesso una lira, che soltanto una piccola parte dell'isola sarebbe stata espropriata e che le aree non utilizzate sarebbero state restituite all'attività civile.
I fatti smentiscono Andreotti. Il turista che soltanto osi avvicinarsi alle acque off limits viene respinto o portato in questura per gli «accertamenti del caso»; una revoca degli espropri non c'è mai stata; l'impianto radio che doveva essere per comunicazioni a largo raggio ha accorciato tanto le distanze da raggiungere le vicine unità della VI Flotta USA che vi convergono per compiervi esercitazioni di sbarco e altri divertissement guerreschi.
Certo, vien fatto di pensare che schiere di bionde nordiche mollemente distese a crogiolarsi al sole in quelle insenature luminose farebbero un ben più umano e piacevole paesaggio dei marines stivalati e infardellati violentare e insozzare la pace e le forme di quella natura coi vomiti delle loro infernali armi. Di Tavolara ricordiamo con nostalgia le profonde grotte a fior d'acqua, rifugio paradisiaco di amanti alla Lawrence. Oggi, in quelle stesse grotte opportunamente adattate trovano rifugio i sommergibili a propulsione atomica coi loro missili erti pronti a eiaculare sui popoli della terra il caos dell'apocalisse.
Diciamolo pure apertamente - tanto, oggi come oggi, con la sensibilità visiva e auditiva che si è fatta la gente, il top secret è il segreto di Pulcinella - che Tavolara è una base di sottomarini Polaris in dotazione alla NATO. Ma si sa di più, oggi. E cioè che i comandi militari avevano pensato in un primo tempo di installare una base di missili per gli stessi sottomarini nelle coste sud-orientali della Sardegna, a poca distanza da Cagliari. Alla fine avrebbe prevalso Tavolara: elemento non ultimo la sua posizione che consente di tenere lontani occhi indiscreti con relativa facilità. Ma c'è anche chi dice sia probabile che sia stato portato avanti anche il primo progetto di base, vicino a Calamosca dove si trovano immensi depositi di carburante.
I top secret, anche quelli meglio vigilati, lasciano sempre qualche spiraglio imprevisto. Non è difficile, oltre tutto, parlare con qualcuno degli operai sardi che vi hanno lavorato, reclutati per i soliti lavori di manovalanza. Sappiamo così che Tavolara è una gruviera brulicante di vermi d'acciaio. In una parte non precisabile del sottosuolo è stata scavata un'immensa caverna. Presumibilmente il soggiorno dei Polaris. La gente della zona chiama questa caverna una «manna abbeddu», e dice che non se l'è sognata. Le opere di finitura e gli impianti sono stati compiuti da tecnici americani e tedeschi - i sardi, di norma, vengono licenziati appena dimessi i picconi e i badili (“ABC”, 1969).
In Sardegna queste cose le sanno anche i bambini, figuriamoci il controspionaggio dell'Unione Sovietica o di Vattelapesca! Gli unici a non sapere nulla sono i nostri Andreotti… onestamente convinti che il futuro del globo terracqueo riposi sul top secret. Che è sacro e inviolabile segreto anche quando è di pubblico dominio. Un ingranaggio del meccanismo mentale proprio dei sacerdoti che officiano consacrazioni a nebulose divinità nazionalistiche.
Infatti, durante l'estate, non sono pochi gli ignari turisti che a bordo di natanti si dirigono verso l'isola, attratti dalla promettente veduta di deserte insenature e forse in cuor loro propensi a credere nell'andreottiano impianto radio, a una base militare di lievi e violabili proporzioni. L'intervento nell'apparato di vigilanza è sempre immediato. I sospetti finiscono in caserma o in commissariato e devono dimostrare che non sono spie o sovversivi - altrimenti sono dolori.
Non si deve vedere, né sapere quali diavolerie appronta il sistema per atterrire e tenere in pugno i popoli della terra. A Tavolara, ben visibile, come lo specchietto per le allodole, c'è una lunga antenna radio. Nelle sue viscere si scava e si trama il crimine della guerra.
C'è una morale politica da trarre. Non è stato fatto abbastanza, o forse non nella giusta direzione, per sensibilizzare e mobilitare le masse popolari sulla questione delle basi militari, in particolare su quelle come Tavolara fornite di armi nucleari.
Il popolo sardo si arrampica quotidianamente con le unghie e con i denti sulle pietre della sua millenaria povertà, alla disperata ricerca della più elementare sopravvivenza - stretto d'assedio da truppe coloniali, fiscaleggiato da una burocrazia statale di stampo spagnolesco, beffato dalla giustizia, seviziato braccato confinato da un apparato repressivo cui ogni potere è lecito…
Come può difendersi questo popolo, oltre che dai vecchi mali, da questo nuovo e terrificante che va trasformando la sua terra in una polveriera atomica? Questo è il problema di fondo. A questo problema bisogna dare in Sardegna una soluzione nuova e radicale.

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