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SARDEGNA: UN’ISOLA PER I MILITARI


Marsilio Editori – Padova - 1972

Quando si dice che gli eserciti sono lo strumento per la difesa della integrità nazionale e per la conservazione delle istituzioni democratiche, si dice un falso.
Ovunque e sempre più le strutture militari assolvono allo scopo di conservare regimi fondati sul privilegio di classe;
ovunque e sempre più sono lo strumento, insieme alla famiglia autoritaria, alla scuola classista, alla fabbrica, per la formazione di individui acritici da cui si attende che dicano sempre di sì nella vita e nel lavoro;
ovunque e sempre più sono istituzioni che hanno il compito e il destino di reprimere e d assassinare le forze democratiche e con loro ogni libertà e ogni conquista democratica;
ovunque e sempre più sottraggono enormi mezzi finanziari allo sviluppo economico e sociale del mondo;
ovunque e sempre più tendono ad affermare ed imporre il concetto stesso della violenza come unico mezzo di confronto politico e di lotta civile.

(Dal documento redatto dal Partito Radicale e dal Comitato per la III marcia antimilitarista Milano-Venezia, 1969)


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1. Perché questo libro

 

Le strutture militari rappresentano un condizionamento negativo e un limite opprimente dello sviluppo sociale ed economico delle comunità in cui sono insediate e un condizionamento dello sviluppo dei diritti civili e delle strutture democratiche.
Un'analisi improntata a questo convincimento può essere effettuata per tutte le comunità nazionali nei loro vari momenti storici.
Ma per la Sardegna - e soprattutto per la Sardegna d'oggi - il discorso diventa particolarmente illuminante, giacché - venuta meno quella caratterizzazione dell'isola, rappresentata dalla inacessibilità geografica e dalla malaria - la Sardegna è diventata la zona prediletta per gli insediamenti militari e per le sperimentazioni non solo degli strumenti bellici, ma delle strutture e dei rapporti tra società civile e potere militare.
Nell'isola esistono vasti spazi scarsamente popolati, e trascurabili erano e sono gli interessi economici modernamente organizzati di tale peso socio-politico da rappresentare ostacoli rilevanti a una politica di utilizzazione militare massiccia e indiscriminata. D'altra parte, la condizione dei diritti civili nell'isola - per una serie di motivi storici e socio-economici - era ed è tale da rappresentare una condizione ideale per l'esplicazione del potere militare, per la sperimentazione delle tecniche legate ai concetti di guerra totale.
Vaste zone - come le Barbagie - sono indiziate più degli individui che le abitano, e in esse il riconoscimento di un moderno atteggiamento delle autorità nei limiti di uno stato di diritto è considerato una stravagante utopia.
La Sardegna diventa così - superato l'ostacolo della malaria con la nota operazione Rockfeller - un'area di militarizzazione intensiva. Se è vero che gran parte delle forze militari di terra italiane sono dislocate nel Veneto-Friuli, è anche vero che nessuna regione come la Sardegna ha visto interdire praticamente da ogni attività civile zone tanto vaste, ha visto sorgere così preoccupanti impianti di armamenti non convenzionali.
Tale situazione pesa ovviamente nella già precaria economia dell'isola, come pesa nello sviluppo delle condizioni civili delle popolazioni.
Gli aspetti più appariscenti sono l'interdizione di vaste zone di eccezionale interesse turistico al processo di valorizzazione e di sviluppo. L'isola di Tavolara, la penisola di Capo Frasca, l'entroterra di Capo Teulada, il Salto di Quirra e larghe fasce costiere, numerose zone nei pressi di Cagliari sono completamente chiusi al turismo. Limitata l'attività agricola e la pesca nelle zone sopraddette e inoltre a Decimo, a Villasor, a Serrenti, a Pratobello di Orgosolo.
Ma forse più massicce sono le conseguenze indirette di talune limitazioni e servitù militari.
Se la cosiddetta lotta al banditismo ha assunto spesso in Sardegna carattere odioso e provocatorio nei confronti di intere comunità, ciò è dovuto a uno spirito che, travalicando i pur nefasti procedimenti polizieschi, è giunto a concepire certe operazioni come espressione e prefigurazione di una lotta di difesa interna come vere e proprie operazioni militari. Nessuno può ignorare che tali atteggiamenti hanno il loro terreno ideale in ambienti in cui le strutture militari e i progetti di difesa sono particolarmente rilevanti e intensi e sono «nell'aria».
Documentare questo singolare aspetto della situazione sarda diventa così un mezzo per affrontare con maggiore serietà e con maggiore ricchezza di elementi il problema del militarismo e dell'incidenza delle strutture militari nella società italiana ed europea.



2. La militarizzazione dell'isola

La graduale liberazione dei popoli nord-africani dal colonialismo ha coinciso con l'insediamento e l'allargamento delle strutture militari della NATO in Sardegna. Ultima fase della escalation è Decimomannu, a 17 chilometri da Cagliari, diventata la più importante base aerea americana nel Mediterraneo, dopo lo smantellamento della base di Wheelus Field, in Libia, nel 1970.
«Una delle caratteristiche della potenza globale americana è la promozione di Stati satelliti, la ricerca di regimi sicuri che offrano altrettante sicure basi militari», scrive Luigi Pintor. «Il sud-Europa è già ridotto abbondantemente in questo stato, con il Portogallo e la Spagna ed ora con la Grecia, secondo un asse da cui solo l'Italia è per ora esclusa…». Ma non è esclusa la Sardegna, che «somiglia per tanti versi ad una colonia militare (c'è chi la paragona al Vietnam o al Congo!)» (“Rinascita Sarda” - 10 settembre 1967).
Diversi anni prima di Pintor, una rivista socialista di Cagliari scrive:

“Se si considera che, nel rinnovo del patto militare ispano-americano anche Franco viene di fatto inserito nel sistema difensivo dell'Occidente, non c'è dubbio che ci troviamo in buona compagnia. La Sardegna, così diventata una grande base della NATO, costituirebbe il fulcro di un'alleanza mediterranea che poggia da un lato sui fascismi iberici e dall'altro sulla reazione realista greca; il tutto sotto l'interessata guida e protezione del militarismo tedesco, abbastanza forte, forse, da fermare Kennedy sulla via della distensione. Un simile piano, è indubbio, costituirebbe un duro colpo alle speranze di pace dell'Europa e sarebbe l'inizio più disastroso per una collaborazione governativa tra cattolici e socialisti”.(“Sardegna Oggi” – 15 novembre 1963)

Previsioni in parte azzeccate: la «reazione realista» è divenuta «fascismo» in Grecia, con il colpo di stato dei colonnelli; Kennedy non è stato fermato «sulla via della distensione» direttamente dai generali della Wehermacht ma dai loro camerati di Dallas; la collaborazione governativa tra cattolici e socialisti non è stata «disastrosa» per contrasti sulle basi NATO in Sardegna - sanati dall'atlantismo nenniano - ma per altre questioni.
“Nei primi giorni di luglio del 1967 si registra un incontro tra l'assessore al turismo della Regione sarda, Sandro Ghinami, e il ministro della difesa, Roberto Tremelloni, per discutere il problema delle basi italiane e interalleate presenti in Sardegna in rapporto all'insediamento di complessi turistici. La stampa ha ignorato l'incontro, che pare sia stato piuttosto agitato: l'on. Sandro Ghinami avrebbe dapprima spiegato al ministro come le basi stiano allontanando dall'isola ingenti investimenti privati e comprimendo i complessi già esistenti, e che la Regione sarda e la CASMEZ hanno già investito diversi miliardi in infrastrutture che il turismo non potrà utilizzare. Il ministro avrebbe risposto che il dicastero della difesa non ha mai escluso determinati litorali e zone dell'interno dai piani di difesa militare e che lo sviluppo del turismo non può condizionare questi piani, che oltre tutto sono previsti da trattati militari internazionali. Al che il socialista Ghinami avrebbe replicato vivacemente al ministro compagno di partito, minacciando di violare il riserbo sulla questione - fino ad allora mantenuto proprio su richiesta dello stesso ministero”(“Sassari Sera” – 15 luglio 1967).
Purtroppo, niente altro che uno sfogo personale, neppure riportato in sede di assemblea regionale, né reso noto alla pubblica opinione. Gli amministratori della Regione sarda hanno supinamente accettato i pesanti condizionamenti che le basi militari NATO comportano all'economia dell'isola - non hanno saputo neppure chiedere, come è stato fatto dagli amministratori del Veneto-Friuli, incentivi e indennizzi statali che almeno in parte rifondessero i danni causati alle popolazioni.
Nel marzo del 1965, il consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, dopo un ampio dibattito, approva all'unanimità una mozione, dove si dice:

“Non si tratta soltanto di un danno che può essere commisurato a quello subito dal singolo proprietario, bensì di una perdita maggiore: qualora si pensasse di soddisfare i danni attraverso gli indennizzi ai privati, non si sarebbe ancora risolto il problema dell'indennizzo alla collettività. Questa affermazione discende dalla contestazione che il gruppo sociale resta frenato nello sviluppo potenziale, che certamente avverrebbe in assenza di vincoli, grazie agli effetti moltiplicativi del sistema nel suo insieme. Il danno deriva dall'apparato economico locale per il fatto che le possibilità di sviluppo economico vengono depotenziate e perciò - per un principio di equilibrio - richiedono la compensazione non incentivi di altro tipo. Accanto al problema strettamente economico esiste poi quello territoriale-urbanistico, in quanto è necessario trovare una forma di compatibilità tra la destinazione militare - che in generale è mutevole nel tempo - e le destinazioni civili previste in sede di programmazione, in base ad un piano che ha necessità di proiettarsi in una previsione non inferiore ai quindici anni… Un ulteriore problema che si prospetta infine in sede di liquidità interna, compensando con particolari incentivi le zone vincolate, in modo da offrire loro le stesse possibilità e vocazioni economiche - delle restanti aree regionali” (“AGI” Agenzia Giornalistica Italiana – marzo 1965).

Il consiglio regionale del Friuli - sia pure eludendo le questioni di fondo del militarismo - dimostra almeno di saper tutelare gli interessi spiccioli dei suoi amministrati, denunciando una superficie di circa 50.000 ettari condizionati da servitù militari. Ma che dire della Sardegna, dove i soli poligoni missilistici di Salto di Quirra coinvolgono un territorio vasto almeno 145.000 ettari?
Questo il panorama delle principali aree dell'isola soggette a vincoli di carattere militare:
- Cagliari, zona est: dal borgo di Sant'Elia a Calamosca, alla Grotta dei Piccioni: impianti radar, poligoni di tiro, depositi di carburante per mezzi aereo-navali, presumibile base di sommergibili Polaris - i depositi di carburante sono raccordati mediante oleodotto alla base aerea di Decimo: le tubature attraversano lo stadio di Sant'Elia;
- Cagliari centro: a Monte Urpinu e a Colle San Michele: impianti radio; nel porto, giganteschi serbatoi di carburante della Shell e dell'Agip sul molo di ponente; depositi di esplosivi, oleodotti della marina e dell'aviazione; sul molo di Sant'Agostino, depositi di carburante della Esso;
- Cagliari, ovest: a Nora, stazione ecogoniometrica a lungo raggio a lato della necropoli punica;
- Capo Teulada: Centro di Addestramento per Unità Corazzate (CAUC), ufficialmente riservato all'esercito italiano ma usato da reparti della NATO per manovre terra-aria-mare; superficie espropriata e occupata circa 8.000 ettari; superficie interessata durante le esercitazioni a fuoco almeno 20.000 - salvo imprevisti;
- Decimomannu: aeroporto NATO, superficie approssimativa 1.000 ettari - una vasta e fertile area sottratta alle comunità di Decimo, Villasor, San Sperate. L'aeroporto viene usato da italiani, tedeschi e canadesi. Questi ultimi sono stati soppiantati dagli americani, e si parla di un ulteriore ampliamento e potenziamento delle sue strutture. L'aeroporto viene usato per l'addestramento dei piloti di aerei supersonici al tiro sul poligono di Capo Frasca (Oristano);
- Capo Frasca di Oristano: poligono di tiro per aerei supersonici della NATO ad armamento nucleare; interessa una zona vasta circa 5.000 ettari;
- Zona costiera del Sulcis-Iglesiente, praticamente da Capo Teulada a Capo Frasca: oltre cento chilometri di fascia costiera sono interdetti a opere di valorizzazione turistica perché zone di esercitazioni aeree;
- La Maddalena e arcipelago omonimo: basi della marina militare, con relativi depositi e impianti; l'isola maggiore ha una superficie di 3.549 ettari;
- L'isola di Tavolara: base di sommergibili Polaris con armamento nucleare e centro di addestramento al tiro per marines della Flotta USA; ha una superficie di oltre 600 ettari;
- Salto di Quirra: poligoni sperimentali e di addestramento interforze (NATO). I poligoni sono situati presso il comune di Perdasdefosu e presso il mare a Capo San Lorenzo: vi si eseguono prove sperimentali in volo di prototipi di missili, prima della loro produzione in serie; vi si addestrano unità della NATO con «tiri reali» nelle varie combinazioni missilistiche terra-aria-mare. Superficie occupata, circa 20.000 ettari; superficie effettivamente interessata durante i frequenti lanci missilistici circa 145.000 ettari (dato ottenuto conteggiando i territori dei comuni avvertiti dai bandi dell'aereonautica militare di sgombrare le campagne);
- Tempio: base NATO per ricezione dati e impianti radar;
- Serrenti: base e polveriera dell'aviazione militare;
- Lungo la superstrada Cagliari Sassari: centri di avvistamento radar;
- Pratosardo (tra Nuoro e Orgosolo): polveriera dell'esercito e comando artiglieria con sede di specialisti artificieri;
- Barbagie (zone imprecisate): aree per esercitazioni al lancio di truppe speciali paracadutate;
- Pratobello di Orgosolo: poligono di tiro per unità terrestri dell'esercito italiano; area occupata circa 12.000 ettari;
- Monti del Limbara (zone imprecisate): si parla di rampe missilistiche.
E' il caso di sottolineare che i dati riportati qui sono di pubblica conoscenza, più volte indicati e descritti dalla stampa isolana e nazionale. E va anche aggiunto che, presumibilmente, tali dati sono incompleti e imprecisi. Infine, mancano i dati sulle servitù militari minori, di tipo tradizionale, che sono una miriade, e che seppure nel loro complesso incidono profondamente nella crescita socio-economica dell'isola, non hanno un'immediata e drammatica pericolosità.
Poche sono state finora le iniziative antimilitariste che hanno saputo mobilitare le masse. Nel 1962, ai primi di maggio, si è registrata una marcia della pace promossa dall'UGI dei due atenei sardi, dalla rivista «Icnusa» e dal centro della Nonviolenza di Perugia, animatore Aldo Capitini. Un imponente corteo di lavoratori sfilò per le vie di Cagliari. La Sardegna, che già cominciava a subire la massiccia penetrazione del militarismo USA, chiedeva «la fine di tutti gli esperimenti nucleati atmosferici e sotterranei; il disarmo generale e controllato con l'eliminazione di tutte le basi atomiche esistenti nel mondo…».
La seconda rilevante manifestazione popolare antimilitarista si ha a Pratobello nel giugno del 1969, che ha visto tutta la popolazione di Orgosolo insorgere contro la provocatoria istituzione di un poligono di tiro negli unici terreni pascolativi.
La stessa stampa quotidiana, in questo decennio di penetrazione militare, preferisce tacere. Soltanto qualche foglio a bassa tiratura fa sentire un grido di allarme di quando in quando.

“La Sardegna è oggi nel suo complesso una base determinante del dispositivo della NATO. Le servitù militari si sono estese a larga parte del territorio dell'isola. Si compiono incessantemente, notte e giorno, esercitazioni di volo sugli abitati dei nostri Campidani, con aerei che sempre più si schiantano nelle campagne e al limitare dei paesi. Anche da questa parte siamo scambiati per una terra di colonia e per un popolo inferiore, dove è lecito anticipare il clima della guerra, violando elementari diritti ad una convivenza pacifica e laboriosa…” (“Rinascita Sarda” – dicembre 1965).

“Le basi continuano a moltiplicarsi… E' la fine dell'autonomia. Mentre i socialdemocristiani temporeggiano, mentre il Piano di Rinascita sardo si dilunga, mentre i coloni abbandonano campagna e lavoro per la mancanza di una programmazione che ridia anima in termini nuovi alle tradizionali attività isolane, sgravate dalle servitù militari, mentre le miniere chiudono i battenti dal Sulcis al Sassarese e i profughi sono sballottati da una città all'altra della Svizzera o della Germania, è la NATO che si arrocca da padrona in Sardegna fra mare e cielo, costringendo l'isola ad abdicare alla propria autonomia in cambio di un'immensa formidabile macchina da guerra. Una macchina che a noi non serve…” (“Scienteia” – Bucarest 1966).

In occasione della rivolta orgolese per Pratobello, il Circolo «Città-Campagna» entra nel vivo della questione con un ciclostilato del 23 giugno 1969:

“La Sardegna… già da tempo sta subendo la trasformazione in una gigantesca base militare italiana e straniera… Ma soprattutto si deve constatare ormai che sulla Sardegna intera e non solo sulle Barbagie si sta calando un regime militare e di polizia… [che] è da collegarsi a motivi più vasti, a propositi più complessi che non riguardano solo l'isola… Per quanto riguarda la Sardegna, un regime militare e di polizia non è altro che lo strumento per tenere inchiodate le popolazioni alle loro condizioni coloniali… In particolare, la colonizzazione comporta la totale liquidazione di ogni attività di lavoro ancora autonoma, ancora non totalmente soggiogata allo strumento capitalistico. Comporta in altre parole la liquidazione della pastorizia e dell'agricoltura in quanto attività di allevatori e coltivatori diretti, comporta la liquidazione dei pastori e dei contadini…”

Si tratta di un'analisi coerente agli sviluppi della storia del colonialismo in Sardegna fino a un recente passato - da rivedere in relazione all'attuale situazione storica.
Dopo la seconda carneficina mondiale - per una serie di cause che qui è superfluo elencare - gli schemi tradizionali del colonialismo hanno subito un profondo mutamento, seppure ne resta immutata la sostanza sopraffattrice e sfruttatrice. I movimenti di liberazione nazionale hanno portato numerosi popoli coloniali alla dimensione di nazione. Ma in realtà, nessuno di questi nuovi Stati, già colonie, ha potuto liberarsi dalla tutela delle potenze imperialiste.
Le stesse potenze colonialiste minori, come la Spagna, l'Italia, il Portogallo, la Grecia non sono sfuggite a questo gioco obbligato: in cambio di basi militari, dello sfruttamento di certe materie prime e della disponibilità dei mercati vengono garantiti a questi «alleati» di «vecchia civiltà» capitali, strumenti tecnologici, armi, un certo tipo di benessere consumistico nell'ambito di un certo ordine politico. L'Italia ha venduto di fatto la Sardegna agli USA come area di servizi militari - in cambio gli USA garantiscono alla classe dirigente italiana la gestione del potere economico e politico.
Non è quindi - come affermano i compagni sardisti del Circolo «Città-Campagna» - che «il regime militare e di polizia cali sulla Sardegna» per liquidare le strutture socio-economiche tradizionali, di cui sono espressione il pastore e il contadino; perché queste strutture costituirebbero un ostacolo al disegno di asservimento totale dell'isola al capitalismo italiano e straniero. L'asservimento dell'economia sarda non rende nulla agli USA - rende invece l'uso dell'isola come anello della catena strategica NATO, come portaerei e base missilistica al centro del Mediterraneo. Ed è sulla realtà di una Sardegna militarizzata che si struttura e si articola ogni intervento pubblico o privato di sviluppo economico.
L'isola è niente di più che uno strumento bellico, come può esserlo la VI flotta, ed è anzi un grosso passivo nell'economia americana - come lo sono tutti gli eserciti e tutti gli armamenti del mondo - un passivo che tirate le somme sono i popoli a pagare, i pastori sardi come i negri d'America. E sono passivi, per le popolazioni sarde, gli interventi economici che debbono «necessariamente» ammodernare l'isola «in funzione» delle basi militari: la costruzione di strade per i collegamenti e gli spostamenti di truppe e mezzi; la creazione di industrie petrolchimiche, in particolare raffinerie, per sopperire ai bisogni della macchina bellica; la costruzione di porti, aeroporti ed eliporti alcuni dei quali possono anche essere provvisoriamente usati per i traffici civili; la creazione di zone residenziali e turistiche e di parchi per il riposo dei «guerrieri» - di coloro cioè che della guerra hanno fatto una industria per conservare e potenziare le industrie; gli interventi «umanitari» per rendere «asettico» l'ambiente naturale (bonifica malarica) e sociale (moralizzazione dei costumi).
Le cause che muovono il meccanismo che ha per fine la soluzione finale dei barbaricini sono più complesse di quanto non sembri. Certamente si vuol dare il colpo di grazia alle strutture socio-economiche della civiltà barbaricina, perché non può essere inglobata né asservita alla civiltà capitalista: la cultura barbaricina ha fondamenta nell'uso comune della terra e nella comune proprietà degli strumenti di produzione, quindi sui valori e sulle capacità individuali, in cui il modello di società è il rapporto paritetico e mutualistico di individui liberi; la cultura capitalista si basa sull'accentramento dei capitali e degli strumenti di produzione in mano a pochi, e quindi sulla massificazione e la schiavizzazione dei molti.
I barbaricini rappresentano per il sistema capitalista un grosso pericolo non come «concorrenti» in economia, ma come forza eversiva, capace di «turbare» l'ordine borghese che in Sardegna, più precisamente, è «ordine militare»: lo stesso che si richiederebbe all'interno di un forte o in una portaerei. Ogni intervento repressivo, ogni modificazione delle strutture socio-economiche autoctone, ogni insediamento di industria petrolchimica - perfino gli «innocenti» progettati «parchi nazionali» - sono atti compiuti col preciso calcolo di creare un tipo di società asettico in funzione della sicurezza e della efficacia delle basi militari.
I padroni del sistema, attraverso i loro canali di deformazione della verità, sostengono l'utilità per le popolazioni sarde di avere in casa molti soldati e molte armi. Durante la sollevazione orgolese dell'estate 1969 la stampa padronale si levò scandalizzata, chiedendosi come potesse una comunità dare un calcio a tanta fortuna:

“Le autorità militari hanno inteso, scegliendo la zona di Pratobello quale meta di un campo estivo [leggi: poligono di tiro con artiglieria] instaurare o meglio cercare di instaurare dei rapporti prima di tutto umani, contemporaneamente si è fatto il tentativo di agevolare l'economia di quei paesi, oltre all'apporto notevole che ne può derivare sotto il profilo del costume e dell'etica sociale” (“L’Unione Sarda” – 22 giugno 1969).

Questa tesi fa il paio con quella sostenuta dai Krupp e dai loro tirapiedi durante la prima carneficina mondiale, che tentava di convincere i lavoratori a far la guerra, decantando la salubrità del clima in trincea rispetto a quello mefitico della fabbriche. Questo uno stralcio esemplare, tratto da un giornale tedesco dell'epoca:

“Come respireranno infine centinaia di migliaia di operai quando saremo in guerra! A casa, nelle buie fabbriche, i cui cortili sono pieni di fumi appestati, forse in una fabbrica in cui l'avvelenamento da piombo è cronico, in un'industria di colori, ove il verde e il giallo di tutto un anno non si lavano più via dalla pelle, con il fracasso delle macchine e dei martelli, dove il baccano impedisce di scambiare due parole, o infine in quelle fabbriche dove l'individuo è trasformato in macchina, svolgendo giorno per giorno un lavoro infinitamente monotono e deprimente, lì l'operaio rischia di morire, lì il suo ego si raggrinzisce. Tutta la sua individualità si limita e si indurisce fino a quella singola e materiale nullità, che non ha alcun rapporto con un sia pur minimo moto dello spirito. Ora, queste persone vedono invece per tutto il giorno la luce. Hanno sole e aria, marciano per prati e monti, per campi e boschi, marciano pieni di aria vivificante e dormono all'aperto… In questo periodo le nuove impressioni possono penetrare senza ostacoli nell'animo. Dintorni pieni di colori, paesaggi sconosciuti, nuovi uomini con nuove lingue e con colorati e insoliti vestiti - tutto ciò affolla, riempie l'animo del povero operaio! Egli ridiventa uomo, può ridiventarlo” (“New Kent” – maggio 1970).

Un'opposizione politica - all'interno del sistema - contro la massiccia militarizzazione della Sardegna potrebbe essere organizzata dal partito comunista. Le manovre della NATO in Sardegna - si preoccupa Umberto Cardia, già segretario regionale del PCI - hanno «un carattere di provocazione antisovietica. Vi sono è vero nel Mediterraneo navi da guerra sovietiche, ma è ormai da tutti gli osservatori seri ammesso che, né per numero, né per armamento complessivo, esse rappresentino quel che si chiama una minaccia potenziale, essendo il loro obiettivo quello di rappresentare una forza stabilizzante…» («Rinascita Sarda», 1 maggio 1970).
La difesa nazionale è sempre una maschera con cui si vuole nascondere la funzione di cane da guardia delle strutture autoritarie, dell'asservimento delle masse lavoratrici che i diversi regimi affidano all'esercito. All'esercito infatti, di volta in volta, è affidato l'incarico: in Grecia di instaurare l'ordine dei colonnelli, nel Vietnam la civiltà del dollaro col massacro pianificato, in Cecoslovacchia di restaurare il socialismo coi carri armati, in Sardegna di imporre uno stato coloniale con i baschi blu.
Tutti i blocchi militari perpetuano una loro logica di potenza, di osservazione di regimi autoritari e sono sempre una perenne minaccia alla pace, alla democrazia, al socialismo. Se si è coerenti fino in fondo bisogna lottare contro tutti i blocchi militari, contro la NATO come contro il Patto di Varsavia. La pace non si costruisce approntando sempre nuovi e più micidiali strumenti di guerra, ma attuando la conversione delle strutture militari in strutture civili. Bisogna lottare quindi contro le strutture militari promuovendo l'obiezione di coscienza di massa, combattendo contro le proposte di un esercito di mestiere, lottando per il disarmo unilaterale del nostro Paese.
Le strutture militari, indipendentemente dal loro colore e dai valori cui fanno la guardia, rappresentano sempre una condizione negativa, sia nello sviluppo socio-economico e sia nell'affermazione dei diritti civili. E altro dato veramente tragico, per l'immensa potenza distruttiva che hanno raggiunto, esse mettono in pericolo la stessa sopravvivenza dell'umanità.
Il militarismo considera l'organizzazione e l'ordine militare come modello cui deve guardare la società civile: in Sardegna conforma questi agli schemi di quello.

“La presenza massiccia di basi militari e di relative servitù da un lato condizionano pesantemente l'economia e la crescita delle popolazioni e da un altro lato influenzano tutti gli istituti dello Stato, in particolare quelli della giustizia e dell'ordine pubblico. Qui, i generali di mezzo mondo, trovano l'ambiente adatto, covano gli strumenti bellici più terrificanti che la moderna tecnica possa produrre, e un poderoso apparato militare e di polizia circonda, protegge e mantiene nel più rigoroso segreto queste mostruose covate. Ogni aspetto della vita civile ne risulta intollerabilmente condizionato. Il clima della più rigida autorità e della più severa disciplina - l'annullamento dei valori individuali - è il fondamento del regime militare. La democrazia, di qualunque colore, è considerata una peste sociale. La circolazione delle idee - al di fuori del credere-obbedire-combattere - è un attentato alla sicurezza dello Stato. Premessa essenziale alla instaurazione del loro regno, i militari creano costosissimi apparati preventivi e repressivi di polizia, tradizionali e speciali, politici e comuni, spie e controversie che vigilano creando fantasmi per avere il pretesto di colpire uomini in carne e ossa con idee in testa. Anche la rilassatezza dei costumi - in particolare quelli sessuali - è ritenuta pericolosa alla armonia di una società gestita dai militari. Un buon cittadino deve esaltarsi davanti alle parate degli eserciti, scattare e commuoversi nell'udire inni patriottici, chinarsi riverente davanti agli eroi della guerra. Un buon cittadino può far parte della eletta schiera quando inoltre creda nel cattolicesimo religione dei padri, nell'indissolubilità del matrimonio concordatario e nella istituzione dei casini per la salvaguardia della verginità delle fanciulle perbene. Non fa meraviglia, quindi, che poliziotti e questurini difendano e proteggano le basi militari in Sardegna scrutando sospettosi la lunghezza delle gonne e dei capelli, ascoltando i timbri di voce per isolare gli scioperati e gli omosessuali…”(L. Mancosu, “Stato di polizia, giustizia e repressione in Sardegna” La Libreria, 1970, Milano, Libreria Feltrinelli).

Quanto costino gli impianti bellici situati in Sardegna nel bilancio dello Stato italiano e degli altri Stati in consorteria, non è facile sapere. I soli USA per la «mutua sicurezza», cioè per le loro basi e i loro armamenti «fuori casa», spendono somme vertiginose (per inciso, le spese globali militari degli Stati Uniti sono secondo un calcolo della FAO sei volte ciò che occorre ai popoli della terra per nutrirsi). Dai 2.442 milioni di dollari del 1946 sono passati ai 3.675 milioni di dollari nel 1955. Nello stesso anno, la NATO ha speso per potenziare il suo apparato bellico 62.202 milioni di dollari. Una somma che negli ultimi quindici anni si è triplicata.
La NATO, alle origini, nel 1949, era ricca di assunti mutualistici, ma ancora povera di forze. Un anno dopo la firma del trattato, nel 1950, i paesi dell'alleanza lamentano d'essere in possesso di appena 14 divisioni e poco più di un migliaio di aerei da guerra. Nel 1954, il generale Alfred Gruenther, comandante in capo, dichiara che la NATO ha a disposizione circa 100 divisioni «in vario grado d'impiegabilità», che la forza aerea è «ancora maggiore rispetto alla crescita degli effettivi terrestri, e un immenso aumento di forze è stato compiuto nel settore della marina sia nell'Atlantico che nel Mediterraneo» (I. Menken, “Il riarmo nell’economia sovietica” Roma, Opere Nuove,1960). Un anno più tardi, nel 1955, il tenente generale Courtland Schuyler, capo di stato maggiore delle forze unite dell'Europa Occidentale, rileva che il «sistema di difesa è ancora insoddisfacente», e che molto resta da fare per ottenere una «cooperazione tra potenza atomica e forze terrestri». Da quell'anno, infatti, la NATO si munisce di armi nucleari. In Turchia, ai confini con l'URSS, vengono collocati sbarramenti di mine atomiche. La Germania democristiana di Bohn è dell'idea che mine dello stesso tipo debbano essere predisposte lungo il «sipario di ferro». Spagna, Grecia e Sardegna vengono utilizzate come basi per sottomarini forniti di armi nucleari e per aerei da bombardamento atomico e vi costruiscono le prime rampe missilistiche. La sola Spagna riceve dagli USA come «affitto basi», in contanti e sotto forma di crediti, oltre 240 milioni di dollari - dove vadano a finire questi soldi è facile presumere: servono al potere falangista di Franco per mantenere l'apparato repressivo e liberticida.
Dei pericoli che incombono sulle popolazioni dell'isola, la stampa non ama parlare - gli incidenti bellici non fanno notizia, sono sempre «una triste fatalità». Comunque, per tradizione, le eventuali vittime hanno il funerale assicurato a spese dello Stato, con seguito di autorità in divisa, banda musicale e bandiere al vento.
Nel 1967 dalle popolazioni di alcuni paesi a nord della base aerea NATO di Decimo è stato rilevato, dopo una potente esplosione, il caratteristico fungo atomico. Sul fatto è stato mantenuto dalle autorità civili e militari il più rigoroso riserbo. Ne hanno dato notizia due quindicinali di sinistra e ne è seguita un'interrogazione al parlamento regionale (“Sassari Sera” – novembre 1967).
I militari della NATO, tra una esercitazione e l'altra, si dedicano al contrabbando di liquori e sigarette e qualcuno fa anche traffico di droga. Nell'estate del 1968, un sottufficiale viene trasferito per soffocare lo scandalo.

“Da almeno un anno si sarebbe dedicato al reperimento e allo smercio di ingenti quantitativi di liquori, delle marche più pregiate, che acquistava ai noti prezzi convenzionali riservati ai militari della NATO (pari ad un quarto del loro valore commerciale) e che rivendeva sulla piazza di Cagliari ottenendo alti margini di guadagno. Non si esclude che oltre i liquori il sottufficiale tedesco abbia trattato anche allucinogeni del tipo LSD riservandosi per questa particolare merce di contrabbando guadagni favolosi…”(“Sassari Sera” – 30 giugno 1968).

Droga e proiettili di mitragliatrice. Il 12 maggio del 1968 i contadini nella campagna di Calasetta, una cittadina a 50 chilometri da Cagliari, assistono a un carosello tra due aerei da combattimento che a un tratto si abbassano in picchiata, sparano alcune raffiche di mitraglia e scompaiono all'orizzonte. Diversi proiettili hanno colpito la strada e dissestato l'asfalto, alla periferia di Calasetta. Numerosi altri proiettili di calibro più grosso vengono ritrovati lungo la costa, ai margini dell'abitato. Per una fortunata coincidenza non ci sono state vittime.
La notizia del fatto, che ha avuto troppi spettatori per potersi tacere, si diffonde rapidamente. La stampa governativa affaccia l'ipotesi di «aerei di nazionalità sconosciuta» - si vuol far pensare ad aerei con stella rossa o forse cinesi. Si apre la solita inchiesta. Le note stampa si susseguono freneticamente in una ridda di ipotesi.

“Cagliari, 13: Il comando militare dell'Aereonautica… in collaborazione con i carabinieri stanno svolgendo indagini per far piena luce sul misterioso episodio…
Cagliari, 14: A quanto si apprende negli ambienti militari della base di Decimo, il giorno in cui sono stati avvistati gli aerei, quattro reattori della base NATO stavano effettuando manovre al di fuori delle acque territoriali… Si esclude quindi siano stati esplosi dai quattro aerei a reazione”.

Cagliari, qualche giorno dopo:

“Si esclude che i proiettili siano stati sparati da aerei italiani… i proiettili dei caccia a reazione italiani sono colorati, mentre quelli trovati a Calasetta non hanno alcuna colorazione. Si esclude anche che i proiettili possano essere stati sparati da aerei canadesi o tedeschi della NATO; sia gli uni che gli altri hanno infatti proiettili di diverso calibro. Le possibilità sono dunque che i proiettili siano stati esplosi da aerei americani durante una esercitazione al CAUC (Centro Addestramento Unità Corazzate) di Teulada, oppure da aerei della marina statunitense provenienti da una portaerei” (“AGI” Agenzia Giornalistica Italiana, pp. 13-14, maggio 1968).

Dalla ridda di ipotesi che vengono formulate sulla paternità della sparatoria, se ne deduce che il cielo della Sardegna, in quel 12 maggio, pullulava di aerei in esercitazioni di guerra di almeno quattro grosse nazionalità diverse.
L'inchiesta non è riuscita ad appurare chi abbia sparato. E tutto per colpa di alcuni ragazzi di Calasetta. Infatti, i monelli avevano raccolto loro tutti i proiettili e li avevano nascosti per farsene ciondoli.

“Il comandante della stazione di Calasetta, venuto a conoscenza del ritrovamento dei proiettili, aveva invitato i ragazzi a consegnarli in caserma. Con stupore il maresciallo si è accorto che i ragazzi avevano cominciato a segarne e avevano lucidato gli altri con carta smeriglio tanto da fare scomparire i contrassegni” (“AGI” Agenzia Giornalistica Italiana, pp. 13-14, maggio 1968).

Così i militari della commissione d'inchiesta sono rimasti - poveretti! - con un pugno di mosche in mano. Presumibilmente, i ragazzi, appena in età, verranno proposti per il confino, avendo essi, «mediante carta smeriglio», ostacolato pubblici ufficiali «nell'esercizio delle loro funzioni».
Secondo alcuni notabili democristiani, i sardi - popolo fiero di guerrieri - vogliono le basi militari, ne sono contenti e si auspicano di riceverne altre. Lo dice anche Andreotti:

“I comunisti in Sardegna chiedevano all'elettorato, per il voto del 13 giugno, una condanna della militarizzazione della Sardegna… Con particolare violenza i comunisti se la sono presa con le installazioni difensive militari della Sardegna, sostenendo che esse attirano l'offesa dell'inimico, contrastano le turistiche espansioni, deprimono l'agricoltura e le foreste. A giudicare dai voti, questa specialissima tenacia antimilitare non ha attaccato” (“Concretezza”, 1° luglio 1965).

Intanto, i risultati elettorali, diventano una burla, in un regime clerico-sbirresco, in una colonia com'è la Sardegna, da cui in venti anni sono emigrati mezzo milione di lavoratori su un milione e mezzo di abitanti e dove l'analfabetismo raggiunge ancora percentuali del 25%, dove la medicina non ha ancora soppiantato la stregoneria e oltre la metà degli iscritti alla scuola dell'obbligo non frequenta e va a lavorare. Inoltre, Andreotti dovrebbe dimostrare, coi fatti, che i sardi vogliono le basi - sono i fatti che smentiscono Andreotti.
Sul diritto delle popolazioni di decidere dell'utilizzazione delle loro terre - che coinvolge la sostanza della autonomia regionale - parla un servizio apparso su «Il Ponte», nel dicembre 1969:

“La nostra Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. E’ appunto nel nome dell’autonomia che ci permettiamo di far osservare che nei nostri confronti si sta decisamente esagerando: ormai da diversi anni, si va compiendo un piano strategico politico-militare allo scopo di far diventare l'isola la principale polveriera dell'intero bacino del Mediterraneo… Si sono avute forme aperte di ribellione contro provvedimenti quali quelli, ad esempio, della presenza del poligono di tiro a Pratobello, istituito senza alcuna consultazione preliminare con gli enti locali e le popolazioni. Tutto ciò, naturalmente, in contrasto aperto col disposto della legge 20 dicembre 1932 n. 1849, relativo allo stabilimento di servitù militari, che nella fattispecie non ha trovato alcuna applicazione…”

Si tratta di una proposta quanto mai ingenua, quella dell'articolista de «Il Ponte», di chiedere al governo il rispetto della leggina n. 1849 varata nel 1932, anno X dell'era fascista, e sepolta sotto una valanga di leggi che riservano poteri discrezionali ai capi di stato e ai ministri, in materia di «difesa nazionale». Da quando in qua è esistito in Italia un governo che si sia posto la questione di interpellare il popolo per sapere se vuole o non vuole basi militari, eserciti ed armi, se vuole o non vuole fare la guerra? Se prendesse piede un simile «andazzo» democratico, il militarismo tirerebbe presto le cuoia - o resterebbe circoscritto, come altri fenomeni di schizofrenia criminale, dentro le robuste mura di un manicomio.
Intanto sono loro, gli «schizofrenici», a dettare legge, a pretendere di decidere del destino dell'umanità. Le manie che li caratterizzano sono di natura sadica. E' risaputo che i guerraioli sottopongono le reclute delle cosiddette «scuole di ardimento» a massacranti tours de force e a prove di allucinante temerarietà.
Intorno al 1964 sono trapelate notizie su certi misteriosi lanci di truppe speciali paracadutate in Barbagia. In particolare, il caso di 50 paracadutisti lanciati in quelle zone impervie e deserte per compiervi ignote esercitazioni e di 30 di essi spariti senza lasciar traccia. Dopo giorni e giorni di affannose ricerche, carabinieri e baschi blu riescono a rintracciare e a mettere in salvo i malcapitati. Erano reclute della «scuola di ardimento», sulle cui follie si è accesa un po' di luce grazie al bisticcio tra due generali, il De Lorenzo e l'Aloja - allora rispettivamente capo di stato maggiore della Difesa e capo di stato maggiore dell'Esercito.

“Aloja sosteneva e attuava a Civitavecchia alcuni corsi di ardimento, durante i quali gli allievi imparavano a debellare la guerriglia. Uno degli istruttori di maggior rilievo era un maggiore della Bundeswehr, già ufficiale della Wehrmacht… Particolarmente impegnative, nell'ambito di questi corsi, erano le prove di sopravvivenza. La prova consisteva nel paracadutare questi ufficiali nelle zone più desertiche della Barbagia, in Sardegna: i malcapitati venivano riforniti di poche gallette da sgranocchiare e comunque di viveri sufficienti per un solo giorno. Dopo di che dovevano arrangiarsi, cioè sopravvivere, facendo una minuta caccia alle lucertole, mangiando scorze d'albero alquanto indigeste ma particolarmente nutrienti, scovando e racimolando particolari specie di erbette con alto potere, se così si può dire, nutritivo. Qualche ufficiale, avendo equivocato le nozioni apprese ai corsi, finiva per sbucciare alberi sbagliati o catturare piccoli rettili niente affatto commestibili. Per cui poteva capitare che a qualcuno di loro scoppiasse la dissenteria. E in questo caso, il poveretto finiva per illanguidirsi nello scioglimento di sé in mezzo a quelle vaste piane. Altri, invece, dopo lunghe e infruttuose ricerche finivano per aggregarsi a un pastore, rifocillandosi di cacio e latte. Altri, infine, dopo quella esaltante esperienza, finivano per restare in Sardegna e aprivano una trattoria tipica, con piatti di scorza d'albero e lucertole della Barbagia, un tipo di trattoria cioè che potrebbe ben figurare nella rubrica della Cederna su «L'Espresso».
Queste prove di sopravvivenza, poi, erano di stretta derivazione americana: vengono infatti praticate dai berretti verdi a Fort Bragg e i rangers che hanno catturato e ucciso Che Guevara erano appunto usciti da quei corsi antiguerra.
De Lorenzo, tenendo una prolusione a uno dei corsi praticati a Civitavecchia, ebbe a dire che quel tipo di istruzione non serviva a niente e che per di più finiva per creare un piccolo esercito nell'ambito delle Forze Armate della Repubblica: quelle affermazioni costituirono il primo attacco di De Lorenzo al generale Aloja. Aloja passò al contrattacco criticando radicalmente l'acquisto fatto dall'esercito di un contingente di carri armati americani del tipo M 40 [che pare sarebbero dovuti finire al CAUC di Teulada, in Sardegna]. Disse che erano dei pachidermi, addirittura più larghi e panciuti dello scartamento ferroviario italiano, per cui, non essendo trasportabili per treno, né potendo transitare sulle autostrade italiane, restavano inutilizzati al luogo di sbarco. Infatti, gli M 40 arrivarono in pezzi da montaggio a La Spezia, nella cui città la OTO-MELARA provvide a montarli: ma una volta messi su venne fuori questa loro mole enorme, che suscitò sgomento negli stessi montatori. E i pachidermi restarono sempre nella cittadina ligure e tuttora l'unica speranza acché essi vengano utilizzati è che un ipotetico nemico decida di effettuare uno sbarco a La Spezia, dove certo si buscherebbe una severa lezione…” (“New Kent”, Un generale al di sopra di ogni sospetto, maggio 1970).

L'accenno al De Lorenzo richiama alla memoria il vagheggiato colpo di Stato del '64 e consente di introdurre, per sommi capi, un aspetto poco noto della storia militare dell'isola, e cioè della sua utilizzazione come terra di confino per prigionieri di guerra, oppositori politici, gruppi etnici e religiosi indesiderati, funzionari incapaci e preti irretiti da censura.
Già dai tempi remoti la Sardegna, per la sua condizione di isola poco o nulla legata ai traffici di terraferma, per il suo clima malarico e per l'aggressività degli abitanti, è la sede di elezione e d'esilio e di pena che i governanti riservano ai sovversivi o più in generale agli indesiderati.
Uno dei primi della serie è Seneca, l'illustre moralista, «ottimo predicatore e pessimo razzolatore» e per tanto ritenuto antesignano della morale cristiana. Rientrato in patria dopo l'esilio, per non smentire la fama di malalingua dirà peste e corna della Corsica e della Sardegna.
Sempre sotto l'impero, Tacito ricorda l'infamia - vile damnum - dei 4.000 ebrei che furono deportati nell'isola con il compito di reprimere il brigantaggio. I poveretti, abbandonati in clima malsano, smarriti in zone impervie, furono decimati dalla malaria e dai patimenti. I superstiti dovettero la loro sopravvivenza all'umanità degli indigeni, che permisero loro di fondare colonie dove si moltiplicarono indisturbati per secoli. Fino al 31marzo 1492, data del decreto del viceré aragonese Giovanni Dusay che li espulse (“P. Valery, Viaggio in Sardegna, Fondazione Il Nuraghe, 1900).
Il primo Papa che mette piede nell'isola è un deportato politico, il pontefice Ponziano (233-238). Costui briga con l'antipapa scismatico Ippolito per imporre l'ortodossia. L'imperatore Massimino il Trace se li leva ambedue dai piedi mandandoli in Sardegna a continuare le loro diatribe dottrinarie e insieme a lavorare nelle miniere.
Tuttavia, quello di Papa Ponziano non è l'unico caso di deportazione di preti. Tra il 455 e il 533, i dominatori vandali, alleati del vescovo di Roma e precursori della «religione di stato», usavano mandare nell'isola, a lavorare come forzati nelle miniere e nelle saline, gli scismatici ortodossi che non rientravano in un cristianesimo di razza ariana.
Il periodo della dominazione aragonese inaugura l'era della utilizzazione della Sardegna come sede punitiva per militari e funzionari di stato. I feudatari aragonesi - come dimostrano le cronache di quel tormentato periodo - costretti ad abbandonare gli agi di corte per andarsene in colonia a sedare rivolte di briganti straccioni, sfogavano i loro malumori opprimendo, sfruttando e fiscaleggiando oltre ogni limite il popolo sardo.
Tralasciamo l'elencazione delle galere, delle case di pena, dei campi di lavoro forzato di cui l'isola ha sempre avuto gran numero - in pratica , fino a tempi recenti, tutte le attività di tipo industriale e molte di tipo agricolo venivano svolte da galeotti o da prigionieri politici. Da quando tra militari si è convenuto che non sta bene passare per le armi i prigionieri di guerra, la soldataglia, esclusi gli ufficiali, può essere utilizzata dal Paese detentore come bracciantato gratuito: la Sardegna ricorre spesso nei piani degli stati maggiori e dei ministeri competenti per la sistemazione dei prigionieri di guerra.
In margine alla prima guerra d'indipendenza, nell'Archivio di Cagliari, si conservano una serie di documenti su due progetti di invio di un gruppo di 158 giovani lombardi, supposti disertori dai reggimenti austriaci, e di un gruppo di ben 5.000 prigionieri austriaci, catturati durante la prima e la seconda fase della guerra (“Aa. Vv.”, La Sardegna nel Risorgimento, Sassari, Gallizzi, 1900). Durante la prima carneficina mondiale, i prigionieri austro-ungarici fanno in Sardegna lavoro bracciantile nelle tenute degli agrari, che a livello di comunità controllano le istituzioni statali, municipio, dazio, polizia. A Sinnai, grosso centro agricolo a dieci chilometri da Cagliari, un contingente di prigionieri di guerra austriaci, con mezzi meccanici tedeschi bottino di guerra, fu impiegato in un'opera ciclopica: la costruzione perimetrale di un muro in pietra che racchiude una delle più vaste pinete dell'isola.
La Maddalena - roccaforte della marina militare - nell'agosto del 1848 non trova posto per prigionieri austriaci; ma nell'estate del 1943 riceve un confinato d'eccezione: il cavalier Benito Mussolini, caduto in disgrazia presso i generali. Da qui, essendosi sparsa la voce, i generali pensano di trasportare il loro uomo all'isola di Tavolara. Vengono diramate disposizioni in tal senso, sennonché, all'ultimo momento, prevale il rifugio del Gran Sasso.
L'ultima massiccia deportazione in Sardegna - come si è accennato - doveva compiersi dopo il colpo di stato del luglio 1964. Parlano del progetto il settimanale di Parri, «L'Astrolabio», «ABC», «L'Unità» e altri.

“Ci sembra il caso di rivelare che, entro il raggio dell'operazione [14 luglio 64] rientrava anche la disposta requisizione di due navi traghetto della società di navigazione Tirrenia, per il trasporto in Sardegna delle persone che dovevano essere arrestate e concentrate in determinate località. Per quanto riguarda l'organizzazione del trasporto l'operazione venne affidata a un noto esponente del SIFAR in collegamento con la società Tirrenia. Si tratta del colonnello dei carabinieri Filippo Rosati… Una verifica dei registri della Tirrenia potrebbe sempre confermare l'esattezza delle informazioni…” (“L’Astrolabio”, 11 febbraio 1968).

«L'Unità» fornisce ulteriori dettagli. Gli oppositori politici sarebbero stati prelevati dalle loro case e per mezzo di aerei trasportati all'isola dell'Asinara, in provincia di Sassari, e a Castiadas, sede di una vecchia colonia penale in provincia di Cagliari. Era stato messo in opera un campo di raccolta per i detenuti. Il comando generale dell'arma dei Carabinieri si era rivolto allo stato maggiore della marina e a quello dell'aereonautica per ottenere tre traghetti militari che sarebbero dovuti salpare da Genova, Palermo e Civitavecchia, e diversi aerei da trasporto in partenza da Milano-Linate e Roma-Ciampino tutti in direzione della Sardegna. Il capo di stato maggiore della marina, ammiraglio Giurati, non accettò la richiesta, mentre quello dell'aviazione, generale Remondino, non fece difficoltà e diede le disposizioni relative.
«ABC»si si è perfino preso la briga di fotografare i lager allestiti per i deportati politici, a Castiadas, dove si sarebbero ospitati 3-400 uomini, e a L'Asinara che ne avrebbe visti altrettanti.

“De Lorenzo è stato in Sardegna, non importa quando. Così come a più riprese vi è stato Andreotti, quando era ministro della difesa. Le loro visite hanno avuto un qualche collegamento con l'allestimento dei campi di concentramento a Castiadas e a L'Asinara? Difficile rispondere con esattezza. Resta un fatto: i lager erano pronti per accogliere 650 prigionieri politici. E della presenza di questi lager in Sardegna si era fatto parola nella famosa riunione di Roma del 28 giugno cui prese parte, tra gli altri, il colonnello della legione dei carabinieri di Cagliari colonnello Edgardo Citanna. In un secondo tempo le liste nere passarono dal colonnello Citanna agli uffici del SIFAR. Che era successo a Roma? Forse Citanna si rifiutò di aderire ai preparativi del putsch e fu destituito. Da allora l'organizzazione dei campi di concentramento passò ad altre mani. Ma l'ordine speciale tanto atteso non arrivò, le deportazioni non ci furono. I lager di De Lorenzo sono ancora vuoti. Per impedire che si riempiano, bisogna restare vigilanti. La lezione della Grecia insegni. Sarebbe veramente il colmo se la Sardegna, dopo essere stata posta sotto la servitù militare della NATO, diventasse una seconda isola di Janos” (“Rinascita Sarda”, 10 gennaio 1968).



3. Il Salto di Quirra. Perdasdefogu

“L'Aeronautica militare eseguirà esercitazioni di tiro dalle ore 0 del giorno 1 dicembre 1958 alle ore 24 del giorno 20 dicembre 1958 presso il poligono sperimentale interforze del Salto di Quirra. La zona di territorio interessata in dette esercitazioni è specificata nei manifesti affissi nell'albo pretorio dei seguenti Comuni: Villaputzu, Ballao, Villasalto, Villagrande, Lotzorai, Arzana, Tertenia, Ulassai, Ussasai, Jerzu, Escalaplano, Lanusei, Armungia, Perdasdefogu. In detta zona durante il copraccitato periodo a scopo pubblica incolumità è vietato in modo assoluto il transito e la sosta di persone, animali e veicoli. E' fatto altresì divieto di toccare qualsiasi proietto caduto; di eventuali ritrovamenti dovrà essere data immediata comunicazione al personale dell'Aeronautica militare o ai carabinieri. Eventuali danni che potranno essere arrecati alla proprietà privata, saranno indennizzati dopo gli accertamenti fatti da apposita commissione.”

Questo il testo di uno dei tanti bollettini di guerra diffusi, mese dopo mese da oltre tredici anni, in questa zona della Sardegna che porta il preveggente nome di Perdasdefogu - letteralmente Pietredifuoco. Una zona che comprende, come si vede dalla elencazione fornita dallo stesso comando aeronautica, una quindicina di comuni, una superficie vasta 145.000 ettari circa con oltre 80.000abitanti.
Di che genere di esercitazioni si tratti è noto. Nel Salto di Quirra operano due basi missilistiche della NATO, una a Perdasdefogu, nell'interno, e una a Capo San Lorenzo, sulla costa. Dietro il paravento della scienza - all'inizio delle esercitazioni - vi si sbandieravano i missili umanitari, quelli per la ricerca del dato scientifico, quelli che sciolgono la grandine con un botto. in realtà, ogni base militare, offensiva o difensiva che chiamar si voglia, è un apparato in continuo sviluppo, alla ricerca di una sempre più perfetta capacità distruttiva e che ha come unico scopo la dimostrazione pratica della propria efficienza nella guerra.
Che cosa intendono per guerra i generali di tutto il mondo, essi stessi da tempo lo hanno spiegato molto crudamente, e senza mistificazioni ideologiche a uso dei popoli, nei loro manuali riservati:

“La guerra è un atto di forza che ha per scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà. La forza si arma delle invenzioni delle arti e delle scienze per misurarsi contro la forza. Essa è accompagnata da restrizioni insignificanti che meritano appena di essere menzionate, alle quali si dà il nome di diritto delle genti, ma che non hanno capacità di affievolirne essenzialmente l'energia…” (K. Von Clausewitz, “Della guerra”, Milano, Mondadori, 1968).

Quando cominciarono gli espropri (dapprima si era parlato di qualche ettaro in agro di Perdasdefogu) gli abitanti, già impoveriti da secoli di abbandono e da un'emigrazione di vaste proporzioni, reagirono con manifestazioni di massa. Ministri e sottosegretari minimizzarono la questione. A sentir loro pareva che il poligono di tiro in progetto sarebbe stato non più di una tettoia per riparare dal sole un plotone di fantaccini con moschetto mod. 91 e un tabellone tirassegno appena più grande di quelli delle fiere paesane. E sottolineavano, in concerto con la stampa padronale, «i benefici effetti e progressisti sulla economia della zona per la presenza di contingenti militari»: vivificazione degli scambi socio-culturali e altre balle del genere.
Ma l'entità delle aree espropriate col primo decreto (1957) non lasciava presagire nulla di buono. Primo lotto: 8.300 ettari; secondo lotto: 6.000 ettari; terzo lotto, zona costiera: 2.200 ettari. E altri espropri previsti e da prevedere.
Nel quinquennio 1945-50, nelle campagne di Jerzu, Lanusei, Tertenia, Loceri, dalle sanguinose lotte dei braccianti per l'occupazione delle terre incolte sono sorte le cooperative agricole - un fatto nuovo e rilevante nella storia del proprietario sardo. La sola cooperativa di Jerzu (quella più duramente colpita dagli espropri) in nove anni di duro lavoro e senza beneficiare di alcun contributo dello Stato (che sempre si dimostra avaro, quando c'è da sostenere il riscatto della povera gente) ha trasformato fondiariamente circa 138 ettari. Sono stati impiantati vigneti e frutteti, costruite oltre 60 case coloniche, messi in opera impianti idrici per l'irrigazione.
I cooperatori dell'Ogliastra si sono riuniti numerose volte per protestare contro la dissennata politica militarista della classe dirigente. I contadini e i pastori hanno avuto parole dure, di riprovazione e di condanna.

“Noi abbiamo una zona dove la terra è assai cespugliata, ma lavorandola viene buona. Abbiamo lavorato. La nostra cooperativa va benino. Il problema che ci assilla è però ora rappresentato dagli inconsulti espropri della NATO che si espandono da Perdasdefogu in tutta la zona. Toccano anche noi, questi espropri, lo abbiamo saputo. Ora, a parte il fatto che questi missili della base di Perdasdefogu non ci portano bene, 45.000 ettari di terra vanno a farsi benedire. Ed è la terra migliore di Lanusei, Tertenia, Jerzu, Villagrande, Ulassai, Villaputzu, Perdasdefogu. Noi volevamo e vogliamo che questa terra ce la lascino. Abbiamo lavorato per anni senza contributi, continueremo a lavorare senza, se non c'è un governo sensibile alla cooperazione. Ma che ci lascino la terra. Debbono lasciarcela. Dicono che il campo si estenderà e che occorrerà perfino spostare Tertenia, case e abitanti, perché verrà a trovarsi in mezzo al campo della NATO. Dicono: ma sono impazziti quelli del governo? Che ci lascino lavorare in pace “ (Dichiarazione del presidente della cooperativa agricola di Lanusei, rilasciata alla stampa).

Una dichiarazione altamente drammatica, alla luce dei fatti che si sono susseguiti dal 1957 a oggi. La zona è diventata un deserto. I cooperatori sono in gran parte emigrati, andando a impinguare i profitti dei capitalisti del MEC. Qui sono rimasti i vecchi, le donne, i bambini e i pochi che neppure la fame e la disperazione riescono a strappare dalla terra dei loro padri.
Da Villaputzu a Tertenia e fin quasi alle porte di Jerzu, il Salto di Quirra e l'Ogliastra si percorrono sulla strada statale n. 125, costeggiando il mar Tirreno per un centinaio di chilometri. Siamo ai confini della Barbagia, «die Land wo die Banditen blühen», come declamano i teutoni della NATO parafrasando Goethe, «la terra dove fioriscono i banditi». E che altro potrà mai fiorire, qui, su questa desolata terra, dove alla natura aspra e dura si è aggiunto oggi il caos delle armi più distruttive che la scienza può produrre? Il paesaggio è apocalittico. Cineteodoliti emergono dalle aride colline. i monti paiono ammassi di rocce frantumate e sconvolte dall'ira dei fulmini. Macchie irsute di cisti e di lentischi, rade elci curve al vento, grigie nel poco verde di velenose euforbie. Gli anfratti rocciosi sono profondi e bui come gola di serpe. Dall'alto il paesaggio appare un immenso mare di pietra che tumultui ondeggiando immoto con aguzze creste. Nelle poche conche, su questa terra dura, su cui il sudore e il sangue di centinaia di generazioni avevano strappato il miracolo umano di piccole oasi di verde contese alla pietra, oggi precipitano nel caos di oscure ere geologiche.
Le basi missilistiche del Salto di Quirra nascono con la retorica del «prestigio nazionale»: l'Italia, pupilla dell'occhio jankee, ha la sua Cape Canaveral il sedicesimo, con tutti gli annessi e connessi, compreso il fatidico «conto alla rovescia». Una nascita funesta da un tragico incidente: nel settembre del 1957 cade il primo missile:

“…lanciato dal poligono aeronautico e precipitato nella località Is Terras, provocando un incendio rapidamente propagatosi in terreni di proprietà privata e comunali e arrecando danni alla rete telefonica i cui cavi sono andati distrutti per una lunghezza di dodici chilometri. Il fatto, nonostante la scarsa pubblicità datagli, ha destato vivissima impressione anche perché si presume che solo per una combinazione l'ordigno non è precipitato su luoghi abitati. Ora, con l'apparente tentativo di celebrare l'industria italiana, costruttrice di questi missili, è venuta la notizia ufficiosa di esperimenti compiuti su vasta scala in territorio sardo. Esperimenti che verranno ripetuti trattandosi di telearmi non ancora perfezionate e che abbisognano quindi di continue prove. Giustificata è pertanto l'apprensione dei cittadini, particolarmente di quelli che vivono nei posti vicini ai poligoni di lancio, i quali rischiano di dover fare le spese (oltre a quelle che già fanno per pagare il bilancio militare) di queste esercitazioni…” (“L’Unità”, 21 settembre 1957).

Fra i partiti di opposizione democratica, bisogna riconoscere al PCI un'assiduità nella denuncia - mettendo però l'accento esclusivamente sulla «pericolosità» degli ordigni «non ancora tecnicamente perfetti» e sui «danni economici» che gli espropri dei terreni provocano alle popolazioni. E' un discorso fatto a metà, che ignora la sostanza della questione: il rifiuto di ogni violenza e la condanna di ogni strumento bellico.
Sarebbe stato facile, allora, mobilitare la grande massa dei cooperatori in una lotta antimilitarista aperta e totale. Dimostra di averlo capito il segretario regionale della Lega, quando, in una intervista del 1961, afferma:

“Il colpo inferto alle cooperative dell'Ogliatra è un colpo a tutto il movimento cooperativistico sardo. Perciò tutta la cooperazione dell'isola deve muoversi protestando contro la inusitata misura degli espropri. La lotta per lo sviluppo della cooperazione oggi passa, dunque, nell'isola, attraverso le tappe di una lotta contro la trasformazione della Sardegna in una base di missili.”

Quando nel 1957 cominciarono a piovere i decreti di esproprio, indipendentemente dalle cause criminose per le quali venivano effettuati, centinaia di contadini e di pastori, toccati nella loro unica fonte di sopravvivenza, si levarono in massa pronti a portare la lotta fino in fondo. I partiti e le organizzazioni dei lavoratori hanno la pesante responsabilità di non aver saputo sostenere questa lotta. Facendone una questione di solo interesse economico, facevano il gioco dei militari, pronti a promettere indennizzi sempre più alti - promesse che poi, con la complicità del potere politico e amministrativo, non venivano neppure mantenute.
Gran maestro nel tessere inganni per conto dei generali è Andreotti, allora ministro della difesa. Che adotta la furbizia di mangiarsi il grappolo alla chetichella, piluccando acino dopo acino fino a lasciarti col rospo in mano. Altra malizia è quella di «non espropriare mai sotto elezioni».
Sotto le elezioni del 1963 le popolazioni del Salto di Quirra e dell'Ogliastra sono in fermento. La DC corre il rischio di ricevere una sconfitta elettorale. Corrias, presidente della regione, chiede l'intervento del ministro Andreotti. Andreotti viene in Sardegna e tramite Corrias tranquillizza le popolazioni: promette che gli espropri saranno sospesi, anzi, molti saranno revocati - che i contadini votino tranquilli. Si tratta, ovviamente, di una manovra elettorale effettuata tra l'altro in modo maldestro. Infatti - non si sa come - salta fuori una lettera del ministro Andreotti al presidente Corrias, dove il gioco appare scoperto: subito dopo le elezioni, nel mese di giugno, gli espropri saranno eseguiti. «Un fatto inaudito e scandaloso - commenta "L'Unità" - che mette in luce in modo irrefutabile le gravissime responsabilità del governo DC e la supina acquiescenza della Giunta Regionale».
Non ci si dovrebbe scandalizzare del fatto che i nemici di classe usino «colpi bassi» per raggiungere i loro scopi; né fare richiamo a «regole cavalleresche» in una lotta che è e deve essere senza quartiere.
Dopo gli espropri nella zona nord-occidentale del Salto di Quirra è la volta della fascia costiera sud-orientale, per dare più ampio spazio al poligono missilistico di Capo San Lorenzo - tra i comuni di Tertenia e Villaputzu. E' una zona con cospicue risorse minerali, in via di sviluppo. I danni all'economia di questi paesi sono rilevanti. Contadini e pastori non hanno nessun mezzo per farsi sentire. I minatori iniziano uno sciopero a oltranza, che si concluderà - come vedremo - con il licenziamento.

“Nei mesi scorsi l'autorità militare aveva deciso di espropriare anche i vigneti e i frutteti per estendere la superficie della base missilistica della NATO da 32.000 ettari a 55.000 ettari… Il comune di Tertenia aveva lottizzato le terre cedendole in enfiteusi ad un centinaio di famiglie contadine… i soli cooperatori di Jerzu hanno piantato 700.000 ceppi di vite e 20.000 peschi precoci; mentre la cooperativa fra combattenti di Tertenia, oltre ai vigneti, ha impiantato erbai, ortaggi e si prepara a costruire le case. Ma già sono decine le case nella valle, costruite dai cooperatori col contributo regionale. centinaia di milioni di opere già compiute. I soli mutui in corso rappresentano una cifra elevatissima, nell'ordine di decine di milioni. Senza contare il patrimonio immobiliare, le macchine, le spese culturali e il lavoro di centinaia di uomini in questi sette otto anni. A questi contadini, a questi lavoratori, ai minatori, oggi, un generale qualunque può togliere di colpo il presente e l'avvenire. Se la lotta non si risolverà a favore delle popolazioni, terra e uomini saranno risospinti indietro non di anni ma di secoli “ (“L’Unità”, 10 febbraio 1962).

Un mese dopo la miniera di barite di Tertenia viene chiusa. La Regione non ha rinnovato la concessione agli industriali che la sfruttavano. la giunta democristiana-sardista non ha fatto altro che ubbidire agli ordini del ministro Andreotti - anche la miniera di Barite è compresa nel progetto degli espropri di tutto un vasto entroterra intorno a Capo San Lorenzo.
I minatori licenziati chiedono la riapertura della miniera e insieme esigono il pagamento dei salari arretrati che non hanno percepito dal novembre del '61 al gennaio del '62. Ancora nel 1969 i minatori di Tertenia attendevano la corresponsione di questi salari, e hanno intentato causa ai padroni. Questi si giustificano dichiarando fallimento, e scaricano la responsabilità sulla Regione che - per interessi militari - non ha rinnovato la concessione di sfruttamento.
Dopo qualche modesto esperimento di lancio di razzi antigrandine e di sonde per la ricerca del dato scientifico, le rampe di Capo San Lorenzo e di Perdasdefogu cominciano a fare le cose in grande. Gli USA concedono alla NATO in Sardegna il privilegio di sperimentare missili «veri», che torneranno utili per fermare i comunisti nel sud-est asiatico. A missili di grosso calibro occorrono spazi di sicurezza più vasti. La zona del poligono si estende praticamente a tutta la costa orientale sarda, da Villasimius a Tortolì. Nel mese di settembre del 1962 per tre giorni consecutivi viene imposto lo sgombero dei residenti nella fascia costiera, da Villaputzu fino all'altezza di Gairo. L'esodo provoca gravissimi danni alle popolazioni. Vengono toccati anche gli interessi degli operatori economici del turismo, che hanno investito i loro capitali in una zona che ritenevano fuori dal tiro missilistico.

“La costa sud-orientale è al centro di vasti progetti di valorizzazione turistica della società per azioni Baja di Gairo. Questa società - della quale sono principali azionisti gli industriali Localtelli e Taviani e l'ing. Mariani, ha acquistato 161 ettari in regione Villaputzu. Il terreno, che è stato pagato oltre 80 milioni, ha un ampio fronte costiero con numerose insenature rocciose… Tra i programmi da realizzare è la costruzione di un albergo di lusso e di un villaggio turistico dotato di tutti i conforts, per una spesa complessiva di circa 2 miliardi. Unico ostacolo alla iniziativa, l'inserimento di una parte della zona nella traiettoria degli esperimenti missilistici che l'aeronautica effettua dalla base di Capo San Lorenzo. In effetti, il territorio non è considerato «militare», ma quando, periodicamente, si effettuano degli esperimenti, gli abitanti della zona vengono fatti allontanare “ (“Sardegna Oggi”, 15 settembre 1962).

I dirigenti della società Baja di Gairo non chiedevano molto: semplicemente l'intervento delle autorità regionali per convincere i militari a far «deviare di alcuni gradi verso il mare la traiettoria dei missili». I militari invece hanno continuato a lanciare i loro missili dove meglio hanno creduto, e di volta in volta, metà delle coste sarde sul Tirreno, a suon di bandi, viene evacuata. I contadini, i pastori, i commercianti, i turisti devono andare a leggersi i «bandi» della NATO affissi negli albi pretori, prima di avventurarsi in questa regione.
«Il comando non risponde di eventuali danni alle persone» dicono i bandi; e peggio per chi non se li legge. Ipocritamente, gli stessi bandi avvertono che saranno rifusi i danni alle cose e che a tale scopo verrà istituita un'apposita commissione. Intanto non sono stati definiti neppure i confini del poligono che si allarga di anno in anno, e neppure sono state evase le numerose pratiche in sospeso per gli indennizzi degli espropri.

“Il comando della base decreta gli espropri offrendo somme di indennizzo irrisorie (ad un agricoltore di Villaputzu è stata offerta per il suo podere una somma inferiore a quella resa dalle siepi di fico d'India che lo delimitano!), somme che l'esperienza insegna verranno fatte sospirare per anni” (“Rinascita Sarda”, 10 giugno 1964).

Ma se pure gli indennizzi fossero equi e pagati subito, non si eviterebbe ugualmente la rovina dei cittadini espropriati. Privati dei loro terreni e delle loro case, dove potrebbero andare e quale altra attività potrebbero svolgere, questi contadini e questi pastori?
L'annuncio ufficiale della creazione di basi militari nella Ogliastra - come si è accennato - mette in evidenza i numerosi vantaggi che ne trarranno le popolazioni. Militari, governanti e stampa sostengono di concerto che in una regione arretrata le strutture militari portano benessere economico ed elevano il livello culturale.
La rivista «Sardegna Oggi» il 1 gennaio 1963 pubblica un reportage sulla visita di Andreotti a Perdasdefogu, intitolandolo I missili non hanno cambiato il volto di Perdasdefogu e le speranze dei suoi pastori e contadini.

“Fernando Cabitza, il giovane sindaco sardista di Perdasdefogu si accalorava nel descrivere la situazione delle popolazioni del paese. Andreotti lo ascoltava in silenzio, rispondendo con cenni del capo e sorrisetti a mezze labbra ai generali e ai colonnelli che lo salutavano con ossequiosa deferenza.
Il colloquio si svolgeva nell'atrio del circolo ufficiali del Centro Interforze del Salto di Quirra.
Ad un certo punto, il ministro, fino ad allora in silenzio disse: - Bene, bene. - Da parte sua il colloquio era finito.
Lo capì anche il giovane sindaco Capitza e smise di parlare e di agitarsi.
Era l'ora del pranzo, un pranzo di eccezione… con pasta verde al forno e due secondi piatti.
Nella sua perorazione il sindaco aveva parlato di espropri forzati, di somme non pagate, di intere famiglie emigrate e della miseria delle popolazioni.
Andreotti, dopo il pranzo, rispondendo al benvenuto del più giovane degli ufficiali della Calotta, promise che avrebbe seguito più attentamente la vita del poligono, e per tranquillizzare il sindaco Cabitza promise anche che avrebbe fatto in modo da rendere più celeri i pagamenti relativi ai terreni espropriati…
Alle centinaia di ex proprietari del salto di Quirra il sindaco avrebbe potuto dire che il ministro aveva promesso, e le parole dei ministri, in regime di democraziarepubblicana, dovrebbero almeno equivalersi a quelle dei vecchi re delle favole…”

La parola di Andreotti non vale un soldo bucato - e il sindaco sardista fa male a piatire al tavolo del «ricco Epulone» alla maniera di Lazzaro, chiedendo briciole di indennizzi; egli non può ignorare - tra l'altro - che il suo partito è da anni al governo della Regione e che non ha mosso un dito per opporsi alla vergognosa vendita dell'isola ai militari.
Nella primavera del 1966 - tre anni dopo la visita di Andreotti e quasi dieci anni dopo gli espropri - gli indennizzi non sono stati ancora pagati, anzi molti nuovi terreni sono stati sottratti ai legittimi proprietari senza neppure il regolamentare decreto. Le comunità della zona entrano in agitazione. Tertenia avanza precise richieste al ministero della difesa, senza ottenere risposta. Segue una interrogazione parlamentare dei senatori comunisti Pirastu e Polano.
Siamo a maggio, ed è Tremelloni, succeduto ad Andreotti, che risponde:

“I procedimenti di esproprio dei terreni cui si riferiscono gli interroganti si sono presentati particolarmente difficoltosi a causa dell'eccessivo frazionamento delle proprietà, del numero delle comproprietà interessanti singole partite catastali, dal protrarsi delle trattative di pattuizione delle indennità stesse.
Tuttavia, per le ditte che hanno accettato gli importi offerti dall'Amministrazione militare, sulla base di obiettive valutazioni degli uffici tecnici erariali, i procedimenti si sono da tempo perfezionati con emissione dei decreti definitivi di espropriazione e versamento delle indennità spettanti.
Anche per i proprietari, ivi compreso il comune di Perdasdefogu, per cui il perito giudiziario è pervenuto a conclusioni che appaiono accettabili in quanto ragionevolmente vicine alle valutazioni dell'Amministrazione, i procedimenti potranno essere perfezionati non appena saranno apportati agli atti alcune rettifiche necessarie di nominativi e di intestazioni catastali.
Meno sollecita sarà inevitabilmente la definizione dei procedimenti di esproprio nei confronti di altri Comuni, con i quali non si è potuto giungere a una definizione concordata del prezzo degli immobili, avendo l'Amministrazione, nella doverosa tutela del proprio interesse, contrastato i risultati delle perizie che apparivano esorbitanti ed incongrue.”

E' la risposta di un «rappresentante del popolo» che prende per i fondelli il «popolo sovrano» - la stessa risposta del leone alla pecora nella favola esopiana. Gli animi sono esasperati e tesi - «Corrudos y appaliados!». Sta il fatto indiscutibile che i terreni sono stati sottratti ai contadini e ai pastori, che questi sono stati ridotti alla fame e molti costretti a emigrare, che i terreni non sono stati ancora pagati, che non essendoci decreto i vecchi proprietari continuano a pagare per quei terreni le relative imposte. Intanto il governo centrale, preoccupato per l'ondata di banditismo che imperversa nell'isola, costituisce commissioni d’inchiesta per «appurare le cause» di tale fenomeno criminogeno, per capire come mai i sardi non abbiano fiducia nella giustizia e nelle istituzioni dello Stato!
Dice Tremelloni che in genarale i procedimenti per il pagamento sono «particolarmente difficoltosi a causa dell'eccessivo frazionamento delle proprietà»; ciò dimostra che si tratta di piccoli poverissimi proprietari, non di latifondisti. Motivo di più per pagare subito.
Dice Tremelloni che in particolare «tutte le ditte che hanno accettato gli importi dell'Amministrazione militare» sono state pagate da un pezzo. Ma allora non c'entrano le «difficoltà» burocratiche dei «frazionamenti»: si vuole semplicemente prendere con la forza, lasciando la mancia, per salvare la faccia. E' l'ignobile ricatto del più forte - l'amministrazione dello Stato - che una volta ancora nella storia dell'isola si compie sul più debole - il cittadino.
Dice Tremelloni che l'amministrazione ha il dovere della «tutela del proprio interesse» (l'interesse dei generali, dei fabbricanti di armi, degli imperialisti); ma quale amministrazione sentirà il dovere di tutelare l'interesse dei contadini cacciati dalle loro terre e affamati?
Nel novembre 1963 scoppia una bomba che minaccia di far saltare missili e rampe.
A Cagliari e dintorni circolano da qualche tempo giovanotti biondi di evidente razza dolicocefala. Vestono abiti borghesi, ma la lingua li tradisce: sono tedeschi. Potrebbero essere turisti, se non fosse per il loro portamento marziale. In più, di quando in quando, se ne cominciano a vedere anche in divisa: l'impeccabile tenuta della Luftfahrt militare. Si cominciano a mettere in relazione missili e tedeschi.
Il 16 novembre 1963 l'on. Giuliano Pajetta presenta un'interrogazione urgente al Senato

“…per sapere dall'on. Presidente del Consiglio e dall'on. Ministro della Difesa se corrispondono a verità le allarmanti rivelazioni della stampa tedesco-occidentale - e in particolare dell'autorevole «Frankfurter Allgemeine Zeitung» (14.11.63) - circa la conclusione di un accordo tra il governo italiano e il governo della Repubblica federale tedesca per la concessione alla Bundeswehr di un poligono sperimentale per missili sulle coste orientali della Sardegna e se è vero che sono stati già iniziati i lavori a questo primo poligono esclusivamente tedesco.”

Circa dieci giorni dopo, il ministro della difesa Andreotti risponde all'interrogazione urgente di Pajetta:

“Nel programma di esperimenti del poligono del Salto di Quirra ne figurano anche alcuni concordati tra organismi militari italiani e germanici che riguardano semplicemente lanci di razzi sonda per ricerche meteorologiche e prove d'impiego di missili terra-aria a caratteristiche limitate. Tali prove rientrano nel quadro dei programmi di sperimentazioni e di progresso scientifico dei Paesi NATO basati sul reciproco appoggio tecnico-logistico e risultano perciò di comune interesse per detti Paesi…”

La stampa governativa, di destra e indipendente sostiene Andreotti. «Il Poligono di Quirra non sarà ceduto ai tedeschi», assicura il quotidiano di Cagliari, «L’Unione Sarda», e aggiunge: «L'ufficio stampa del Ministero della Difesa… smentisce nettamente ogni notizia circa la concessione di un poligono missilistico in Sardegna ad uso esclusivo delle forze armate tedesche». «La Nuova Sardegna», quotidiano di Sassari, fa eco: «Nessun poligono missilistico per la Germania in Sardegna». Lo stesso 27 novembre, anche «Il Tempo» di Roma sottolinea: «Nessuna base missilistica in Sardegna ad uso esclusivo dell'esercito tedesco».
Si gioca sull'equivoco dell'uso non eslcusivo. In effetti, se dovessimo considerare la NATO per quel che è, una società per azioni, la Germania di Bonn ne avrebbe la direzione come la maggiore azionista. Infatti, per quel che riguarda i poligono del Salto di Quirra, l'Italia c'è dentro con appena il 15%. Il resto è dei tedeschi.
A smentire Andreotti ci pensa del resto la stessa stampa tedesca, che si lascia anche scappare interessanti giudizi politici: «Deutsche Woche» di Monaco:

“Ora i soldati tedeschi sono di nuovo in Sardegna. Non come guarnigione ma come ospiti. Essi, negli alti vasti cieli dell'isola, conducono esercitazioni per le quali il nostro spazio aereo è troppo piccolo. Il governo italiano, con un semplice provvedimento, ha destinato alle esercitazioni la zona… La Sardegna è una Regione autonoma con un autogoverno riconosciuto nei limiti della Costituzione repubblicana, ma noi non abbiamo sentito che i sardi siano stati pregati a lungo e intensamente prima della cessione delle basi. A Roma raramente si ritiene necessario consultare i sardi per qualcosa…”

«Kölnische Rundschau» di Colonia:

“Pubblicamente, questi giovani dai 18 ai 25 anni possono presentarsi soltanto abiti civili. Quando i soldati tedeschi si devono mostrare in divisa in città hanno un bel daffare per non venire fotografati. A ogni occasione, «L'Unità» e l'altra stampa di sinistra ricorda alla popolazione, attraverso l'apparizione delle truppe di Bonn, i mesi cruciali del 1943, quando i nazisti invasori furono cacciati dalla Sardegna. La stampa comunista va anche oltre. Si scaglia contro il governo che ha permesso che la Sardegna venisse trasformata nella portaerei del Mediterraneo, così come era nei progetti di Hitler e di Mussolini. Oltre ciò nell'isola verrebbero allineate sempre più basi di missili. Se scoppiasse una guerra atomica, gli abitanti della Sardegna sarebbero tra le prime vittime. Sarebbe insensato affermare che le basi NATO portano il benessere: per la loro costruzione sono stati spesi centinaia di milioni di lire che avrebbero potuto avere un impiego migliore in piani di sviluppo industriale e agricolo…”

A questo punto, il comando supremo della NATO, dal quartier generale di Parigi rilascia la seguente dichiarazione:

“In Sardegna esiste da tre anni un poligono di collaudo per le armi dell'alleanza e alcune nazioni, tra cui la Germania occidentale, ne hanno usufruito. Il poligono è stato creato sotto gli auspici della NATO: l'Italia funge semplicemente da paese ospite dell'impianto.”

Bisogna riconoscerlo: i militari parlano più chiaro dei politici. Andreotti ha sempre parlato di missili antigrandine e per la ricerca del dato scientifico. Così come il suo collega ministro tedesco che dichiara:

“Può darsi che due missili verranno sperimentati più avanti, ma finora sono stati lanciati soltanto razzi meteorologici… I razzi usati in Sardegna sono di fabbricazione americana.”

Appena un anno più tardi - passata la buriana - la direzione del poligono di Salto di Quirra rende noto il programma annuale dei lanci previsti per il 1965: si tratta di 15 esperimenti niente affatto «civili»: 10 Skylark, singoli e multipli: 4 Centauro, singoli e multipli; 1 Belier, singolo (sottobanco verranno esperimentati anche i Secat, di fabbricazione britannica, destinati alle unità della marina militare).
Dalla somma di queste dichiarazioni e controdichirazioni ufficiali e ufficiose il popolo sardo ne trae una sola amarissima constatazione: la Sardegna è stata venduta dall'Italia come un qualsiasi lembo desertico per consentire a qualunque nazione lo voglia di farvi esperimenti bellici.
La coscienza popolare ha un momento di violenta reazione. E' il partito comunista a incanalare le manifestazioni di protesta. Si organizza un «fronte unitario» cui aderiscono, oltre le sinistre, alcuni settori della DC. A Villaputzu si svolge l'imponente manifestazione contro le basi militari straniere. «L'Unità» dal 10 dicembre 1963 ne riporta la cronaca sotto il titolo Voto unitario contro le basi in Sardegna, sottolineando la presenza di sindaci, politici e personalità, democristiani e socialisti.
La manifestazione si conclude con l'approvazione di un appello dei sindaci della zona, i quali chiedono lo smantellamento del poligono, affinché la Sardegna non diventi «un terribile congegno bellico puntato contro le altre regioni e per converso permanente sotto la mira della rappresaglia atomica, votata a totale e irreparabile distruzione in caso di guerra, ed esposta agli incidendi militari in ogni momento».
I missili di Perdas fanno parlare di sé - diventano quindi prodotto consumistico. Fanno notizia sulla stampa e le inchieste si vendono bene - purché si limitino agli aspetti del folclore. Fuori di questi limiti esce il regista Giuseppe Ferrara, che ha girato un documentario-inchiesta sulla situazione dei contadini cacciati dalle terre nel Salto di Quirra; o, forse, filmando il dramma di quella povera gente ha violato qualche «segreto militare». Fatto sta che il ministro dello spettacolo, il socialista Achille Corona - sollecitato dal questore di Cagliari - ne vieta la proiezione.
La notizia dei missili tedeschi in Sardegna arriva a Mosca. La burocrazia sovietica è lenta, ma si muove. Dopo otto anni da che sono sorti i poligoni missilistici, nel gennaio del 1964 l'ambasciatore dell'URSS a Roma, Kozyrev, comunica la prima nota di protesta al ministero degli esteri italiano.
Commentando la nota protesta, la TASS (apparsa sui quotidiani il 24 gennaio 1964) sottolinea che i missili in questione possono essere muniti di testata nucleare, che le forze tedesche non sono interessate alla ricerca meteorologica ma agli esperimenti militari e che i missili Seacat, sperimentati nel poligono di Salto di Quirra, possono essere montati su navi da guerra.

“Naturalmente, - conclude la TASS - tutto ciò non può non provocare preoccupazioni fra quanti sono genuinamente interessati alla conservazione della pace.”

Dopo la protesta di Mosca, un gruppo di parlamentari comunisti apre un'inchiesta sulla situazione nel Salto di Quirra. La delegazione è composta dai senatori Pirastu, Bartesaghi e Milillo, dai deputati Carocci, Pirastu e Sanna. Ne dà notizia «Rinascita Sarda» nel supplemento del 25 aprile 1964.
Prende posizione anche il Comitato per il disarmo e la neutralità del Mediterraneo, che rilascia una dichiarazione dove sostiene che il movimento popolare sardo antimilitarista «non può essere disgiunto da un impegno di solidarietà operante con i democratici spagnoli, con i costruttori della repubblica algerina, con i popoli che lottano contro ogni forma di soggezione colonialista e neocapitalista, con i popoli che vogliono fare del Mediterraneo un mare di pace e di scambi e di rapporti civili» (G. Cabitza, “Rivolta contro la colonizzazione”, Milano, Libreria Feltrinelli, 1960).
Interrogazioni, polemiche, commissioni, inchieste e dichiarazioni si risolvono in un nulla di fatto. I militari ne escono indenni e continuano a fare i comodi loro. Il problema è maturo nella coscienza popolare, ma i sardi non trovano la giusta lotta per far valere i loro diritti. I paesi colpiti dalla peste militare finiscono per rassegnarsi - come da secoli si sono rassegnati alla malaria, al colera, al tracoma, alle cavallette, alla siccità, ai capitalisti sfruttatori, ai governanti oppressivi. Anzi, molti non osano neppure parlare più di una faccenda che può portare dritto in galera, dopo l'incidente occorso al giornalista A. Savioli, accusato di spionaggio e processato per aver fotografato il cancello di accesso al poligono.
Eppure, in conseguenza della militarizzazione della zona, il bilancio dei comuni è disastroso. A Jerzu, nell'area espropriata, si sono persi 300.000 ceppi di vite; a Tertenia sono in pericolo 7.500 capi di bestiame di privati e 2.600 ettari di pascoli, di cui 760 coltivati di recente a vigneto e frutteto. Inoltre dovranno essere abbandonati 160 poderi dotati di case coloniche e di impianti irrigui, e circa 200 aziende di coltivatori diretti a economia familiare. A Villaputzu sono sotto esproprio 1.370 ettari di terreni comunali, dove pascolano 6.000 capi di bestiame, e oltre 200 ettari di terreni seminati.
Ai primi di aprile del '64 - a qualche mese di distanza dalla prima - il governo sovietico inoltra una nuova protesta per i missili in Sardegna. Le precedenti giustificazioni di Andreotti non erano convincenti. Dopo aver fatto riferimento all'art. 68 del trattato di pace, che fa obbligo all'Italia di non aiutare il riarmo tedesco la TASS scrive:

“Quanto alle affermazioni del ministro degli esteri italiano, secondo cui questi esperimenti sarebbero effettuati da società private interessate a ricerche scientifiche sui motori a razzo [ah, quel furbone di Andreotti!] non possono essere accettate perché è ben noto che gli esperimenti con razzi militari a Salto di Quirra sono anche effettuati da rappresentanti delle forze armate della Germania occidentale.”

Il 1965 è l'anno dell'inaugurazione dei grandi lanci missilistici e delle grandi rivelazioni sui fasti della Cape Canaveral sarda. I cancelli top-secret, che un tempo, solo a fotografarli potevano mandare davanti alla corte marziale, vengono ora spalancati si rappresentanti della stampa. Naturalmente quelli selezionati dai generali.
Nonostante l'accurato controllo dei servizi segreti, un giornalista «eretico» passa, e scrive un servizio che manda in bestia tutto lo stato maggiore della NATO.

“Questa storia ha una morale… è la storia di un missile, di un invito e di una parola che nel dizionario della lingua italiana è indicata alla lettera E, come educazione…
Alcuni giorni or sono ci telefonò un ufficiale dell'aeronautica militare, preposto ai rapporti con la stampa… ci informò che nella settimana in corso avrebbe avuto luogo il lancio di un razzo… da una base missilistica che non nominiamo, per timore di incorrere nei rigori del segreto militare…
Quando giunse il giorno prefissato, salimmo in auto e affrontammo il lungo viaggio verso la base di lancio. Viaggio che per tutti coloro che ne conoscono - a loro rischio e pericolo, data la segretezza dell'ubicazione del luogo - la base missilistica, sapranno comprendere quando sottintendiamo dietro lo scarno aggettivo che useremo per qualificare il viaggio: terrificante. Finalmente, dopo aver sbagliato ripetutamente strada, giungemmo al paese che ospita la base di lancio…
Alle 15,30, come predisposto, il generale comandante della base, l'unica in Europa così perfettamente attrezzata, ci assicura grazia per avere accolto l'invito, ci informa sulla efficienza della base, l'unica in Europa cosi perfettamente attrezzata, ci assicura di tutte le informazioni tecniche necessarie che ci saranno fornite via via dai vari tecnici addetti ai vari settori, ci informa che il paese dove è situata la base, dopo la installazione del centro, ha aumentato notevolmente il suo reddito e pertanto si permette di immaginare che, secondo lui, per migliorare il tenore di vita delle popolazioni sarde non c'è nulla di meglio che costruire vari centri militari in tutte le località depresse dell'isola, facendoci così partecipi pertanto di un'ardita teoria socio-economica. Non ci dice quanti sono gli uomini in forza alla base, neanche all'incirca 500, in quanto è segreto militare, non ci fa sedere, anche se vede che stiamo prendendo appunti con notevole disagio…
Il secondo incontro con il generale è stato proficuo. L'alto ufficiale ha infatti voluto gratificare la stampa di alcuni suoi abilissimi consigli sul come impostare una notizia, su ciò che al pubblico sarebbe stato interessante far sapere sul bilancio e su ciò che invece lo avrebbe tediato, come ad esempio a che cosa serve questo missile… quali sono stati gli sforzi fatti dal ministero della difesa e pertanto dal pubblico erario per allestire e mettere in funzione il centro ricerche e quali enormi possibilità di costruzione di quel complesso avrebbe potuto offrire ai giovani scienziati italiani… Il generale ha invitato i giornalisti a scrivere poche righe sull'accaduto, dedicando largo spazio a quella sua ardita teoria economica, per cui, per migliorare il tenore di vita delle popolazioni sarde, è necessario costruire tante basi missilistiche e prettamente militari nei centri nevralgici dell'isola…” (“Sardegna Oggi”, 1° aprile 1965).

Il comandante generale Giorgio Grossi ha un diavolo per capello; dopo aver letto lo scanzonato servizio; e non essendo più di moda il duello alla sciabola, incrocia la penna con l'impertinente articolista. In primo luogo rivela che la voce del giornalista «è di stridente contrasto con quanto riportato su altri giornali, da altri colleghi», per esempio da quelli fascisti. Secondo, «il Comando avrebbe preso in seria considerazione eventuali inconvenienti», se fossero stati segnalati «in modo consono alle normali regole del vivere civili». Terzo, l'autore dell'articolo ha fatto «uno sfogo di carattere personale, e perciò di cattivo gusto, anziché interessare i lettori con le arti proprie del vero giornalista». Con un'ultima stoccata, il generale chiude:

“Non mi risulta inoltre che un Luigi Martinengo sia stato autorizzato a visitare la base missilistica, è ovvio perciò che l'autore dell'articolo, nascondendosi dietro uno pseudonimo dimostra anche che le sue affermazioni di merito sono gratuite.” (“Sardegna Oggi”, 1° aprile 1965).

Nel 1967 i missili di Perdasdefogu avanzano con nuovi espropri. Il sottosegretario della difesa, Cossiga, fa il punto burocratico della situazione in un'intervista rilasciata alla tele-agenzia «Montecitorio» e ripresa dai quotidiani il 1 settembre:

“Le occupazioni per le esigenze del poligono, la cui estensione è stata attentamente vagliata e determinata, son state essenzialmente basate su motivi di sicurezza estraniando, per quanto possibile, centri abitati e zone intensamente coltivate. La situazione oggi registra l'occupazione di 13.000 e 500 ettari di terreno e si prevede l'espropriazione di altri mille per il completamento della zona costiera.
Le ditte interessate agli espropri relativi ai primi due lotti e alla zona costiera sono complessivamente 219. Le pratiche definitive riguardano 58 ditte…”

Le altre 161 ditte - comuni e privati, aspettano «Sono in corso le ultime rettifiche per la definizione dei confini del poligono», su questo i militari non hanno ancora deciso. Per gli espropriati delle zone costiere, è stata già approvata la perizia di stima, «ma non si potrà procedere alla offerta di indennità fino a quando non sarà registrato il decreto di pubblica utilità e ciò conformemente a quanto stabilito dalla legge».
In nome della legge la consorteria del sistema afferra coi suoi mostruosi ingranaggi il cittadino inerme, lo stritola e lo distrugge; mentre liberi e padroni i militari «per la pubblica utilità» prendono e arraffano, ci ripensano e prendono ancora, fottendosi la legge, prima ancora che i decreti siano «perfezionati» e i tribunali abbiano deciso e le banche abbiano sborsato gli indennizzi, recingono le terre altrui coi reticolati, ci mettono intorno sentinelle armate e dentro erigono i loro missili.
Si bara perfino sulle cifre: non su 14.500 ettari ma su ben 32.000 ettari si estendono i poligoni del Salto di Quirra; non di un poligono si tratta, ma di due: Perdasdefogu e Capo San Lorenzo; infine, tutta la regione del Salto di Quirra, per almeno 145.000 ettari, parte del Sarrabus e dell'Ogliastra, è sotto il dominio del comando militare della NATO.



4. L'isola di Tavolara

La strada che da Siniscola porta ad Olbia si snoda in tornanti che per lunghi tratti si affacciano sul litorale tirrenico. E' la stessa strada statale 125, «l'orientale strada», che abbiamo visto attraverso il Salto di Quirra.
Appena più a sud di Siniscola, a Dorgali, profonde gole si aprono sull'immensa pietraia granitica di monte Corrasi, la zona calda dell'isola, millenario rifugio di contestatori del sistema di sempre, base di latitanti e di banditi d'onore, di giustizieri popolari, di ladri di greggi e di taglieggiatori di possidenti. Più vicina e ben temibile, si erge sullo sfondo azzurro chiaro l'isola di Tavolara, rifugio e base di banditi atomici.
La colossale rupe calcarea, densa di vegetazione spontanea, ricca di singolari esemplari di fauna, accessibile nelle sue baie dai pescosi fondali, ha una sua storia. Una storia di pirati e di predoni venuti dal mare.
Alle soglie dell'anno mille, i saraceni avevano scelto Tavolara come base d'approdo per le loro agili imbarcazioni corsare. Nell'isola confluivano i bottini e le prede, e lì - in tutta tranquillità - avevano luogo le spartizioni, gli arrangi. Quando il numero e la quantità degli affari di quegli intraprendenti precursori dei moderni filibustieri aumentarono, spostarono la base per i loro arrangi nel golfo situato più a settentrione (dove sorge l'attuale Olbia), che per una deformazione linguistica si chiama «degli Aranci».
Filibustiere di più squisiti modi, Carlo Alberto nel 1837 sbarcò nell'isola di Tavolara, in tenuta da caccia, armato di cesellato archibugio. Per ritemprarsi dei suoi ponderosi dubbi, il «re tentenna» venne qui a caccia delle favolose capre dai denti d'oro e dalle corna enormi. Fu ospite di Giuseppe Bartoleoni, il maddalenino che aveva acquistato la rupe proclamandosene re. Pare che Carlo Alberto fosse interessato più ai denti d'oro che all'ampiezza delle corna della locale fauna caprina. Già allora la corte piemontese vantava magnifici esemplari di becchi, mentre non altrettanto cospicuo aveva l'erario. Purtroppo i denti risultarono d'oro falso: si trattava di una patina gialla metallica prodotta dalle erbe di cui gli animali si cibavano. E il re piemontese si rifece depredando le tombe puniche della necropoli di Tharros, nell'Oristanese.
Nel 1936 l'isola diventa proprietà dei conti Marzano, speculatori d'alto borgo sbarcati dal continente, i quali pensarono di utilizzarla come riserva di caccia, per trascorrervi il week-end con i loro amici romani. Resta una parte - circa 40 ettari su circa 600 - proprietà di un pastore che si proclamava unico erede del re di Tavolara Bartoleoni e pretendete al trono. Ai conti Marzano l'affare costò un milione di lire.
Arriviamo al 1960, agli anni del boom turistico. Poco distante dal Golfo degli Aranci e da Tavolara, sbarca Karin Aga Khan - un nome che suona dell'idioma di coloro che mille anni prima facevano gli arrangi dopo le filibusterie. Karin Aga Khan sbarca con un assegno di due miliardi e mezzo da investire nell'operazione «Costa Smeralda». Sono al suo seguito finanzieri svizzeri e britannici. Inizia la corsa alla speculazione delle coste sarde. Il capitale del Nord guarda con interesse all'isola di Tavolara. Potrebbe diventare un prodotto altamente consumistico - una colonia di nudisti, beata oasi di approdo per affaticati e danarosi commendatori milanesi; oppure un discreto asilo estivo per principi e dive, e viceversa. Per Tavolara viene offerta la cifra di mezzo miliardo di lire. Siamo alle soglie del 1961.
Nello stesso anno, altri visitatori mettono piede nell'isola delle capre dai denti d'oro. Sono gli strateghi della NATO, ammiragli e generali, appassionati di caccia grossa, i quali, dimesso l'archibugio ad acciarino, usano missili a testata atomica. Per molti giorni una nave sta alla fonda dietro Tavolara. Ammiragli e generali si spacciano per innocui studiosi di talassografia, per salvare il cosiddetto segreto militare.
Pochi mesi dopo, il demanio marittimo decide l'esproprio per quanto di sua competenza. Ne entra in possesso con 54 milioni, versati ai conti Marzano. Il pastore successore dei Bartoleoni, sentendosi togliere il regno da sotto i piedi, minaccia di dar luogo a una vertenza internazionale, ricorrendo all'ONU per «violazione di diritto di sovranità». L'ONU ha altre gatte da pelare, e la vertenza è chiusa sul nascere da un decreto del prefetto di Sassari (n. 4 del 23 ottobre 1961) che dispone

“la requisizione, l'esproprio e l'occupazione immediata a fini militari dell'intera isola di Tavolara, in conformità al decreto presidenziale del 30-12-1960 ed al relativo provvedimento del ministro della Difesa del 4-9-1961”.

Un re della dinastia dei Bartoleoni viene spodestato d'ufficio dai funzionari della repubblica, e un centinaio circa tra pastori e pescatori vengono deportati in massa con le loro greggi e le loro reti. Il destino dell'isola delle foche e delle capre dai denti d'oro sembra compiersi. I difensori della civiltà occidentale e del dollaro USA hanno eletto questa rupe sul mare «nuovo anello della catena strategica NATO» - ovvero, base d'appoggio per sommergibili Polaris dotati di missili a testata nucleare. Giusta la nuova teoria bellica della risposta flessibile (“L’Astrolabio”, 14 settembre 1969).
Nell'autunno del 1961, un periodico sassarese si fa portavoce degli interessi del capitale turistico con un sensazionale dal titolo La bomba sotto il cuscino:

“L'esproprio di Tavolara per esigenze militari segna la fine del turismo internazionale in Sardegna. Negli ambienti della finanza svizzera e britannica la notizia è stata ricevuta e ritrasmessa in quattro lingue. L'Aga Khan e i suoi fratelli Guiness, Duncan, Miller e la Begum, David Niven e il barone di Asshe hanno girato il cablo tra le mani e hanno avuto un gesto di disappunto. Il loro pensiero è corso all'unica prospettiva possibile: recuperare gli oltre due miliardi investiti nell'acquisto delle coste brulle della Gallura nord-orientale…” (“Sassari Sera”, ottobre 1961).

Se gli operatori turistici vedono messi in pericolo i loro affari speculativi, per i sardi la militarizzazione di Tavolara significa qualcosa di ben più grave: la presenza di armi nucleari nel territorio non soltanto condiziona negativamente ogni possibile sviluppo dell'economia isolana, ma minaccia la stessa sopravvivenza fisica delle popolazioni.
D'altro canto, gli operatori economici trovano, anche in questa circostanza, il modo di impinguare i loro capitali:

“Una sola persona, tra le tante giunte dall'estero (in Sardegna) nella movimentata estate del '61 non ha battuto ciglio ed è il figlio dell'ambasciatore Attolico, funzionario della NATO a Ginevra. Indirizzato dal barone Franchetti era sceso ad Olbia con Bettina e attraversando la litoranea per Siniscola aveva detto alla fidanzata di Alì che gliela indicava: «Tavolara è invendibile; bellissima, ma servirà alla NATO per farci una base atomica». Poi aveva raggiunto Capo Ceraso (tre miglia da Tavolara) e aveva comprato un tratto di cinquanta ettari…” (“Sassari Sera”, ottobre 1961).

Dal che si deduce quanto sia labile il «segreto militare» quando possa servire a favorire speculazione tra membri della consorteria.
Il periodico sassarese conclude il sensazionale lamentando che:

“la stampa sarda e l'opinione pubblica olbiense hanno perduto la loro occasione di protesta. Con un deposito di esplosivo a due passi, i turisti che avevano deciso di dimenticare in confortevoli valli sul mare la tensione internazionale che opprime la Francia e Berlino, il Cairo e l'Algeria, o di sfuggire la nube atomica che intristisce di più il grigio ovattato delle città nordiche avrebbero la sensazione di dormire con una bomba sotto il cuscino… (“Sassari Sera”, ottobre 1961).

Sulla linea del periodico sassarese - «i militari a Tavolara allontanano gli operatori turistici dalla Gallura» - si schierano i partiti della sinistra parlamentare. Fioccano al Parlamento regionale e in quello nazionale le interrogazioni urgenti. La prima è del consigliere regionale Peralda, socialista, per sapere che fine faranno «i numerosi pescatori che nel perentorio termine di trenta giorni devono abbandonare l'isola e tutti i loro averi», per conoscere «se sia vero che l'espropriazione sia fatta al fine di installarvi una base per sommergibili atomici», e infine per sapere che cosa hanno in mente di fare le autorità regionali «al fine di scongiurare i gravi pericoli ed altresì il grave nocumento… al movimento turistico e ai connessi rilevanti investimenti finanziari in atto nell'intera costa nord-orientale».
Particolare rilievo politico viene dato alla interrogazione del consigliere democristiano Cadeddu, già assessore regionale all'agricoltura. «L'Unità» del 17 novembre 1961 sottolinea il fatto come esempio di «lotta unitaria». Il democristiano Cadeddu, dal canto suo, si dimostra soprattutto preoccupato degli interessi del capitale internazionale investito nel settore del turismo, senza che gli passi per l'anticamera del cervello il sospetto che le basi atomiche sono il mostruoso prodotto della politica dei blocchi di cui egli è complice attivo.
Il 14 novembre 1961 il Consiglio comunale di Olbia convocato d'urgenza in seduta straordinaria approva all'unanimità il seguente ordine del giorno:

“Vista l'ordinanza del 23-10-1961 che segna l'inizio del procedimento di espropriazione dell'isola di Tavolara ad opera del ministero della difesa, che si concluderebbe con la militarizzazione dell'isola stessa, sottraendola agli usi privati; considerato che attualmente l'isola di Tavolara costituisce con le sue incomparabili bellezze naturali una fonte di attrazione turistica di primo piano in tutta la costa orientale sarda e segnatamente nel golfo di Olbia e degli Aranci ed uno dei più suggestivi ed incantevoli itinerari del Mediterraneo celebrato fin dalla più remota antichità da poeti e da artisti; che l'isola dà vita alla categoria dei pescatori, alcune decine dei quali dimorano stabilmente traendone i modesti e unici mezzi di sostentamento; che la militarizzazione di tale località comporterebbe, oltre ai disagi dello sgombero immediato per le famiglie ivi residenti, anche la perdita definitiva di una delle zone più pescose del Tirreno; considerato anche che, oltre all'ingente danno sopra descritto della perdita dell'isola, la sua militarizzazione arrecherebbe grave pregiudizio ad ogni utile iniziativa economica intesa alla creazione di industrie e alla valorizzazione turistica, laddove è invece pacifico che solo dalla industrializzazione e dal turismo è lecito attendersi una vera rinascita per questo Comune, che attraversa attualmente una delle congiunture più scabrose della sua storia; rendendosi interprete del vivissimo malcontento e delle giustificate proteste della cittadinanza, rivolge accorato appello al Governo, al ministero della difesa-marina e alla Regione sarda, affinché attentamente valutate le considerazioni contenute nel presente ordine del giorno vogliano, per i settori di rispettiva competenza, adoperarsi energicamente e autorevolmente nel provocare la revoca immediata del lamentato procedimento di espropriazione dell'isola di Tavolara di questo Comune; impegna tutti i parlamentari sardi e invita le amministrazioni comunali della Sardegna nord-orientale per un'azione energica ed unitaria intesa a conseguire l'invocato provvedimento di revoca.”

La protesta è ormai generale a livello di vertici e di rappresentanze - ma non a livello di massa. La spinta maggiore la danno gli operatori economici che, disturbati nel banchetto in cui vanno divorando spiagge e scogli della riviera gallurese, muovono gli ingranaggi della contestazione politica del sistema. E' vero che il governo di Roma ancora tace, ma sono in molti a sperare che i supremi comandi militari, preso atto che non si tratta di levata di scudi sovversivi, avranno la compiacenza di spostarsi, di andarsene da un'altra parte della Sardegna - magari qualche chilometro più a sud, dove potranno unire i confini della loro base di Polaris con quelli dei missili di Perdasdefogu.
Intanto si tenta di dissuadere il ministero della difesa facendogli i conti in tasca - quasi che nei bilanci per le spese militari possa esistere il concetto «popolare» di risparmio! Di questo tentativo si fa portavoce un periodico di Sassari con l'articolo intitolato Lo Stato sborserà 10 miliardi per l'esproprio di Tavolara.

“L'esproprio di Tavolara verrà nuovamente riesaminato dal ministero della difesa? La massa degli interventi politici, la pioggia di interrogazioni e i servizi speciali della stampa italiana hanno finito per premere a favore di un'utilizzazione pacifica dell'isola. Più persuasiva, l'entità della spesa occorrente per l'esproprio… si parla di una cifra di miliardi… Negli ultimissimi contratti è stato denunciato agli effetti fiscali un valore di 2 milioni ad ettaro, ma in realtà il prezzo stabilito è stato di lire 15.000 al metro quadrato, cioè 15 milioni ad ettaro. Per l'isola di Tavolara potrebbe dunque arrivare a spendere 9 -10 miliardi…” (“Sassari Sera”, 20 gennaio 1962).

Il ministero ha invece preventivato 50 milioni, e naturalmente i conti Marzano, proprietari, si oppongono al provvedimento facendo riferimento all'art. 39 della legge del 1865 che riguarda le espropriazioni totali, per cui il giusto prezzo è quello che l'immobile avrebbe in una libera contrattazione di compravendita.
I padroni di Tavolara, intanto che difendono i loro interessi per via giudiziaria, fanno al ministero della difesa allettanti proposte.

“I sigg. Marzano proprietari della quasi totalità dell'isola sono stati invitati da numerose personalità del luogo ed in specie dai sindaci dei vari paesi interessati ad offrire a codesto on.le Ministero un'altra loro proprietà che possa essere adoperata agli stessi scopi militari, cosa che i predetti si onorano di proporre dichiarandosi disposti a trattare direttamente e volontariamente la cessione. Trattasi della zona nominata Monte Albo in provincia di Nuoro.
Questo monte è della stessa natura geologica dell'isola di Tavolara, ha un'altezza anziché di seicento metri come Tavolara bensì di mille metri sul livello del mare, trovasi in una zona appartenente al comune di Lula senza alcuna importanza turistica né agricola, né industriale, ha l'accesso molto più facile perché per accedervi non c'è bisogno di natanti ma esistono delle comode strade che conducono fino alle falde del monte, ha un'estensione superiore a quella di Tavolara e della quale ben 900 ettari appartengono ai sigg. Marzano, possiede nel suo interno grotte di ampiezza grandiose lunghe parecchi chilometri adatte a qualsiasi opera di difesa anche atomica, grotte recentemente esplorate dal professore Antonio Fureddu del gruppo speleologico Pio XII di Cagliari.
Tutti questi speciale elementi si pensa possano sostituire ottimamente quelli che si riscontrano nell'isola di Tavolara, per cui si chiede che sia esaminata la possibilità di sostituire e sia sostituito Monte Albo a Tavolara per l'installazione delle opere di difesa già progettate da codesto on.le Ministero, trovando in ciò consenzienti i proprietari del Monte ed evitando il grave nocumento che altrimenti deriverebbe ad Olbia e città limitrofe che sono le più povere e sottosviluppate della Sardegna.”

Dietro i propositi umanitari di questo singolare documento, che dichiara di voler sostenere gli interessi delle popolazioni galluresi conciliandoli con gli interessi bellici dei generali della NATO, si nasconde un rivoltante cinismo: se volete fare le vostre basi anche atomiche, va bene, purché le facciate nel Nuorese, dove vivono pastori e contadini, non cortigiani d'alto rango come nella Costa Smeralda.
Ma gli strateghi della NATO hanno deciso - i governanti debbono ubbidire. D'altro canto, ammesso che Andreotti possa decidere sulla questione, non sarà una ulteriore spesuccia di 10 miliardi - che non spende di tasca sua - a dissuaderlo, compiacendo i Marzano e dispiacendo i militari. Il ministro della difesa è oltre tutto uno scaltro homo politicus di pasta clericale e sa barcamenarsi benissimo per calmare da un lato gli animi agitati del capitale turistico e l'opinione pubblica da un altro lato.
All'on. Bardanzellu, che lo aveva interrogato per sapere se «non ravvisi l'opportunità e la necessità di accogliere l'ordine del giorno votato all'unanimità dal Consiglio comunale di Olbia nella seduta del 14-1-1961», il ministro Andreotti finalmente risponde:

“Esigenze militari richiedono l'installazione nell'isola di Tavolara di un impianto radio per le comunicazioni a grande raggio, la cui esatta ubicazione potrà essere fissata solo dopo complesse esperienze sullo sviluppo da dare al sistema delle antenne. In vista di ciò la Marina ha intrapreso procedimenti di espropriazione della piccola isola, con il proposito tuttavia di retrocedere le aree che in concreto non saranno da utilizzare in via permanente. Comunque - poiché gli studi nel frattempo condotti consentono già orientamenti di massima - la Forza Armata revocherà fin d'ora l'esproprio per oltre la metà dell'isola, fermo sempre il proposito di retrocedere successivamente anche le altre aree che dovessero risultare non più necessarie per le sue esigenze. Dato il ridimensionamento degli espropri e stante la natura degli impianti da costruire, sembrano da escludere turbamenti all'attività peschereccia e allo sviluppo turistico della zona.”

Nel dramma di Tavolara si innesta un elemento esilarante: che Tavolara debba essere utilizzata dalla NATO come rifugio di sommergibili Polaris con armamento nucleare è di pubblico dominio; soltanto il ministro della difesa ignora il fatto.
Certo è che Andreotti, se non è stato lui stesso menato per il naso dai generali della NATO, ha mentito spudoratamente. E' ciò che dimostrano i radicali intervenendo sul caso Tavolara con documenti esplosivi.
In una corrispondenza da Parigi del 23 settembre 1963, «Agenzia Radicale» (a. I, n. 55) dà notizia della costruzione della prima delle tre basi italiane per sommergibili NATO armati di Polaris, precisamente a Tavolara, nel golfo di Olbia, in Sardegna. Tra gli altri particolari l'«Agenzia Radicale», rende noto che i lavori sono già stati affidati dalla NATO alla Astaldi, una ditta italiana.
Il 2 ottobre dello stesso anno «Agenzia Radicale» (n. 56) pubblica ulteriori dettagli:

“Da Parigi abbiamo avuto una sola precisazione, che per quanto ci riguarda riveste il carattere di una nuova conferma di fondo: contrariamente a quanto comunicato, Tavolara non è la prima di tre basi italiane per sommergibili armati di Polaris, ma la prima di tre basi mediterranee, essendo le altre due una spagnola [la base di Rota?], l'altra in un'isola sotto la sovranità greca. Per il resto, ambienti NATO hanno sostenuto che la smentita d'obbligo spettasse semmai al ministero della difesa italiano (essendo italiana la fonte della notizia), mentre a Roma si è invece ritenuto che il ministro Andreotti non ha che da rispondere alle interrogazioni parlamentari, essendo la notizia proveniente da Parigi e relativa alla responsabilità dell'alto Comando NATO. Così aspettiamo ancora, e aspettano gli stessi ambienti di maggioranza, la popolazione sarda, i parlamentari e l'opinione pubblica, per sapere quali saranno le decisioni della NATO e del ministro della difesa italiano in proposito.”

Fra tutte le iniziative anti-NATO e in difesa della pace e del diritto delle genti a decidere del proprio destino, in un momento veramente drammatico che da diverse parti si tenta di strumentalizzare per fini tutt'altro che pacifisti, il partito radicale propone:

“la convocazione di un grande convegno dei paesi dell'area mediterranea, sui problemi della sicurezza civile anche in rapporto alla presenza di sommergibili armati di Polaris e della forza nucleare navale NATO costituita nelle settimane precedenti (neppure attraverso una delibera del Consiglio Atlantico ma tout court con un accordo a cinque: USA, Germania Federale, Italia, Grecia e Turchia).”

Il partito radicale ritiene che un'iniziativa del genere può consentire ai popoli interessati di seguire i vari «progetti Tavolara» che generali e ministri dovessero eventualmente elaborare, e rispondere con la dovuta fermezza. Comunque, ripropone a tutte le forze democratiche e antimilitariste:

“la battaglia per l'uscita dell'Italia dalla NATO, per il disarmo unilaterale del nostro Paese e dell'intera area europea (Est ed Ovest), per la denuncia dell'azione irresponsabile e reazionaria del ministro Andreotti (“Agenzia Radicale”, n. 56 del 2 ottobre 1963).

Tavolara ritorna in Parlamento nell'ottobre dello stesso anno con un'interrogazione e una proposta del senatore comunista Velio Spano. Andreotti ribadisce al senato la storiella delle antenne radio raccontata alla Camera. Velio Spano taglia corto chiedendo che una commissione di parlamentari visiti l'isola e accerti con mano la verità. Niente da fare: il segreto militare è al di sopra della curiosità del popolo sovrano e del Parlamento che lo rappresenta.
Si riaccende la polemica. I radicali diramano una nota politica con notizie e dati inediti sulla questione:

Secondo l'ineffabile Ministro della Difesa nel golfo di Olbia non si sarebbe progettato che la costruzione di un'antenna radio dell'esercito per fini pacifici… Dunque il nostro Ministro della Difesa per installare un impianto che richiede al massimo un ettaro di terreno e pochi lavori di scarso rilievo, ha:
    1. pagato 328 milioni per espropriare le proprietà private dell'Isola di Tavolara (600 ettari);
    2. incaricato la ditta Astaldi di scandagliare per settimane con mezzi tecnici rilevanti, sommozzatori e imbarcazioni di appoggio su cui si trovavano tecnici altamente qualificati; la roccia sottomarina dell'intera isola di Tavolara (il cui versante est - come è noto - si erge su fossa marina di oltre 200 metri);
    3. Effettuato studi per oltre un anno, come dimostrano fra l'altro i grandi disegni ancora oggi visibili sulla roccia a livello del mare e sotto il livello del mare, che unanimamente i tecnici dichiarano poter essere corrispondenti a progetti di scavi di caverne.
Oltre queste, altre osservazioni potrebbero essere fatte. Le contraddizioni tra le assicurazioni del governo regionale sardo, che aveva parlato di impianti radar, e quelle del Ministro che… assicura trattarsi di impianti radio, possono apparire solo tenui indizi. Che la ditta Astaldi abbia effettuati in genere solo importantissimi e segreti impianti militari, non solo per la difesa italiana ma per la NATO, può essere di per sé irrilevante. Che la stampa estera, indipendentemente (anche se successivamente) da «Agenzia Radicale», abbia dato, senza ricevere smentite, la stessa notizia; che il Ministro Andreotti abbia atteso che il Ministro Piccioni affermasse alla Camera l'impegno del nostro Paese per la forza multilaterale prima di fare la sua smentita, può non interessare molta gente.
Ma, per quanto ci riguarda, confermiamo quanto abbiamo scritto senza nulla ritirare nella forma e nella sostanza, della notizia che abbiamo ricevuto da Parigi e delle successive precisazioni da noi fornite. Ce ne assumiamo la piena responsabilità. Poi lasciamo giudicare all'opinione pubblica se sia più attendibile - in base ai dati di fatto - la nostra affermazione o quella del Ministro (“Agenzia Radicale”, n. 59 del 19 ottobre 1963).

La nota di «Agenzia Radicale» viene ripresa dalla stampa della sinistra sarda. «Sassari Sera» scrive:

“Già trecento operai si apprestano a invadere il più piccolo regno del mondo per costruire un tunnel che attraverserà per oltre la metà la montagna. E' ovvio che questo tunnel non servirà per deliziare gli abitanti con partite di palla a nuoto al coperto, né come base per una scuola di sci acquatico. Qui si parla di Polaris, di rifugi per sottomarini e di porto militare… Tavolara, Perdasdefogu, Sant'Antonio di Santadi, Teulada, Decimomannu sono tappe di una Sardegna che ogni giorno di più diventa fortezza. E' forse tempo che i parlamentari sardi e la Giunta regionale si interessino più da vicino della vita e della tranquillità dei loro elettori (“Sassari Sera”, 1° novembre 1963).

La rivista di Cagliari «Sardegna Oggi» riafferma senza mezzi termini:

“Nell'isola di Tavolara sorgerà una base per sottomarini muniti di Polaris: la notizia non è stata smentita; deve quindi ritenersi esatta… E' noto a tutti che cosa significhino le basi per i Polaris: significano armamento atomico multilaterale della NATO, cioè possibilità di riarmo tedesco che arriva fino alla concessione di missili a testata nucleare… La presenza di gran numero di militari e tecnici tedeschi in Sardegna è sintomatica anche a questo proposito… (“Sardegna Oggi”, novembre 1963).

Un anno più tardi (agosto '64) il Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale dell'Area Europea emette un comunicato: le indiscrezioni radicali erano fondate, la trasformazione della suggestiva isola in uno strumento bellico si va compiendo a ritmi accelerati, i governanti hanno mentito e truffato ancora una volta (“Agenzia Radicale”, n. 85 del 28 agosto 1964).
1969. Era nella logica delle cose prevedere un dirottamento dei filoni turistici verso aree mediterranee più tranquille - purtroppo sempre meno reperibili. E nella logica delle stesse cose è che le basi militari tendono ad allargarsi a macchia d'olio: una base necessita di ampliamenti e continui aggiornamenti in relazione ai nuovi strumenti difensivi e offensivi prodotti dalla tecnica; ogni base necessita a sua volta di altre basi: di appoggio e di integrazione, sottomarine, navali di superficie, aree poligoni di tiro, campi di addestramento, caserme, depositi di carburante, oleodotti, furerie, sussistenza, impianti radio e radar, polveriere, ecc. Il tutto - come d'uso - circondato dal più rigoroso segreto. Il che significa creare il deserto atomico, soppiantare o condizionare la società civile.
Non sono quindi in pericolo soltanto gli interessi economici degli operatori turistici e delle popolazioni della zona: sono in pericolo le istituzioni democratiche e la crescita civile della società.
Un giornale socialista dell'isola ha scritto:

“Non ci piace il neocapitalismo. Non ci piacciono i prìncipi ricchi. Ma se gli uomini che hanno in pugno il potere e i nostri destini ci mettono di fronte al dilemma - o il principe Karin o i missili atomici - noi ci facciamo mussulmani e scegliamo il principe Karin.”

Siamo invece dell'avviso che il popolo sardo possa rifiutare i missili atomici senza dover necessariamente accettare il Corano di Alì Babà. I capitalisti che muovono i capitali nella speculazione turistica sono gli stessi capitalisti che fomentano le rivalità nazionali per produrre e spacciare armi. E quando - come a Tavolara - dovessero diminuire i profitti dei capitali investiti in speculazioni di «pacifico sfruttamento dell'uomo e del suo naturale patrimonio», allora gli Alì Babà si rifarebbero con i profitti dei capitali investiti nella costruzione di missili. Per il capitalismo, Tavolara è un affare come lo è stato la Costa Smeralda.
1970. Che cosa si nasconde oggi nelle viscere di Tavolara? L'isola è diventata top secret. Per un largo raggio intorno alle sue coste è calata una fitta barriera. Dietro - continuano a dire gli informatori ufficiali - non c'è nulla, solo un impianto radio con relativa antenna. Si tratta, purtroppo, di informatori con licenza di mentire per la sicurezza dello Stato. Andreotti è il ministro che ha avuto più di ogni altro il grave compito di imbastire bugie militari per assopire l'opinione pubblica. Ha dichiarato pubblicamente che nessun pericolo avrebbe minacciato il turismo, che l'economia della zona non ci avrebbe rimesso una lira, che soltanto una piccola parte dell'isola sarebbe stata espropriata e che le aree non utilizzate sarebbero state restituite all'attività civile.
I fatti smentiscono Andreotti. Il turista che soltanto osi avvicinarsi alle acque off limits viene respinto o portato in questura per gli «accertamenti del caso»; una revoca degli espropri non c'è mai stata; l'impianto radio che doveva essere per comunicazioni a largo raggio ha accorciato tanto le distanze da raggiungere le vicine unità della VI Flotta USA che vi convergono per compiervi esercitazioni di sbarco e altri divertissement guerreschi.
Certo, vien fatto di pensare che schiere di bionde nordiche mollemente distese a crogiolarsi al sole in quelle insenature luminose farebbero un ben più umano e piacevole paesaggio dei marines stivalati e infardellati violentare e insozzare la pace e le forme di quella natura coi vomiti delle loro infernali armi. Di Tavolara ricordiamo con nostalgia le profonde grotte a fior d'acqua, rifugio paradisiaco di amanti alla Lawrence. Oggi, in quelle stesse grotte opportunamente adattate trovano rifugio i sommergibili a propulsione atomica coi loro missili erti pronti a eiaculare sui popoli della terra il caos dell'apocalisse.
Diciamolo pure apertamente - tanto, oggi come oggi, con la sensibilità visiva e auditiva che si è fatta la gente, il top secret è il segreto di Pulcinella - che Tavolara è una base di sottomarini Polaris in dotazione alla NATO. Ma si sa di più, oggi. E cioè che i comandi militari avevano pensato in un primo tempo di installare una base di missili per gli stessi sottomarini nelle coste sud-orientali della Sardegna, a poca distanza da Cagliari. Alla fine avrebbe prevalso Tavolara: elemento non ultimo la sua posizione che consente di tenere lontani occhi indiscreti con relativa facilità. Ma c'è anche chi dice sia probabile che sia stato portato avanti anche il primo progetto di base, vicino a Calamosca dove si trovano immensi depositi di carburante.
I top secret, anche quelli meglio vigilati, lasciano sempre qualche spiraglio imprevisto. Non è difficile, oltre tutto, parlare con qualcuno degli operai sardi che vi hanno lavorato, reclutati per i soliti lavori di manovalanza. Sappiamo così che Tavolara è una gruviera brulicante di vermi d'acciaio. In una parte non precisabile del sottosuolo è stata scavata un'immensa caverna. Presumibilmente il soggiorno dei Polaris. La gente della zona chiama questa caverna una «manna abbeddu», e dice che non se l'è sognata. Le opere di finitura e gli impianti sono stati compiuti da tecnici americani e tedeschi - i sardi, di norma, vengono licenziati appena dimessi i picconi e i badili (“ABC”, 1969).
In Sardegna queste cose le sanno anche i bambini, figuriamoci il controspionaggio dell'Unione Sovietica o di Vattelapesca! Gli unici a non sapere nulla sono i nostri Andreotti… onestamente convinti che il futuro del globo terracqueo riposi sul top secret. Che è sacro e inviolabile segreto anche quando è di pubblico dominio. Un ingranaggio del meccanismo mentale proprio dei sacerdoti che officiano consacrazioni a nebulose divinità nazionalistiche.
Infatti, durante l'estate, non sono pochi gli ignari turisti che a bordo di natanti si dirigono verso l'isola, attratti dalla promettente veduta di deserte insenature e forse in cuor loro propensi a credere nell'andreottiano impianto radio, a una base militare di lievi e violabili proporzioni. L'intervento nell'apparato di vigilanza è sempre immediato. I sospetti finiscono in caserma o in commissariato e devono dimostrare che non sono spie o sovversivi - altrimenti sono dolori.
Non si deve vedere, né sapere quali diavolerie appronta il sistema per atterrire e tenere in pugno i popoli della terra. A Tavolara, ben visibile, come lo specchietto per le allodole, c'è una lunga antenna radio. Nelle sue viscere si scava e si trama il crimine della guerra.
C'è una morale politica da trarre. Non è stato fatto abbastanza, o forse non nella giusta direzione, per sensibilizzare e mobilitare le masse popolari sulla questione delle basi militari, in particolare su quelle come Tavolara fornite di armi nucleari.
Il popolo sardo si arrampica quotidianamente con le unghie e con i denti sulle pietre della sua millenaria povertà, alla disperata ricerca della più elementare sopravvivenza - stretto d'assedio da truppe coloniali, fiscaleggiato da una burocrazia statale di stampo spagnolesco, beffato dalla giustizia, seviziato braccato confinato da un apparato repressivo cui ogni potere è lecito…
Come può difendersi questo popolo, oltre che dai vecchi mali, da questo nuovo e terrificante che va trasformando la sua terra in una polveriera atomica? Questo è il problema di fondo. A questo problema bisogna dare in Sardegna una soluzione nuova e radicale.



5. L'arcipelago de La Maddalena

La storia dell'isola di La Maddalena, la più importante e la più vasta dell'omonimo arcipelago situato a nord del Golfo degli Aranci, coincide con la storia della marina militare.
L'attuale cittadina, che prende il nome dall'isola dove è situata, trova origine in una colonia di pescatori corsi all'inizio del 1700 e si accrebbe in seguito coi numerosi renitenti che fuggivano dalla vicina provincia francese per sottrarsi alla coscrizione militare obbligatoria. Un destino beffardo nei confronti dei non violenti obiettori maddalenini: già nel 1837 lo storico Valery parla dell'isola come di una formidabile roccaforte, fortificata e presieduta dal barone De Geneys creatore della marina sarda. E proprio a La Maddalena Napoleone Bonaparte subirà la prima sconfitta della sua folle carriera di guerriero.
Per la verità - dicono - Napoleone non ce la mise proprio tutta in quel 1793. C'erano in lui particolari sentimenti di affetto che lo legavano ai popolani dell'isola, suoi corregionali d'origine, quando dall'isola di Santo Stefano pensò di cannoneggiare il villaggio prima di espugnare la roccaforte. Fece lanciare una bomba vuota, a scopo intimidatorio. E manco a farlo apposta andò a finire - dicono le cronache - giusto all'interno della chiesa. I preti, dal canto loro, non potevano sapere che si trattava di una bomba fasulla - non essendo scoppiata gridarono al miracolo, levando grazie al Signore che si era degnato di proteggere il suo gregge dagli eretici giacobini. (La bomba vuota fu religiosamente conservata nella chiesa come reliquia fino al 1832, anno in cui venne venduta per 30 scudi ad un certo mister Creig, collezionista inglese di venerabili cimeli).
Non fa meraviglia che il corpo di spedizione francese guidato da Napoleone, allora comandante in seconda di battaglione, venisse respinto: La Maddalena non ha facili approdi e con le sue poderose opere difensive era una roccaforte imprendibile.
Per dare un'idea di quale fosse - e sia - l'importanza che i militari attribuivano - e attribuiscono - all'isola riportiamo alcuni dati estratti da La monografia della Sardegna edita nel 1890 a cura del Capo di Stato Maggiore, e aggiornato da un paziente amanuense al periodo fascista.
Nella Piazza Marittima di La Maddalena, la più importante fortezza dell'isola e una delle maggiori del Mediterraneo, si contavano: 4 Opere, con trinceramenti (uno solo con ben 3.000 metri di sviluppo), batterie alte e batterie basse, circa 10.

“Vi si enumerano diverse strutture militari o di servizio militare: una caserma di fanteria capace di due compagnie ed una… colombaia militare [sic!]… Officine e magazzini pel genio militare e per la regia marina, una stazione provvisoria per le torpediniere (è in costruzione la nuova stazione), sei scali di alaggio per torpediniere, la colonia penale per 650 condannati [militari], la caserma per la compagnia di disciplina della regia marina [200 uomini], l'ospedale (in costruzione avanzata) per 200 ammalati militari, il panificio che può produrre 12.000 razioni al giorno, la caserma per 600 marinai e sette fabbricati per ufficiali ed alloggi ufficiali.”

Ancora, lavori eseguiti e in via di esecuzione: stazione torpedini per lo sbarramento di ponente, apertura di strade, gittata di diga per congiungere La Maddalena con Caprera con interruzione di 25 metri per il passaggio del torpediniere, e ancora centinaia di metri di banchine, cinque moli per sbarco di carbone, distillatori della produttività di 150 tonnellate d'acqua al giorno e cisterna capace di altre 2.500 tonnellate…
Evitiamo il lunghissimo elenco delle opere militari cosiddette «complementari», tra cui figurano ben 32 stazioni telegrafiche e telefoniche. E tralasciamo la descrizione delle altre numerose isolette dell'arcipelago maddalenino, tutte «armate fino ai denti». Riteniamo che i pochi dati trascritti siano sufficienti a ricavarne alcune considerazioni:
il dispendio di mezzi e di uomini per creare strutture militari in una regione come la Sardegna che manca perfino dei più elementari servizi igienici, dove ai nostri giorni sono possibili epidemie di colera (estate 1967 nell'Oristanese);
il totale e assoluto asservimento dell'arcipelago maddalenino ai disegni di strategia bellica degli stati maggiori;
la stupidità relativa allo sperpero di pubblico denaro nella costruzione di opere difensive che di anno in anno diventano inservibili perché superate dal progresso tecnologico delle armi e dalle nuove strategie guerresche;
qualunque rudere di impianto militare, anche quando se ne sia constatata l'assoluta inutilità difensiva od offensiva, continua a restare patrimonio militare, interdetto a qualunque utilizzazione civile e sotto la giurisdizione militare - così come le vecchie chiese fin quando non vengono sconsacrate dal vescovo conservano la loro «sacralità».
Dal 1837 ad oggi si sono sperperati miliardi su miliardi per la Piazza Marittima di La Maddalena - che fu pupilla dell'occhio di Mussolini, dove lo stesso Mussolini in prigionia ebbe occasione di riflettere sul precetto evangelico dato a Pietro sull'uso delle armi. Di quei miliardi neppure una briciola è ricaduta sulle popolazioni, che oggi come ieri lamentano la mancanza dei più elementari servizi civili. mette il dito sulla piaga un recente servizio di un periodico sassarese.

“La Maddalena è una cittadina di 12.000 abitanti, 20.000 durante l'invasione turistica. Meno di 2.000 sono gli impiegati, più di 3.000 gli operai. Il resto è manovalanza generica…
Tutta la città è senz'acqua, anzi tutto l'arcipelago. Senz'acqua d'estate e con pochissima acqua d'inverno. Questo dell'acqua è uno dei più grossi problemi della città. L'altro è quello delle servitù militari, ossia delle zone militari che accerchiano l'isola e la stringono in una morsa di divieti…
Il periplo di La Maddalena è del Ministero della Difesa: le servitù militari ne precludono ogni possibilità di sviluppo. La segnaletica dell'isola è a base di divieti di accesso innaturali, assurdi… Le speranze di liberarsi dalle servitù sono del tutto infondate. Tutti conosciamo l'ottusa incomprensione dei militari al riguardo…” (“Sassari Sera”, 15 ottobre 1968).

Non sempre il segreto militare serve a nascondere agli occhi del «nemico» delicate macchine belliche. Qualche volta torna semplicemente comodo alla privacy coniugale o extraconiugale degli alti gradi delle forze armate. Certo è improbabile che austeri ufficiali tutti d'un pezzo profanino di loro iniziativa un ex ridotto militare, usandolo riadattato come sede di mondana villeggiatura - ma le loro mogli o amanti non hanno di questi riverenziali problemi, ed è materia nota agli analisti che l'inflessibile autoritarismo dei generali trema e si scioglie davanti a una gonnella.
E' accaduto in questa zona, località situata a un tiro di schioppo dal regno di Karin Aga Khan.

“Zona militare - Divieto di accesso. Targhe di questo contenuto sono state disseminate in gran numero in una fascia di pineta nella pittoresca e frequentatissima spiaggia di Capriccioli. I campeggiatori che vi avevano piantato le tende, e sono per la maggior parte stranieri, sono stati diffidati a sloggiare nel più breve tempo possibile. Che cosa è successo? A prima vista si sarebbe portati a pensare che nella zona si debbano compiere esercitazioni di particolare importanza, che per motivi di opportunità strategica debbano essere coperti dal segreto più vincolante… Un sopralluogo sul posto chiarisce il mistero: nell'area delimitata come zona militare non è molto difficile scoprire l'esistenza di una graziosa villetta, appena dissimulata dalla vegetazione (da ulteriori accertamenti fatti, la villetta sarebbe una casermetta riadattata in stile mediterraneo). Chi vorrebbe vedere austeri ammiragli o esperti di tattiche belliche intenti alla preparazione di un fantomatico piano di attacco resterebbe deluso. Niente di tutto questo: nella veranda esposta a oriente si presenta una scena consueta in ogni località balneare, con una giovane donna che su una sdraio prende la tintarella, senza evidentemente assilli di carattere… strategico («La nuova Sardegna», 17 luglio 1969.).



6. Decimomannu e Serrenti

Tra i comuni di Decimomannu, Villasor e San Sperate è situata la più importante base aerea NATO d'Europa. Occupa una superficie approssimativa di 1.000 ettari escluse le circostanti zone residenziali e dépendances.
Il campo aeronautico di Decimo fu una base di punta della macchina bellica nella seconda carneficina mondiale. Mussolini e Hitler ne fecero il punto di partenza dei bombardieri per le incursioni alle nazioni mediterranee. La presenza di questa base e la sua breve distanza (10 Km) dalla città capoluogo dell'isola costò ai sardi i bombardamenti americani del 26 e 28 febbraio 1943 che causarono circa 20.000 vittime, un quinto della popolazione civile di Cagliari.
Decaduto dopo la seconda carneficina mondiale, l'aeroporto è stato riscoperto dai generali della NATO - presumibilmente nel 1955, quando il tenente generale Courtland Schuyler lamenta la «debolezza» dell'apparato «difensivo» nell'Europa occidentale della North Atlantic Treaty Organization. L'anno prima, nel '54, infatti, precisamente nel mese di marzo, ha luogo un'esplosione termonucleare nel Pacifico centrale ad opera degli americani. (L'ordigno termonucleare ha sviluppato energia equivalente a quella producibile da una esplosione di 20 milioni di tonnellate di trinitroluene). Poco dopo si apprende che gli USA possiedono bombe all'idrogeno d'impiego operativo. Si tratta quindi di fornirle anche alla NATO, le cui basi vanno adeguate ai nuovi strumenti bellici.
La Germania, il Canada e l'Italia, sollecitati dagli Stati Uniti, in base all'accordo stipulato a tamburo battente nel '55, decidono il riassestamento della base di Decimo da utilizzarsi come base logistica per l'addestramento dei piloti di aerei supersonici forniti di armi nucleari al tiro sul poligono di Capo Frasca (Oristano).
Il 16 giugno 1957 pur non essendo ancora ultimati i lavori, i canadesi cominciano a usare le nuove piste. Il primo «alzabandiera» ufficiale dei canadesi è del 6 dicembre '57 - un dono natalizio per i sardi.

“All'austera cerimonia - scrive il quotidiano di Cagliari - sono intervenuti l'ambasciatore canadese a Roma Pierre Dupery, il generale Michele Palmiotti comandante del'aeronautica della Sardegna e diversi alti ufficiali italiani e canadesi” (“L’Unione Sarda”, 7 dicembre 1957).

Nella foto in prima pagina: la bandiera canadese, il vessillo della NATO ai lati del nastro tricolore che garrisce al vento.
Il 1 ottobre del '60 la base di Decimo viene ufficialmente occupata da italiani, tedeschi e canadesi insieme, dando inizio alla «piena attività». Lo stesso giorno migliaia di bambini sardi recatisi a scuola vengono rimandati a casa «per mancanza di aule».
Precedentemente, gli avieri specialisti in bombardamenti e mitragliamenti avevano base a Pfalz (Renania) nella Germania federale. Ma lì, il tempo - si lamentavano gli strateghi della NATO - è cattivo per molti mesi all'anno e il cielo ingombro di traffici commerciali, e le manovre belliche non vi si potevano fare agevolmente. Gli esperti si misero alla ricerca e - naturalmente - trovarono che la Sardegna ha un clima davvero favorevole sotto tutti gli aspetti e pochissimo traffico aereo (i soliti quattro gatti politici che fanno la spola tra Cagliari e Roma). E trovarono favorevoli anche i nostri governanti, molto sensibili barometricamente alle esigenze della difesa della civiltà occidentale e al dollaro USA.
Furono fatte le cose in grande. Gli strateghi della NATO segnarono sulla carta topografica della Sardegna tre cerchi: Decimomannu, base aerea; Capo Frasca, poligono di tiro per aerei; Capo Teulada, centro per operazioni tattiche miste aeronavali e terrestri.
Tutta la zona sud-occidentale dell'isola, il triangolo Decimo-Teulada-Capo Frasca diventa praticamente zona di operazioni belliche. Ciò ha comportato: la crisi delle miniere, lo sfacelo dell'agricoltura, l'interdizione assoluta delle coste al turismo, pesanti limitazioni all'esercizio della pesca, una imponente emigrazione e incalcolabili pericoli per la popolazione.
Scrive «L'Unità» del30 dicembre 1960:

“Nelle scorse settimane sono apparsi su tutti i quotidiani della Germania occidentale lunghi articoli con vistosi titoli su la vita che conducono le truppe di Bonn dislocate in Sardegna per le esercitazioni belliche. Queste truppe, per non allarmare le popolazioni e non destare reazioni nei paesi europei che furono vittime del nazismo, ufficialmente sono agli ordini della NATO, ma in realtà vengono dirette da quel Kammhuber che fu braccio destro di Goering e che, per compiacere Hitler, non esitò a far bombardare dalla Luftwaffe la città tedesca di Friburgo, fornendogli così il pretesto per i selvaggi attacchi aerei sull'Inghilterra.
Ora Kammhuber (come ai tempi del patto d'acciaio) manda di nuovo i suoi soldati per le strade d'Europa. I governi compiacenti che hanno accolto queste truppe dicono: «Vengono per addestrarsi, perché in Germania non c'è spazio». Eppure questi governi sanno bene (e, per quanto ci riguarda, dovrebbero saperlo benissimo il ministro degli esteri italiano, il sardo Segni) che cosa intendono per spazio i militaristi tedeschi. Anche nel 1939 volevano spazio e hanno scatenato la più spaventosa catastrofe della storia.
Nonostante questi precedenti, i tedeschi - nei giornali sovvenzionati dai capitalisti - sono soddisfatti del trattamento riservato dalle autorità italiane ai loro soldati: con 8.000 lire di diaria al giorno, mentre i braccianti sardi quando lavorano non ottengono neppure 800 lire e sono del tutto privi di assistenza, non c'è proprio da lamentarsi.”

Per la prima volta l'11 maggio 1961 la base di Decimo apre uno spiraglio alla curiosità (preventivamente controllata) di alcuni giornalisti. Questo il testo della cronaca, diffuso dall'«Agenzia Italia»:

“La più grande base aerea europea della NATO è stata aperta per la prima volta oggi ad un gruppo di giornalisti italiani, canadesi e tedeschi. Questi ultimi sono giunti da Colonia - incluso il collega del settimanale «Frankfurter Illustrierte», L. Mueller, il quale ha fatto stare in apprensione il comandante tedesco Krupinski, poiché appena messo piede a terra ha scoperto e si è precipitato indisturbato a fotografare gli unici 40 metri di strada priva di mano d'asfalto sui 20 chilometri che costituiscono lo sviluppo stradale complessivo del modernissimo e vasto complesso militare.
Contrariamente a quanto è stato scritto in occasione dell'arrivo della regina Elisabetta d'Inghilterra, la base aerea NATO di Decimomannu non è un piccolo aeroporto. Le sue dimensioni, infatti, e senza rivelare alcun segreto militare, possono contenere poco più di tre normali aeroporti civili. In una delle piste di rullaggio, fiancheggiante quelle di volo, sono allineati circa 100 aviogetti caccia-bombardieri, riparti in più squadroni: tedeschi, canadesi e italiani. Numerosi jets da caccia italiani sono poi disseminati lungo le piazzuole di sosta del campo.
Durante il loro soggiorno i giornalisti non assisteranno ad alcuna esercitazione speciale ma soltanto alla normale routine propria della base aerea NATO dalla quale ogni 5 settimane circa, escono un centinaio di piloti combact ready, ovvero piloti pronti al combattimento. Una volta terminato l'addestramento, uomini e velivoli lasciano la base aerea di Decimomannu per essere sostituiti da altri squadroni.
La base - che in questi giorni compie i sette mesi di vita operativa - è comandata da un ufficiale dell'aeronautica italiana: il colonnello Giuseppe Piseddu, sposato con due figli. La signora Piseddu e i giornalisti italiani sono i soli civili presenti nella base aerea NATO che oggi conta già circa 2.000 uomini, quanti sono gli effettivi previsti dall'organico.
Nonostante sia un aeroporto militare, progettato da militari e abitato da militari a parte i luccicanti aviogetti - dà l'impressione di essere un grande parco che accoglie alcune decine di collegi autosufficienti… La base aerea NATO è completamente autosufficiente per la parte idrica e elettrica, ha una autonomia di parecchi giorni per il carburante, è dotata di tutte le attrezzature necessarie per il volo notturno; dispone di 16 cucine in grado di fornire circa 6.000 pasti al giorno, di 6 celle frigorifere e di 8 impianti frigoriferi mobili; le 80 palazzine che costituiscono il complesso edilizio hanno tutte il riscaldamento autonomo; alcuni hangars-officine sono dotati di condizionamento d'aria; le opere di drenaggio si sviluppano per 25 chilometri. Poiché la base è sorta su un'area stagnosa, sulla superficie bonificata sorgerà una grande azienda agricola; le fogne hanno una lunghezza di 18 chilometri; la torre di controllo è dotata di aria condizionata; il governo amministrativo della base è tri-nazionale…
Nella giornata di sabato, i giornalisti verranno portati al poligono di capo Frasca, che dista dalla base circa 80 chilometri, ove assisteranno ad una dimostrazione di bombardamento aereo con razzi e bombe. Gli aviogetti raggiungeranno il poligono in pochi minuti; alla velocità di 900 chilometri orari - a volo radente (5 o 6 metri dal suolo) o in picchiata - dovranno colpire bersagli di plastica le cui dimensioni prospettiche sono pressapoco quelle di una «1100» Fiat vista di lato…”

Il servizio giornalistico riportato e per forza di cose incompleto. Dove vanno a finire i cosiddetti combact ready e quanto ne ha sfornato in dieci anni la base di Decimo? Dieci anni sono 520 settimane, ogni 5 settimane escono «abilitati» al bombardamento 100 piloti con relativi aerei, dunque abbiamo nel mondo ben 10.400 nuovi specialisti massacratori. Esclusi gli altri componenti d'equipaggio, per ogni aereo. Non andranno per caso a finire nel Vietnam o in Israele come volontari?
Altro che scuole sarde di abilitazione professionale! Ma si capisce - i nostri giovani non hanno bisogno di specializzazione per andare a zappare grano e a pascolare pecore e per emigrare.
Manca pure, nel servizio, la descrizione dei cottages nella zona residenziale ai margini della base, dove vivono, dotati di tutti i comfotrs, i familiari dei 2.000 militari in «pianta stabile» nell'aeroporto. E manca la descrizione dei paesi vicini, le condizioni delle popolazioni, dei contadini e dei pastori che vivono in catapecchie di mattoni crudi - che non solo non si sognano neppure «l'aria condizionata» ma aspettano da secoli fognature, cessi e acqua sufficiente ai più elementari servizi igienici. Se è vero che le basi portano benessere - come sostengono concordemente generali e ministri - questo benessere va tutto ai militari; e non è difficile dedurne che si tratta di un benessere che pagano le popolazioni sarde.
Ma l'aspetto politico più grave della questione sta nel fatto che neppure gli abitanti dei comuni vicini, e più direttamente compromessi da questo costosissimo apparato bellico, sono coscienti che i militari sono un ceto privilegiato a servizio degli interessi del capitalismo e che sono i lavoratori a dover sudare sangue e a patir fame per mantenerli. La politica dei partiti dei lavoratori, in Sardegna, troppo spesso si è invischiata sul piano obbligato della lotta di classe a livello paesano; ha mobilitato le masse bracciantili per infime questioni salariali contro il proprietario di cento ettari di terra o contro l'industriale fabbricante di mattonelle: un padronato anch'esso miserabile che tira a campare e invidia lo statale con stipendio sicuro di centomila lire al mese - che forse potrà anche costruirsi un cesso in muratura al coperto a differenza del bracciante che fa i suoi bisogni all'aperto nel cortile, ma che subisce, come tutti i membri della comunità, la mancanza di ogni servizio civile. I partiti operai hanno così eluso un aspetto fondamentale della lotta di classe: la mobilitazione delle masse popolari contro il militarismo.
Le cronache di dieci anni di vita della base NATO di Decimo registrano - tra i molti passati in silenzio - diversi episodi premonitori di una catastrofe che prima o poi finirà per sconvolgere la zona sud-occidentale dell'isola.
- A pochi mesi dalla inaugurazione, un aereo a reazione canadese del tipo F. 86 caccia-bombardiere, a causa della rottura del carrello, effettua un drammatico atterraggio. Il pilota riesce a salvarsi proiettandosi fuori dalla carlinga, mentre l'aereo si fracassa un centinaio di metri più avanti, incendiandosi. La prontezza della squadra antincendio italiana sventa la catastrofe della esplosione dell'apparecchio con tutte le armi rimaste a bordo dalla esercitazione appena compiuta. L'incidente venne chiuso a suon di inni patriottici per l'efficienza dell'apparato antinfortunistico e con un encomio solenne del comandante canadese agli eroici salvatori italiani.
- Nello stesso giorno, intanto si svolgevano in forma solenne i funerali del maresciallo dello squadrone tedesco Gerard Hollman, precipitato col suo apparecchio nelle campagne di Gonnosfanadiga, presumibilmente rientrando dal poligono di tiro di Capo Frasca, e quindi «fortunatamente» con le armi di bordo già scaricate. Per «disgrazia» il tedesco, meno «fortunato» del canadese, non riusciva a proiettarsi in tempo fuori dalla carlinga. E per «fortuna» l'aereo, anziché sul paese di Gonnosfanadiga, si schiantava e si incendiava poco lontano.
- Nel febbraio del '66 un reattore precipita «per cause imprecisate» nella fascia marina prospicente Capo Teulada. L'aereo si dirigeva presumibilmente alla base di Decimo ed era pilotato da un certo capitano Arnold, deceduto. Pare che l'aereo fosse americano, data la presenza, in quel periodo, di unità di sbarco USA impegnate in esercitazioni nella zona.
- Nel 1967 una terrificante esplosione viene udita in numerosi paesi del Campidano di Cagliari. Viene rilevato il caratteristico fungo atomico, approssimativamente nell'area compresa tra Decimo e Serrenti. L'opinione pubblica, allarmatissima, formula diverse ipotesi: la più probabile è che sia precipitato un aereo fornito di armi nucleari. Segue un'interrogazione al Parlamento regionale.
- Nel 1968 due aviogetti di «nazionalità sconosciuta» lasciano partire «per sbaglio» alcune raffiche di mitraglia di diverso calibro sulla strada statale per Sant'Antioco e sulla marina di Calasetta ai margini dell'abitato.
Non è un segreto per nessuno che gli aerei (i 100 che si alternano ogni 5 settimane) di stanza nella base NATO di Decimo si addestrino all'uso di armi atomiche. Lo ha scritto a tutte lettere e con teutonica fierezza la spregiudicata rivista «Der Spiegel»:

“I piloti tedeschi si sono rivelati i migliori fra quelli della NATO per lo sganciamento di bombe atomiche durante le esercitazioni che una volta all'anno si svolgono in Sardegna…”

Aerei con - o che possono avere - armamenti atomici volano dunque nei cieli della nostra isola, sulle nostre campagne, sui nostri paesi, sulla nostra gente; e depositi di armi - forse anche atomiche - sono situati nelle nostre campagne, vicini ai nostri paesi, alla nostra gente.
In virtù di quale diritto è lecito ai militari di mezzo mondo giocare sulla pelle dei sardi?
A questo punto non si tratta più di mobilitare i lavoratori per migliorare le condizioni di lavoro, delle abitazioni, delle pensioni, delle scuole. Si tratta di mobilitare tutti i sardi, ricchi e poveri, zone industriali e urbane e zone interne e agricole, bianchi e rossi - per conservare la pelle.
«A Roma raramente si ritiene necessario consultare i sardi per qualcosa», scrive con pesante ironia il giornale tedesco «Deutsche Woche», che almeno in questo caso è una «voce» di verità. Ma è anche vero che i sardi non hanno ancora saputo contestare in modo univoco lo strapotere del governo centrale, non hanno saputo opporsi in massa ai sistemi coloniali che lo Stato italiano riserva all'isola. Purtroppo bisogna dire che il governo di Roma ha sempre fatto ciò che ha voluto della Sardegna - ora infischiandosene anche della conclamata autonomia - contando sulla classe dirigente isolana servile gretta ambiziosa e sulla borghesia «compradora» e levantina, e approfittando dell'immaturità civile e della disorganizzazione politica delle popolazioni sarde impegnate da secoli a scavare con le unghie tra i sassi, per sfamarsi.
Le interrogazioni parlamentari e gli ordini del giorno al vertice dei partiti - visti da questa tragica realtà che è la Sardegna - assumono un aspetto di gioco bizantino tra angeli e diavoli di un cielo aristotelico. Quando gli angeli eletti dalla povera gente, assisi nella sfera parlamentare interrogano «per sapere se sia vero» o «per sapere come mai» quest'isola vive sotto l'incubo di una catastrofe atomica - c'è il solito diavolo Andreotti che risponde rifiutandosi di rispondere per motivi di «sicurezza nazionale e internazionale» e passa a discutere la proposta di legge numero XY, sollecitata dai militari, per aumentare le spese per le basi armate in difesa della «civiltà occidentale», di cui anche i sardi - bontà loro - sarebbero partecipi.
Osserva «Rinascita Sarda»:

“Con gli aerei che in volo di addestramento si schiantano alla periferia dei centri abitati, la nostra isola non sconta soltanto i pericoli di una possibile guerra nucleare, sconta giorno per giorno i pericoli di una pace armata.”

Una tattica di lotta ormai diffusa tra i giovani dei gruppi politici extraparlamentari è quella di cogliere l'occasione delle grandi radunate popolari che le organizzazioni borghesi, partiti e sindacati, convocano periodicamente, per diffondere aria nuova e rivoluzionaria.
Il primo maggio, a Cagliari non c'è spazio per la festa del lavoro: vi si svolge una pomposa rassegna folcloristica detta la «sagra di san'Efisio» (protomartire sardo: un ufficiale dell'esercito romano fatto uccidere dall'imperatore per le sue idee religiose). Per l'occasione convergono da ogni parte dell'isola numerose comitive. Durante la sagra del 1969 a un tratto si sono visti levarsi dalla folla cartelli e striscioni con slogan antimilitaristi e anti NATO e una pioggia di volantini sul corteo dei costumi. In casi simili, la polizia reagisce con rabbia - si sente burlata, lei col suo formidabile apparato repressivo, da uno sparuto gruppo di capelloni. Molti dei giovani promotori dell'iniziativa sono stati fermati, schedati e denunciati. Tra questi erano presenti giovani della FGCI con un proprio ciclostilato. Per la cronaca; sono gli stessi giovani che un anno dopo, in occasione di un'altra «radunata popolare», per la visita politica di Paolo VI, contesteranno il Vaticano «potenza capitalista» e la Chiesa cattolica «che accumula tesori e mantiene privilegi con lo sfruttamento delle masse popolari»; e la polizia avrà l'opportunità di sfogare finalmente la sua rabbia: 32 arrestati, 22 processati, alcuni condannati a quasi due anni di galera.
Il 18 maggio dello stesso 1969, i comunisti organizzano a Villasor una «protesta contro le manovre nel Mediterraneo e per l'uscita dell'Italia dalla Allenza Atlantica». «L'Unità» dà grande rilievo all'iniziativa:

“Il comitato formato da rappresentanti del PCI, PSIUP, del Movimento Socialista Autonomi e da personalità indipendenti procede nel lavoro di organizzazione pubblica di protesta contro le basi NATO… Il raduno regionale di Villasor ha anche lo scopo di allargare nell'isola il movimento di massa e di opinione per rivendicare l'uscita dell'Italia dalla NATO e dal patto atlantico… A Villasor - entro il cui territorio è situata la grande base aerea di Decimomannu dove si esercitano gli aviatori della Germania di Bonn - confluiranno delegazioni da Cagliari e da tutti i comuni dell'isola… La Sardegna, alla vigilia delle elezioni regionali del 15 giugno, è più che mai circondata da basi NATO… (“L’Unità”, 13 maggio 1969).

Questa la brevissima cronaca che della manifestazione viene fatta dallo stesso quotidiano del PCI il 19 maggio:

“Decine e decine di macchine cariche di bandiere rosse e del Vietnam, con simboli che recavano ben chiara la falce e il martello, sono confluite in un lungo corteo a Villasor per la manifestazione contro la NATO. «Fuori la NATO»: questo il dominante… scandito soprattutto dai giovani accorsi in numero notevole… Forti cordoni polizieschi circondavano l'aeroporto di Decimomannu: qui i giovani e i lavoratori hanno inscenato una breve ma intensa manifestazione dopo il comizio nella piazza di Villasor…”

Poco distante dalla base di Decimo, a nord-est, è situata una polveriera dell'aviazione militare, a un chilometro dall'abitato di Serrenti. Si tratta di un immenso deposito di munizioni all'interno di gallerie scavate nella collina adiacente.
Considerata l'attuale potenza esplosiva delle armi, il deposito di Serrenti costituisce un terribile pericolo per la vicina cittadina e i numerosi paesi intorno. Riportiamo due episodi sintomatici estratti dalle cronache dei giornali di questi ultimi anni:

“Stamane, verso le 10, presso il deposito di munizioni dell'aeronautica militare di Serrenti… durante una normale operazione di brillamento di alcuni detonatori, si è verificato un grave incidente nel quale ha perso la vita un giovane ufficiale di complemento ed è rimasto gravemente ferito un sottufficiale armiere artificiere; un altro ufficiale che faceva parte della squadra preposta all'operazione è rimasto fortunatamente ferito in maniera leggera…” (“Il Tempo”, 19 maggio 1965).

“Un ordigno che, secondo l'annuncio dato dalle autorità ministeriali alle popolazioni, ha causato un forte boato ed un fungo simile a quello di una bomba atomica, è stato fatto esplodere il 5 ottobre in agro a Serrenti” (“Sassari Sera”, 1° novembre 1967).

Nel primo scorcio del 1970, in ambienti giornalistici bene informati sono circolate voci di «grandi novità» nei comandi superiori della NATO circa il futuro della base aerea di Decimo.
In primo luogo, i canadesi hanno deciso di lasciare la base. Questa decisione - come è noto - è stata presa nell'ambito del governo del Canada che si è pronunciato per una riduzione delle spese militari all'estero (non estranee alla decisione le gatte da pelare separatiste all'interno). In quello stesso ambito è stato escluso dal bilancio lo stanziamento per mantenere la base sarda, le cui spese di gestione erano così suddivise: 40% ai canadesi, 40% ai tedeschi e il 20% agli italiani.
Appena avuta la notizia del ritiro dei canadesi, la Germania federale si è offerta di rimpiazzarli con altri effettivi della Luftwaffe e di pagare la quota scoperta - e ciò perché i tedeschi non vogliono, per ovvi motivi, basi in casa loro. Se questa offerta fosse stata accettata la Germania sarebbe diventata praticamente la padrona in assoluto della base aerea di Decimo. Pare però che il comandante, colonnello Racugno, non abbia voluto questa soluzione e che si sia recato al comando della NATO a Bruxelles per scongiurare una tale massiccia presenza tedesca nell'isola che consentirebbe ai comunisti una campagna anti NATO in chiave di antimilitarismo tedesco. Il colonnello Racugno avrebbe suggerito al comando della NATO di far rilevare il 40% scoperto con la partenza dei canadesi, dagli USA o dall'Inghilterra.
D'altro canto, dopo lo smantellamento della base aerea statunitense di Weelus Field in Libia, quella di Decimo restava l'unica grande base aerea americana nell'area del Mediterraneo - da qui l'interesse USA di rilevare quel 40%.
E venendo di persona gli americani, non vi è dubbio che faranno le cose in grande, come è costume loro di potenza che non bada a spese in fatto di armamenti. Costituiranno un altro cuneo fra gli altri che stanno spingendo i sardi fuori dalla loro isola.
Ottobre 1970.

“Gli americani subentrano ai canadesi nella gestione della base aerea NATO di Decimomannu… Il fatto desta vive preoccupazioni per gli ulteriori condizionamenti negativi che ne riceverà l'economia dell'isola… Una prima ripercussione si è avuta sul piano dell'abitabilità… e in un aumento generale dei prezzi. Ma la presenza diretta di forze armate USA nella nostra terra costituisce un pericolo ben più grave dell'aumento dei prezzi: contemporaneamente all'arrivo dei contingenti si è diffusa la notizia di una ulteriore rivalutazione della base aerea di Decimo e quindi di tutte le basi in Sardegna, nello scacchiere della NATO…” («L'Astrolabio», 18 ottobre 1970).



7. Capo Frasca

Da una dichiarazione del comando supremo della NATO, rilasciata nel quartier generale a Parigi, nel 1963:
“In Sardegna esiste da tre anni un poligono di collaudo per le armi dell'alleanza… L'Italia funge semplicemente da Paese ospite dell'impianto.”
Il riferimento ad «armi missilistiche» è chiaro: nel poligono di Salto di Quirra si collaudano i prototipi, nel poligono di Capo Frasca si esperimentano sui bersagli.
La base NATO di Capo Frasca, al limite nord della provincia di Cagliari, occupa tutta la penisola dell'arco sud del golfo di Oristano.
La regione Oristanese - più nota come Campidano di Arborea - conosce un periodo di sviluppo con la colonizzazione dei fenici prima e dei romani, poi, che edificano la città marittima di Tharros nella penisola del Sinis e bonificano e coltivano il vasto e fertile entroterra. Quindi, il medioevo e la decadenza. Infine lo spopolamento a causa delle frequenti scorrerie di pirati barbareschi. Vi si formano paludi e acquitrini. La zona diviene il regno della malaria.
Fino al 1926 il fascismo vede la Sardegna esclusivamente in funzione di serbatoio di ascari, rispolverando il mito della «fierezza» della gente sarda e dell'«eroismo» della Brigata Sassari («fierezza» ed «eroismo» che di volta in volta vengono attribuiti a qualunque regione, suscitando perfino una gerarchia di «fierezza» e di «eroismo» tra le diverse comunità - e ci sono i poveri che finiscono per crederci, come alle maggiori doti taumaturgiche del proprio santo).
Il ruolo dell'isola cambia quando viene varata la campagna delle grandi bonifiche del regime, e al disegno dell'imperialismo fascista occorrono territori malsani e spopolati da «redimere» per trapiantarci prolifiche colonie umane, bovine e suine.
La Sardegna è tra le regioni più povere e più spopolate d'Italia, ma è «ricca» di zone acquitrinose e spopolate e possiede tante altre «qualità» da farne una colonia ideale. Qui, Mussolini farà le prove di quella che sarà la grande avventura in Africa Orientale: dal Veneto verranno trapiantate nella pianura Arborense alcune migliaia di famiglie di «coloni» («sardignoli» e «abissini», più avanti, finiranno per confondersi nel pregiudizio razzistico diffuso nel continente, e molti «coloni» sbarcati in Sardegna sono convinti d'essere in Africa).
Mussolini aveva detto testualmente:
“Hanno diritto all'impero i popoli fecondi, quelli che hanno l'orgoglio [probabilmente intendeva dire l'uccello , emblema del fascismo] e la volontà di propagare la loro razza sulla faccia della terra.”
Doveva essere un chiodo fisso, quello dell'orgoglio di moltiplicare, se nei libri di scuola si erudivano perfino i pupi di terza elementare:
“La potenza non si ottiene con le sole armi; la ricchezza non si può raggiungere col solo possesso dei beni. Che vale avere fucili, cannoni, navi, aeroplani, se non vi sono uomini sufficienti ed atti a farne uso?… Perciò Mussolini VUOLE che la popolazione aumenti sempre, e la VUOLE sana, robusta, temprata alle fatiche. Non c'è nulla che Lo allieti quanto la vista di una famiglia numerosa… di uno stuolo di bambini paffutelli che si baloccano al sole, di una squadra di Balilla intenti ad esercitarsi militarmente… Non c'è bambino, si può dire col musetto ancora imbrodolato di latte materno che non aspiri ad indossare la camicia nera, ad imbracciare ed adoperare un moschetto. Solo per questa felicità, i bimbi d'Italia vorrebbero crescere più presto (Testo Unico, 1940 – XVIII E: F:, a cura di A: Petrucci).
Non vi è dubbio che le teorie politiche ispirate al militarismo, elaborate dal fascismo e applicate alla cultura, giocano al buon senso scherzi come questi, e altri anche più spassosi.
Sfruttando un progetto di bonifica di cui era stato ideatore il deputato socialista Felice Porcella, Mussolini si getta a capofitto nell'opera di «redenzione» delle fasce paludose della pianura di Arborea. Il mandato pionieristico viene affidato agli stessi capitalisti che hanno le mani in pasta nelle miniere, nelle banche, nella Società Elettrica Sarda, nelle Ferrovie Complementari e nelle industrie alimentari che rapinano i prodotti del lavoro del contadino e del pastore. Lo Stato fascista incentiva il capitale con contributi straordinari a fondo perduto (col sistema dei progetti «pompati», superano il 100% dei costi reali); dal canto loro, i capitalisti fanno fare la bonifica ai braccianti sardi, attingendo a buon mercato nel serbatoio dei morti di fame.
Un'impresa faraonica: aprire canali a mare, livellare - senza mezzi meccanici, con pala e piccone - una superficie vasta venti chilometri per dieci, infestata da ogni specie di insetto ematofago, funestata dalla malaria.
Alla massa dei braccianti sardi viene assicurato che a bonifica ultimata, essi e le loro famiglie, ne godranno i benefici: le terre bonificate verranno lottizzate e assegnate ad essi che le coltiveranno in qualità di mezzadri. Intanto bisogna rimboccarsi le maniche, per mostrare al Duce di «quale tempra è fatta la razza indomita dei sardi».
L'organizzazione del lavoro - come vuole lo spirito della nuova Italia - è di tipo squisitamente militare: le «legioni del lavoro», dopo aver sfacchinato per tutta la settimana dall'alba al tramonto, il sabato sera devono diventare «quadrate» compiendo le prescritte esercitazioni belliche nell'apposito campo GIL, davanti alla tribuna su cui siedono i dirigenti in camicia nera e le loro signore in camicia bianca.
A bonifica finita i braccianti sardi vengono licenziati. A Mussolinia (così viene battezzato il nuovo comune rurale, nel 1929) vengono trapiantate tante famiglie venete, con aggiunta di romagnole, quante ne bastano per creare un allevamento razionale - gente laboriosa sobria religiosa, che faccia figli sì ma copulando senza compiacimenti plurocraticoborghesi, nell'interesse dello Stato fascista e dei padroni della bonifica.
In Mussolini, sotto sotto, riaffiorano certi umori proletari. Non si fida del tutto dei capitalisti della Società Bonifiche Sarde che gli fanno vedere tutto rosa e gli leccano il culo per ottenere sempre nuovi contributi. Così, oltre le sue periodiche visite-scampagnate di cui profitta per portarsi a letto la contadinotta nella villa del presidente, pensa di affidare un reportage a un giornalista di provata fede fascista, un certo Stanis Ruinas.
Il Ruinas fa un Viaggio per le città di Mussolini (edito da Bompiani nel 1939), annotando diligentemente tutto ciò che può far felice il Duce. Eccone alcuni stralci:
Siamo nell'Oristanese, tra Capo San Marco e Capo Frasca (già allora «zona militare»):
“Quattro cannoni puntano le bocche verso il mare per la difesa antiaerea. Li vigila un guardiano che alloggia tutto l'anno in una capanna tra queste due solitudini di terra e d'acqua… Ogni tanto il guardiano unge la bocca ai cannoni e la DICAT spara contro aeroplani che volteggiano per le esercitazioni… E' un veneto, e il figlio ha sposato una sarda, che si presenta scalza e sorridente. Ecco il primo incontro con un incrocio indigeno-continentale. Pare che questi incroci riescano assai bene…” (Stanis Ruinas, “Viaggio per le città di Mussolini”, Milano, Bompiani, 1939, pag. 85).
Contemporaneamente il fascismo rurale ha promosso anche l'incrocio di maiali sardi con maiali veneti per migliorarne il rendimento complessivo: i sardi avevano troppa carne e i veneti troppo lardo.
“Ecco una famiglia di romagnoli di Cesena. Li sorprendiamo, due fratelli con le mogli e sei bambini… Chi fa gli onori della stalla è il più piccolo, un ragazzino di cinque anni con un viso di mela ingambalato fino al ginocchio… Lavorano tutti… Il più piccolo accompagna fuori le bestie e le guarda, assieme ad altri due bimbetti poco più grandi… «Son come tanti figli - dice una delle due spose accennando alla stalla - danno dolori e noie come loro [bambini] e anche soddisfazioni…»” (Stanis Ruinas, “Viaggio per le città di Mussolini”, Milano, Bompiani, 1939, pag. 67)..
“Vi sono famiglie che formano colonie da sole. Una, veneta, conta 33 membri, 21 bambini sotto i 12 anni… [l'autore si sbrodola, pensando alla gioia di Mussolini!]. Una vera nidiata occhicerula e bionda che ci sciama attorno… Col numero dei bambini è cresciuto in proporzione quello delle bestie. La stalla ne allinea su due fronti una quarantina”. (Stanis Ruinas, “Viaggio per le città di Mussolini”, Milano, Bompiani, 1939, pag. 65).
Altra visita ad altra prolifica famiglia:
“Giovani e bimbi, mucche e vitelli formano una famiglia sola legata da vivi interessi ed affetti. Incontro in questa casa il primo vecchio, sopra la settantina. Secco come un querciolo, lavora come gli altri…” (Stanis Ruinas, “Viaggio per le città di Mussolini”, Milano, Bompiani, 1939, pag. 67).
E c'è da scommettere che copula pure, come gli altri, per contribuire come meglio può a ingravidare le femmine dell'allevamento.
Al di sopra dei comuni problemi di allevamento stanno i «condottieri» - gli eletti, gli «eroi», che compiono «gesta prodigiose», che incarnano le virtù più eccelse della razza latina, e naturalmente portano i gradi del comando. Ma gli «eroi», nonostante tutto sono creature mortali; anzi, più dei comuni mortali risultano soggetti alle infezioni microbiche. Si ha il caso di fierissimi condottieri di eserciti che usciti indenni dal grandinare della mitraglia, arrivati in questa «redenta» zona della Sardegna si beccano il Plasmodium soccombendo alla malaria.
Disgraziatamente, gli «eroi» di Mussolini, che alternavano nella colonizzazione il comando delle legioni col comando delle masse bracciantili, non conoscevano il DDT. La malaria restava un grosso handicap, peggio dei banditi barbaricini, specialmente lungo la fascia costiera dell'Oristanese: luogo ideale per costruirvi basi militari e poligoni di tiro.
Durante la seconda carneficina mondiale, in Sardegna ne uccise più l'Anophele che il nemico. «271 tedeschi morirono in Sardegna, sebbene su quest'isola non si sia svolta lacuna battaglia. Essi morirono per la malaria o precipitarono dagli aerei…», scrive nel 1964 «Der Tagespiegel» di Berlino.
Che i tedeschi e in genere i popoli anglossassoni fossero particolarmente sensibili agli attacchi degli insetti ematofagi è confermato da molti episodi di cronaca. Ma gli americani conoscono il DDt. Coi sottoprodotti dell'industria petrolchimica possono produrne tanto da sterminare tutte le Anophele dell'universo. Nel giro di poche settimane, la Fondazione Rockfeller, con vero spirito umanitario, senza chiedere una sola lira ai popoli sotto sviluppati e infestati dalla malaria, promuove e realizza nell'area del Mediterraneo la radicale disinfestazione delle zone colpite (poco conta se il DDt è tossico e distrugge la fauna microbica necessaria all'equilibrio dell'ambiente). Queste zone sono di rilevante importanza strategica nel disegno egemonico dell'imperialismo yankee e sono destinate a diventare basi NATO. La Sardegna è la «privilegiata» tra queste zone.
Nella vasta fascia paludosa, dove Mussolini portatore di valori «combatentistici» aveva iniziato la «bonifica integrale», insediandovi prolifiche colonie di umani, di bovini e di suini, al fine di produrre carne da cannone e carne da scatolette, la Fondazione Rockfeller debella il millenario morbo della malaria rendendo asettico l'ambiente, per insediarvi colonie di operatori e di tecnici della guerra nucleare. A Capo Frasca - di fronte a Mussolinia - sorge oggi una delle più efficienti basi militari della NATO.
La base consta principalmente di un poligono di tiro dove si esercitano quasi quotidianamente i cento bombardieri supersonici di stanza nell'aeroporto di Decimomannu. Vi si compiono periodicamente anche «esercitazioni combinate». Comprende diversi eliporti, impianti radar e centri di sussistenza - alcuni ubicati a Torre Grande, località balneare che fa parte del territorio metropolitano della città di Oristano.
Il territorio occupato dalla base comprende una penisola vasta circa 50 chilometri quadrati ed interessa direttamente cinque comuni: Terralba, San Nicolò d'Arcidano, Arbus, Guspini e Arborea, con una popolazione di oltre 50.000 abitanti.
Di recente, alcuni impianti radar e logisti sono stati spostati nella località turistica di Torre Grande. Ciò significa il graduale allargamento della base e il contemporaneo decadimento della nascente industria turistica nella zona nord del golfo.
A sud si è già creato il deserto. L'installazione della base NATO ha segnato la fine del paese che le stava più vicino, Sant'Antonio di Santadi. Il paese era ubicato in una felice posizione geografica: davanti il pescoso golfo oristanese e alle spalle un entroterra fertile per l'allevamento del bestiame. La base NATO lo ha chiuso e soffocato. Ai danni si aggiungono le beffe: i contadini espropriati non sono stati ancora indennizzati. Tutti gli abitanti di Sant'Antonio sono emigrati. Qualcuno, prima di andarsene, ha scritto sul muro di casa: militari truffatori e ladri.
Capo Frasca è ora chiusa, recintata da cavalli di Frisia. Non molti anni fa le meravigliose spiagge erano popolate di villeggianti; sui monti pascolavano innumerevoli greggi; il mare, da un lato all'altro della penisola, era punteggiato dalle barche dei pescatori. Adesso ci sono i militari della NATO con i loro ordigni di guerra. Non sappiamo neppure se esiste ancora Capo Frasca. Gli aerei a reazione lo usano per le esercitazioni di tiro. Bombe e missili. Si esercitano dapprima sulle pietre della Sardegna…
Un argomento comune alla borghesia «compradora» a favore della militarizzazione del'isola (finché non vengono toccati i suoi interessi) è, grosso modo, questo:
“Noi diamo in affitto agli alleati americani la parte improduttiva o di scarsa rilevanza economica del nostro territorio; in cambio riceviamo dollari sonanti che si traducono in opere pubbliche e quindi in benessere per le nostre popolazioni”.
Per quanto concerne il settore del turismo (quello più macroscopicamente soffocato dalle servitù militari) la stessa borghesia «compradora» al potere affaccia questa singolare tesi:
“Non è poi un gran male la presenza di zone militari lungo le coste sarde, perché limita la speculazione degli operatori economici del continente che hanno in pochi anni comprato e recintato tutte le spiagge aperte. Quelle soggette a vincoli militari restano bene o male proprietà comune e prima o poi potranno essere utilizzate dai rispettivi proprietari.
Non vale neppure la pena di confutare fole di questo genere, secondo le quali con appropriate leggi si difende e si tutela dalle speculazioni il patrimonio naturale comune, ma congelandolo nel frigorifero militare.
Nessuno mette in dubbio che lo Stato italiano riceva un mucchio di dollari per concedere alla NATO la penisola di Capo Frasca. Può anche darsi però - e con dati di fatto - che nessun vantaggio ne traggono i paesi della zona, e che anzi gliene vengono danni pesanti e micidiali pericoli.
“Oristano, 27 gennaio 1970. La questione dell'assenza di comprensori turistici da Capo Teulada a Capo Frasca, di cui il nostro giornale si è recentemente occupato in una corrispondenza da Iglesias, tocca molto da vicino l'Oristanese nelle sue prospettive di crescita economica e civile…
Se diamo uno sguardo ai vari insediamenti turistici lungo le coste sarde rileviamo facilmente che ci sono dei vuoti. Il vuoto più largo è appunto questo, che da Oristano, da Capo Frasca va verso l'Iglesiente fino a Capo Teulada. E naturalmente vien fatto di chiedersi il perché di tale vuoto, tanto più inspiegabile in quanto sotto il profilo paesaggistico, della bellezza delle spiagge, della facilità di accesso al mare si tratta di una zona privilegiata… Una risposta c'è, a nostro avviso, e bisogna andare a cercarla proprio dove comincia e dove finisce l'off-limits per il turismo: a Capo Frasca e a Capo Teulada.
A capo Frasca, lungo tutta la penisola, fino alle propaggini del Monte Arcuentu c'è un poligono di tiro per aerei della NATO, diversi eliporti, importanti radar e altre installazioni militari di natura non facilmente precisabile. A Teulada, in una delle superfici più vaste fra quante in Sardegna sono state espropriate per esercitazioni militari, è situato il campo di addestramento per unità corazzate…
Quale sia la natura, in che modo crescano e quali incidenze comportino le basi militari moderne (ben diverse dalle torri pisane e dai tradizionali bastoni fortificati) si può ben dire anche senza essere esperti. In particolare i poligoni di tiro per aerei e i campi di addestramento per unità corazzate, abbisognano oltre le basi fisse delle servitù territoriali vere e proprie, di vaste zone libere, possibilmente disabitate…
E per la verità, la questione delle basi militari come remore dello sviluppo economico dell'isola, in particolare per il settore del turismo, per quel che ne sappiamo, i nostri uomini politici e i nostri amministratori non se la sono mai posta… (“La Nuova Sardegna”, 28 gennaio 1970).
Senza fermarci al dato particolare della situazione socio-economica di questa zona, indichiamo alcuni aspetti caratteristici del sottosviluppo delle comunità oristanesi:
- mancano in tutti i paesi i più elementari servizi igienico-sanitari (ospedali, ambulatori, mattatoi, servizi di nettezza urbana, fognature, sistemazione degli ovili fuori dagli abitanti, ecc.);
- a causa dello stato di abbandono in cui versano le popolazioni, nell'estate del 1967 è scoppiata un'epidemia di colera infantile (una decina di morti e un centinaio di bimbi gravemente colpiti) che ha messo a nudo una drammatica situazione di arretratezza civile;
- l'agricoltura che pure vi ha grandi potenziali risorse è in crisi per mancanza di industrie che ne valorizzino i prodotti;
- la pesca è ancora esercitata a livello artigianale, senza attrezzi e strumenti idonei - sono ancora numerosi i pescatori che usano le bombe, che usano il barchino di falasco, il succo della euforbia e altri metodi che gli etnologi riscontrano (sempre meno) soltanto tra i popoli primitivi della Polinesia;
- la pesca degli stagni è organizzata su schemi feudali che risalgono alla Spagna del XV secolo;
- le scuole sono tra le più arretrate dell'isola, mancano gli edifici scolastici; le percentuali di analfabetismo si aggirano ancora sul 25% della popolazione; l'evasione dall'obbligo scolastico, a causa del lavoro minorile, raggiunge punte elevate specie fra i ceti contadini;
- a oltre 10 anni dalla formulazione del Piano di rinascita, l'Oristanese non ha ancora realizzato il suo «nucleo industriale» né il porto di cui necessita insieme al decentramento amministrativo e politico per svincolarsi dalla tutela di Cagliari. Né ha ottenuto la riattivazione dell'aeroporto di Fenosu (che funzionava invece benissimo come base di bombardieri tedeschi, insieme a quelli vicinissimi a nord e a sud, di sa Zeppara e di Milis, durante la seconda carneficina mondiale). Un aeroporto, quello di Fenosu che potrebbe essere facilmente utilizzato per il traffico civile. Di una «rispolverata» all'aeroporto di Fenosu, ma in chiave NATO, se ne va riparlando in relazione allo sgombero degli USA dalla Libia e alla loro necessità di trovare altrove basi sostitutive.
Di quando in quando si odono cupi boati e fragorose esplosioni. Sono «i rompitori di scatole della NATO» come li ha battezzati la gente, che a cavallo dei loro micidiali e rumorosi reattori sfrecciano sopra i tetti degli abitanti. Ci sono state continue lamentele da parte degli abitanti di Oristano, Terralba, Santa Giusta, Marrubiu e Arborea - e paesi più vicini e più colpiti dalla peste militare.
Le amministrazioni comunali sono impotenti davanti allo strapotere dei generali, che fanno il comodo loro. Fino al punto di appropriarsi delle strade.
“Non bastava l'esproprio di almeno 2.000 ettari di buon terreno produttivo e di decine di chilometri di spiagge che ha svalorizzato una vasta zona turistica: questi signori della guerra, col beneplacito della Regione, hanno sistemato la vecchia strada comunale di penetrazione agraria e a lavori ultimati se ne sono impadroniti, sbarrandola con cartelli di divieto di transito e di proprietà privata. Si tratta per la precisione della strada che parte dalla statale 126 appena fuori dell'abitato di Arcidano, e che appartiene per i primi chilometri a questo comune, per altri tre chilometri circa a Guspini e per il resto ad Arbus e a Sant'Antonio di Santadi.
Vi sono state inizialmente scaramucce tra i contadini dei tre comuni (che si vedevano sbarrata una strada che essi ed i loro antenati avevano sempre usato per raggiungere i loro fondi) e i militari della NATO. I comuni hanno energicamente protestato presso l'assessorato competente. I cartelli e i divieti sono rimasti.
Ma la gente del luogo non ama - come suol dirsi - farsi mettere i piedi sul collo; perciò ha ripreso a transitare sulla strada rubata. Purtroppo, l'ignaro visitatore, il turista non conoscendo l'illegittimità dei cartelli fa marcia indietro. Il danno che ne riceve il turismo è rilevante: Porto Palma ed altre numerose spiagge che da tempi immemori erano meta di villeggianti, si vedono precluso ogni sviluppo… (“Sardegna Oggi”, 1° gennaio 1964).
Della base NATO di Capo Frasca si è parlato poco o niente sulla stampa. E' vero che gli aviatori tedeschi che vi si esercitano in bombardamenti e nei tiri di missili sono «i più bravi della NATO», perciò finora - salvo qualche rara volta - i loro ordigni sperimentali sono caduti «al posto giusto». E stando così le cose, sui giornali la questione non fa notizia.
Per mancanza di gruppi organizzati che dibattano il problema a livello di massa, le popolazioni della zona ignorano in gran parte sotto quali terribili pericoli vivano. Le federazioni e le sezioni dei partiti di sinistra, qui non trovano il tempo per parlare all'elettorato di basi militari, perché non porta voti ed è rischioso. D'altro canto la gente, qui, dopo secoli di malaria, di epidemie di colera, di feudatari che detengono il monopolio della economia, di clericalizzazione integrale, ha bisogno di sollecitazioni violente per reagire. E quando reagisce è soltanto un attimo d'ira violentissima: il tumulto.
Da un anno a questa parte, il quotidiano sassarese «La Nuova Sardegna» comincia a dedicare alcuni servizi sulle ripercussioni negative della base di Capo Frasca sull'economia dell'Oristanese. Gli operatori economici premono per lo svincolo di alcune fasce litorali della Sardegna sud-occidentale - finora bloccate dal demanio marittimo e dalle autorità militari e pervicacemente negate a una loro utilizzazione turistica.



8. Capo Teulada

Nel mezzogiorno dell'isola, a qualche decina di chilometri a ovest di Cagliari, nella penisola che costituisce l'entroterra di Capo Teulada, è sorto nel 1960 il CAUC (Centro di Addestramento per Unità Corazzate). Ufficialmente sarebbe riservato alle forze armate italiane, ma è notoriamente usato da unità della NATO e degli stati Uniti che vi compiono frequenti manovre combinate aeronavali e terrestri. Pare anche - da indiscrezioni apparse sulla stampa di sinistra - che vi si addestrino al fuoco contingenti di marines destinati alla guerra nel Vietnam.
Il CAUC di Teulada occupa una superficie approssimativa di 8.000 ettari, ma durante le esercitazioni a fuoco la superficie interessata è di almeno 20.000 ettari. Quest'ultimo dato si ricava da diversi incidenti agli abitanti della zona, raggiunti da cannonate.
Il primo servizio giornalistico sulla base di Teulada è del giugno 1962. I generali affidano il delicato compito di presentare una delle loro principali «scuole di ardimento» alla rivista «Settimo Giorno» - che ha meriti distinti nel revocare i fasti delle famiglie reali.
Gli inviati speciali di «Settimo Giorno» fanno entrare subito il lettore nel clima guerresco:

“«Svelti, mettetevi al riparo, dietro quel muretto!» L'ufficiale col basco nero che ci faceva da guida e che ci aveva pilotati al volante di una miracolosa Campagnola lungo una carrareccia appena abbozzata nel mare di cespugli selvaggi e di granito sgretolato, non avrebbe potuto rivolgerci l'invito in tono più perentorio se, anziché su un terreno d'esercitazioni di mezzi corazzati italiani, ci fossimo trovati sotto il fuoco di una colonna di T-34 russi poco dopo lo scoppio della terza guerra mondiale. Fu gioco-forza obbedirgli, anche se i nostri indumenti borghesi, vicino alla sua tuta mimetica, ci facevano sentire un tantino a disagio in quella posizione di agguato”.
Il prurito guerresco degli inviati speciali di «Settimo Giorno» - che già sognano la terza guerra mondiale per dare una lezione ai russi - viene in parte grattato e calmato da quel che essi vedono più avanti:

“Lo spettacolo, in compenso, risultò affascinante. nel polverone sollevato dai cingoli sbucò all'improvviso la torretta del primo M-47 con i portelloni chiusi. Poi altri due, poi un quarto, poi un quinto, ognuno con la sua mole mostruosa e col suo peso di quarantasette tonnellate! Aprirono il fuoco tutti insieme, giunti sul ciglio di una radura, alternando i colpi sordi dei cannoni da 90 millimetri col crepitio delle tre mitragliatrici sporgenti dalle torrette. Dal nostro punto di osservazione il bersaglio risultava invisibile, e cominciavamo a credere che quell'esibizione fosse stata organizzata a nostro beneficio a scopo coreografico, allorché il paesaggio da savana tipo Africa si animò in maniera fulminea. Un reparto di bersaglieri, con gli elmetti piumati sopra le tute chiazzate di verde e marrone, attaccò i carri con bazooka e lanciarazzi Cobra. Saltavano fuori da buche nel terreno con agilità prodigiosa, i più vicini lanciandosi quasi tra i cingoli con le loro cariche esplosive simulate, o addirittura appiattendosi in qualche cunetta e lasciandosi passare addosso le quarantasei tonnellate di acciaio. Ci fu spiegato più tardi che si trattava di pionieri, addestrati attraverso corsi di specializzazione a cui, senza eufemismi, è stato dato il nome di scuola del coraggio. Il loro spirito è quello dei famosi Arditi della prima guerra mondiale, ma i sistemi di combattimento, modernissimi, assomigliano alla tecnica dei marines americani o dei commandos inglesi che, durante l'ultimo conflitto, operavano nelle giungle birmane…”
Dopo una dissertazione filosofica sul coraggio, svolta confutando la tesi manzoniana del don Abbondio secondo cui «il coraggio, uno che non ce l'ha non può darselo»; e invece «i comandanti del CAUC riescono a darlo a tutti», il rotocalco clericomonarcofascista si compiace di essere stato

“il primo giornale italiano ammesso tra i banchi della straordinaria università dell'ardimento. Il luogo dove queste esercitazioni si svolgono ogni giorno, e dove la sorveglianza dei carabinieri e chilometri di filo spinato provvedono a tenere a bada gli intrusi, è il campo militare di Teulada… una grande realizzazione che si pone sul piano delle più efficienti organizzazioni del genere esistenti in Europa. Le sue installazioni, la sua capacità ricettiva, il suo esteso poligono ne fanno un perfetto moderno organismo del quale si servono anche reparti dell'esercito americano e la stessa sesta flotta della marina USA… Su queste spiagge… le migliori unità del nostro risorto esercito si preparano alle tecniche più progredite dell'arte militare, con particolare riguardo ai cannoni nuovissimi dell'impiego di armi atomiche”.

Infatti. Tra le regioni d'Italia e d'Europa, la Sardegna detiene non pochi primati. Malaria e tbc, colera e lebbra, tracoma, analfabetismo, disoccupazione. Ed ora il primato delle basi militari. Tanto moderne ed efficienti che perfino gli ultra progrediti Stati Uniti vengono fin qui a usarle.
Infatti. Lo Stato italiano si preoccupa in modo particolare dell'ordine pubblico, in Sardegna. Le basi militari abbisognano di specialissimo ordine per vivere e prosperare. Abbiamo baschi blu antiguerriglia, baschi neri d'assalto, marines d'assalto, paras paracadutati, carabinieri, criminalpol, questurini e altre innumerevoli specie militari provenienti da ogni parte del continente, nazionale ed esteri - come i tabacchi.
Nei nostri paesi mancano i cessi e le fogne - ci sono le caserme e le questure. mancano le scuole e gli ambulatori - ci sono i commissariati e le carceri. Mancano i posti di lavoro e le case - ci sono le basi NATO e i missili e i carri armati.
A occhio e croce si può calcolare che per ogni sardo disoccupato che emigra nel continente, c'è un poliziotto e ci sono due militari che sbarcano nell'isola. A conti fatti, in dieci anni, sono emigrati non meno di trecentomila sardi.
Quale sia il costo che il popolo italiano deve pagare per la gestione degli impianti e per gli armamenti d'uso nel CAUC di Teulada non è dato sapere. Certamente è una somma di miliardi che basterebbe per far vivere di rendita tutti gli abitanti dell'isola. Le sole prime opere di recinzione, e casermette, sono costate oltre tre miliardi di lire nel 1960. E ancor più costa all'economia della zona, agli abitanti che pagano ogni giorno, cacciati dalle campagne e dalla costa dove svolgevano il loro lavoro.
Anche qui i militari hanno creato il deserto. dai velenosi viluppi dei cavalli di Frisia si intravvede uno scenario apocalittico: i ruderi delle case contadine smantellate dagli obici dei cannoni si alternano alle voragini dei crateri aperti dalle granate; piante divelte e cespugli carbonizzati fra le pareti rocciose frantumate - dove dieci anni or sono sorgevano villaggi di pescatori e di pastori, vallate di pascoli, colline folte di vegetazione.
A Capo Teulada si trovano concentrati i campionari delle più moderne macchine belliche per l'addestramento pratico delle unità italiane, della NATO e degli USA, che vi si alternano incessantemente. Una fiera dove si ammirano gli half-tracks, i semicingolati per il trasporto veloce delle fanterie; i mezzi anfibi dei reparti lagunari, dotati di elicotteri secondo gli schemi americani; i carri armati pesanti M-47 che sostituiscono i vecchi Sherman; i carri medi M-24; dovrebbero arrivare i modernissimi mastodonti M-48 costruiti appositamente per fronteggiare i sovietici T-34 (non ancora arrivati, gli M-48, perché dopo essere stati montati nei cantieri di Genova, ci si è accorti che non c'è ferrovia o strada in Italia che li contenga). Intanto i generali della NATO premono - con ammirevole spirito nazionalistico - sui rispettivi governi europei per la costruzione e adozione di un carro armato prodotto dal MEC, per non dipendere sempre dagli USA.
La libidine bellica degli stati maggiori non ha fondo. Riferendosi al CAUC di Teulada, essi sostengono che l'artiglieria è tutta da ammodernare, che «le impetuose esigenze di mobilità e manovrabilità connesse alla strategia atomica» impongono anche all'Italia «il potenziamento delle forze corazzate e blindate». E con cipiglio autoritario ribadiscono il principio: «non esiste una difesa a buon mercato». E hanno ragione. A buon mercato esiste soltanto la pelle dei sardi venduta agli interessi dell'imperialismo capitalista.
Il 1965 è l'anno delle grandi manovre nel CAUC. E' il momento in cui cominciano ad allarmarsi i partiti dell'opposizione.
Scrive una rivista socialista:

“Due paracadutisti inglesi non parteciperanno più alle manovre di capo Teulada… I due soldati sono stati protagonisti del solo incidente avvenuto nel corso delle grandi manovre che il battaglione del The Duk of Edimburgh's Royal Regiment sta effettuando nel più importante poligono di tiro d'Europa, in quanto è l'unico che consenta esercitazioni combinate in mare e in terra…
Fino a qualche giorno fa c'erano stati gli americani. I marines. Spari, scoppi, ordini urlati, sbarchi simulati, con i caccia che sfrecciavano sopra le teste. I soldati italiani avevano fatto appena in tempo a riassestare alla bene e meglio il terreno, arato dai cingoli dei carri armati bucherellato dalle bombe dei mortai, quando sono arrivati gli inglesi. 500 uomini con l'elmetto a scodella, sbarcati dalle Walkerton, Stobbington. Sono venuti da Malta agli ordini del generale Frost, comandante delle truppe di stanza a Malta e in Libia…
La prima parte delle manovre, che dureranno fino alla fine del mese si è accentrata su un addestramento di fanteria con una lunga marcia notturna da Capo Teulada, attraverso Sant'Anna Arresi, fino a Santadi (100 chilometri circa) grosso centro dell'Iglesiente, dove hanno pernottato all'addiaccio…
Nei prossimi giorni, le truppe prenderanno parte anche ad una esercitazione di bombardamento navale svolta da tre dragamine che hanno gettato l'ancora in un'insenatura di Capo Teulada. L'esercitazione navale sarà controllata da terra da osservatori avanzati del 3° Troop Royal Artillery. A conclusione delle manovre è prevista anche una esercitazione di appoggio aereo, in un simulato attacco navale, con voli radenti da parte di velivoli della RAF di base a Malta. Gli inglesi quindi ripartiranno, e arriveranno nuovamente gli americani e i tedeschi…
A Capo Teulada non vi è più posto per i pastori con le greggi e i contadini con gli aratri… il poligono di tiro è divenuto con i recenti lavori di ampliamento, il più attrezzato e il migliore d'Europa… Le zone militari in Sardegna aumentano quindi il loro prestigio: nessuna preoccupazione per il turismo che va in malora e per città come Cagliari il cui centro urbano annovera tra gli altri monumenti, poligoni di tiro, depositi di carburante e di munizioni…” («Sardegna Oggi», 28 gennaio 1965).

Scrive sulle stesse grandi manovre una rivista comunista:

“I comandi americani, inglesi, canadesi e tedeschi hanno risolto, grazie al pronto aiuto del governo italiano, una difficoltà che li angustiava già da qualche tempo: quella di trovare lo spazio utile per le manovre militari delle truppe della NATO. Spiagge deserte, immense distese, luoghi disabitati: ecco quanto occorreva per le esercitazioni di guerra. La Sardegna si adatta notevolmente alle esigenze degli alti comandi. Ed ecco quindi le truppe alleate sbarcate nell'isola. c'è tutto quel che occorre. Spazio per il tiro missilistico, spazio per le esercitazioni dei reattori, zone libere per gli sbarchi e per il lancio dei paracadutisti…
E' informato di questo rilancio sulle nostre zone dei piani strategici americani e inglesi il nostro Parlamento? Sappiamo bene che no. La militarizzazione dell'isola è portata avanti in assoluta clandestinità ed eludendo ogni controllo democratico. Nella zona di Teulada sono stati espropriati oltre settemila ettari di terreno ed una intera frazione, Foxi, ha dovuto essere evacuata della popolazione. Gli agricoltori scacciati dalle terre sono stati ridotti a mal partito, come essi stessi hanno scritto in un esposto: «Ci siamo attenuti all'ordine di sgomberare, e pertanto oggi siamo senza terra, senza bestiame, senza lavoro e senza casa». A questi contadini non è rimasta altra prospettiva che l'emigrazione. A centinaia i lavoratori sono partiti da Teulada e dai paesi vicini. Così è stato creato quel deserto che la NATO ha occupato…” («Rinascita Sarda», 15 febbraio 1965).
Gli abitanti dei paesi ai margini della base, che sono rimasti, stanno certo peggio di quelli che sono partiti - alla difficoltà di trovare un lavoro con cui sfamarsi si aggiunge il pericolo di vedersi piovere addosso qualche granata uscita fuori dalla linea della parabola di tiro prestabilito.
C'è davvero mancato un soffio che Santino Diana - un emigrato tornato al suo paese per nostalgia - non ci lasciasse la pelle fra le granate uscite dal CAUC e arrivate a Porto Pino. Questa località, aperta ai civili, dovrebbe essere una «fascia smilitarizzata» incuneata nell'area del poligono che va da Teulada a Sant'Anna Arresi.
Santino Diana e altri protagonisti della brutta avventura raccontano:

“Oggi, seduti con della birra fresca a portata di mano la cosa sembrerebbe un'avventura divertente, ma vi confesso che il giorno ho avuto una terribile paura… Erano le 15,30. Avevamo già pranzato. Con mia moglie, i miei bambini e mia sorella Anna ci stavamo inoltrando sotto i pini. Appena percorsi una cinquantina di metri, ad una distanza molto ravvicinata succedeva il finimondo: un'enorme vampata e uno scoppio tremendo, un grosso pino si schiantava alla base. Le schegge dei proiettili si conficcavano sui tronchi degli alberi e si perdevano verso il mare. Terrorizzati, con mia moglie, e i piccoli in braccio, via di corsa nella direzione opposta a quella delle cannonate. Ci ritrovammo a terra abbracciati e fortunatamente illesi, mentre altri tre o quattro proiettili sibilavano sulle nostre teste e, oltre la pineta, scoppiavano dopo qualche istante nella scogliera Porto Pinetto”.

Se l'è vista brutta anche il pescatore Silvio Porcu, di Porto Pino:

“Pescavo a tre miglia al largo della zona di divieto. Mentre tiravo le reti con il pescatore Ignazio Sirigu ed altri, non erano ancora le 16, sentimmo tremendi scoppi nella pineta e nella scogliera… Da quando hanno impiantato la zona militare a noi pescatori ci hanno condannato a morire di fame… Non c'è pace. L'estremo bisogno delle famiglie, le cambiali dell'ufficiale giudiziario, i divieti delle autorità militari, ed ora anche le cannonate…”

Silvio Porcu prosegue:

“Questa è una guerra vera. Questa è una guerra che quando non si vince con l'assedio o con la fame allora si passa alle cannonate e giocoforza ci toccherà sloggiare. Governo e Regione di noi se ne fregano” (Le tre testimonianze sono state raccolte da «Rinascita sarda»).

Con sempre maggiore frequenza - in rapporto al maggiore impegno bellico che gli USA vanno assumendo nel sud-est asiatico - Capo Teulada è teatro di esercitazioni e manovre combinate aria-terra-mare per la sperimentazione di nuove tecniche e nuove armi.
Per i primi giorni di maggio del 1969 sono previste spettacolari manovre aeronavali. Vi partecipano, USA, le nazioni europee della NATO e, stavolta, anche Grecia e Portogallo.
Il «Corriere della Sera» ne dà notizia con un servizio speciale intitolato Sbarco in Sardegna che il corrispondente di guerra Max David stila con piglio eroico stando a bordo dell'incrociatore lanciamissili Andrea Doria.
Le forze aeronavali della NATO, dopo una serie di manovre nelle acque del Mediterraneo centrale, convergono verso le coste Sarde e a Capo Teulada chiudono il programma con uno sbarco d'assalto.

“Una forza avanzata o avanguardia del gruppo anfibio (unità italiane e americane) - spiega il corrispondente di guerra del «Corriere» - è destinata ad aprire la strada ai reparti che, al momento opportuno, tenteranno uno sbarco in Sardegna… Si tratta per questo gruppo, di distruggere le installazioni difensive costiere, di liberare le spiagge dalle mine e dai reticolati… e di spianare il terreno agli uomini del battaglione San Marco che improvvisamente irromperanno sulla costa”.

Il collettivo operai-studenti del movimento studentesco di Cagliari reagisce con un ciclostilato:

“Le truppe della Grecia dei colonnelli e del Portogallo fascista si apprestano a sbarcare sulla costa sarda. Lo sbarco previsto per ieri e rinviato per il maltempo fa parte del piano di manovre della NATO, piano che vede affiancati reparti della Grecia, del Portogallo, dell'Italia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti.
Ancora una volta l'Italia è schierata nel fronte comune dell'imperialismo, a fianco di dittature violatrici di ogni principio di libertà.
Venti anni fa gli interessi monopolistici della grossa borghesia italiana portavano l'Italia a far parte della NATO e ad assoggettarsi così alla politica reazionaria e imperialista degli Stati Uniti.
Dietro il paravento del contenimento mondiale del comunismo, della difesa contro il dilagare del pericolo rosso, in realtà la NATO è tutt'oggi un formidabile strumento al servizio della strategia imperialista americana. Quella strategia imperialista che ha portato all'aggressione del Vietnam, ma che vede coinvolti nello stesso piano di repressione, di sopraffazione e di sfruttamento Brasile e Grecia, Portogallo e Turchia, Indonesia e San Domingo.
Dal 1949 ad oggi la volontà dei governi centristi e dell'attuale governo di centro-sinistra, complici delle oligarchie monopolistiche ha reso l'Italia partecipe di tale strategia. E' ORA DI DIR BASTA ALLA NATO!
La lotta contro la NATO è nel nostro paese un punto di forza nella lotta antimonopolistica e antirepressiva. Dir NO alla NATO significa dir NO alla intensificazione dello sfruttamento, alla scuola autoritaria, alla emarginazione sempre crescente di interi strati sociali.
La lotta per la democrazia nelle fabbriche e contro la repressione nelle scuole non a caso incontrano sulla propria strada la NATO e l'apparato poliziesco dello stato.
La lotta contro la NATO diventa così la lotta per l'affermazione della democrazia nel nostro paese. NO ALLA SARDEGNA PORTAEREI USA. NO ALLA NATO. 1 maggio 1969.



9. Cagliari e adiacenze

La questione delle basi e delle servitù militari in Cagliari a differenza di quelle in zone interne o arretrate trova una certa sensibilità antimilitarista nella stessa classe dirigente. Non a caso, perfino la stampa svizzera si muove a criticare e a deplorare: «Cagliari è già circondata da tutte le parti di basi militari» scrive «Worweets» di Basilea; e vi aggiunge una pennellata a tinte fosche: «La dislocazione delle basi… ricorda la disposizione approntata da Hitler nel 1942».
Il capitale svizzero, inglese e del nord-Italia vede con disappunto ogni ostacolo che si frapponga alla fruttuosa speculazione delle coste sarde. Come si è visto per Tavolara - che ha limitato l'operazione Costa Smeralda - così per Cagliari il capitale privato non contesta ai militari il compito istituzionale di provvedere alla difesa dei supremi valori patrii - anzi. Ma chiede agli stessi militari che le loro basi se le impiantino «un po' più in là», in modo che non arrechino nocumento agli «affari civili». Si tratta in sostanza di una lite in famiglia per la giusta spartizione di quell'eredità - che sarebbe il globo terracqueo - lasciata loro dal padreterno, del quale si fa garante e compartecipe il prete. Una lite nell'esclusivo interesse del terzetto capitale-esercito-religione e a danno dei popoli.
Interpretando i malumori degli operatori economici, l'AGI comunica in uno speciale del 21 novembre 1969:

“Una buona notizia per lo sviluppo turistico di Cagliari: il poligono militare di Calamosca verrà trasferito. La zona liberata dalla servitù militare consentirà il completamento della panoramica per il Poetto.
La zona turistica che da Sant'Elia conduce alla Sella del Diavolo sino a Marina Piccola sarà riconsegnata tra breve ai cagliaritani. Le autorità militari hanno infatti deciso di trasferire in una zona dell'entroterra… il poligono di tiro che attualmente sorge a Calamosca…
Il provvedimento, quando diverrà operante, soddisferà le attese dei cagliaritani che, dopo tanti anni, vedranno finalmente restituita una vastissima fascia di terreno finora gravata da servitù militare e che pertanto condizionava lo sviluppo turistico della città.”

Dopo aver dato la buona notizia, l'AGI fa una rassegna dei vincoli più ingombranti:

“A Calamosca, come a Monte Urpinu o a San Michele le autorità militari avevano disseminato di cartelli ammonitori che informavano i gitanti che quella era zona militare e che pertanto era vietato l'accesso a chiunque. I cagliaritani erano così radiati dalle zone verdi o panoramiche di una città che annega rapidamente nell'asfalto o nel cemento.
A Monte Urpinu, i cartelli con la scritta zona militare fiancheggiano il viale Europa che corre sulla cresta della collina. Alle pendici, identici avvertimenti impediscono l'espandersi del quartiere di S. Arrulloni, avviato a diventare uno dei più popolosi della città. A San Michele, il divieto di accesso riguarda la cima della collina dove sorgono i ruderi, del tutto abbandonati, dell'antico castello aragonese. A Calamosca, dove molta parte della zona è occupata dalle caserme, i cartelli sono sistemati nei pressi di un albergo a mare per avvertire che esiste un poligono di tiro, ed interrompono bruscamente una strada panoramica, mai ultimata e decisamente trascurata, che nei programmi di sistemazione dei dintorni della città avrebbe potuto snodarsi intorno al promontorio. Infine, dalla parte della Sella del Diavolo che guarda verso il Poetto - di certo una delle più suggestive località della Sardegna - sono in corso lavori di scavo per la sistemazione di depositi di carburante ad uso militare. Proprio lungo la strada che porta al porticciolo di Marina Piccola appena inaugurato e che dovrà diventare il trampolino di lancio del settore del turismo nautico.”

E a proposito di depositi di carburante c'è di più: l'oleodotto che dai serbatoi del deposito di Calamosca (200.000 tonnellate - dicono) raggiunge la base di Decimo passa ai margini del nuovo stadio Sant'Elia. Di recente si è verificata una fuoriuscita di combustibile che incendiandosi ha fuso diversi metri della cancellata dello stadio - fortunatamente deserto.
Non abbiamo difficoltà a riconoscere che in certi casi - come questi esposti dall'AGI - l'interesse del capitale privato sia da preferirsi all'interesse militare. Da un'utilizzazione turistica delle aree attualmente recintate dal filo spinato, quando sorgessero giardini e ville e strade panoramiche al posto delle opere e impianti bellici, la popolazione ne ricaverebbe almeno godimenti estetici e clima più salutare.

“Le servitù militari - conclude lo speciale dell'«Agenzia Italia» - dunque stringono Cagliari in una morsa dalla quale, con il recente provvedimento adottato dalle autorità militari, si dovrebbe in qualche modo uscire per l'ormai improcrastinabile sviluppo turistico della città.
Altre servitù militari ed altri edifici, non certo turistici, occupano ancora una delle località più belle del capoluogo: il viale di Buoncammino. Dal tribunale militare alla caserma della pubblica sicurezza, alle carceri giudiziarie, una delle vedute più suggestive viene così sottratta da tempo immemorabile ai cagliaritani. E non valgono i giardinetti e le aiuole fatte sistemare attorno al viale, quando la passeggiata dei cittadini è seguita dagli sguardi annoiati delle guardie carcerarie o da quelli dei poliziotti affacciati alle finestre di un edificio che per la sua posizione potrebbe essere trasformato in uno splendido albergo oppure in una zona residenziale.
Buona parte del porto, poi, è occupata dall'ammiragliato e dal comando marittimo autonomo della Sardegna, rendendo quindi asfittico ogni futuro sviluppo dello scalo cagliaritano che di spazio, ne avrebbe un gran bisogno.
Il trasferimento del poligono di tiro fuori della cinta daziaria della città è dunque un primo passo, al quale i cagliaritani sperano ne seguiranno molti altri, in modo da restituire il capoluogo alla sua vera funzione che è quella di ospitare cittadini e non depositi militari.”

La notizia dello smantellamento del poligono di Calamosca provoca le reazioni dell'Oristanese:

“Non vorremmo passare per provinciali e campanilisti (anche se i poligoni di tiro non ci piacciono, come a nessuno, dietro l'uscio di casa) se ci chiediamo come mai a Cagliari le autorità militari riconoscono che gli impianti bellici condizionano in senso negativo l'economia e si premurano di smantellarli per dare via libera agli operatori economici del turismo… e per Oristano non facciano lo stesso ragionamento, visti i danni rilevanti che i poligoni di tiro e le servitù che ne derivano causano alla già criticata economia della zona… La notizia, buona per Cagliari, non ci entusiasma, anzi ci fa ancora riflettere sulla nostra situazione di eterni coloniali: abbiamo paura infatti che prima o poi tutte le basi e le servitù militari e gli impianti bellici situati nei pressi di Cagliari vengano spostati nella nostra zona. Se sono impianti necessari e indispensabili per la difesa comune se li tenga Cagliari, quelli che ha. Noi oristanesi ne abbiamo già troppo con Capo Frasca” («La Nuova Sardegna», 30 novembre 1968).

Il bisticcio tra Oristano e Cagliari, che si contendono il privilegio di «non avere basi militari sull'uscio di casa» difficilmente potrà appianarsi. I militari, per non far torto ai due contendenti, le lasceranno, e se del caso ne edificheranno di nuove, sull'uno e sull'altro territorio.
Intanto Cagliari ha gioito troppo presto: il trasferendo poligono di tiro di Calamosca è rimasto lì al suo posto, con i reticolati che confinano con il piazzale del borgo-ghetto di Sant'Elia - il lazzaretto dei diseredati di Cagliari balzato di colpo alla notorietà per avere contestato Paolo VI. E c'è rimasto così bene, con tutti gli annessi e connessi giuridici, che dieci cittadini, i quali dal piazzale di Sant'Elia vi si sono rifugiati «brevi», giusto per sfuggire alle bestiali violenze della polizia, sono stati denunciati per «introduzione clandestina in luoghi militari» ai sensi dell'art. 260 del codice penale.
Le servitù che gravano sulla città di Cagliari e adiacenze non sono più vistose o più pericolose di quanto non lo siano quelle gravanti in altre parti dell'isola. Ma particolarmente Calamosca, sulla costa orientale, e Nora, sulla costa occidentale, hanno una grossa importanza speculativa. Tanto Calamosca quanto Nora sono due naturali dépendances turistiche per la borghesia cittadina, che tra uno spiraglio e l'altro ha già edificato ville e quartieri residenziali balneari.
La borghesia cittadina - in linea di principio - approva le basi militari, gli eserciti efficienti e le esercitazioni belliche - purché pesino sulle spalle dei soli lavoratori. A questo proposito sono sintomatiche alcune prese di posizione di organi di stampa padronale e di politici governanti contro le servitù militari che «a Cagliari soffocano lo sviluppo turistico».
«L'Unione Sarda» ha sostenuto una feroce campagna di stampa contro i pastori e la comunità di Orgosolo contrari al poligono di Pratobello; e al contrario, per quel che riguarda il poligono di Calamosca a Cagliari, scrive:

“La cittadinanza attende che le trattative con le autorità militari per lo svincolo delle zone di interesse turistico possano giungere a risultati positivi…
Se è vero (ed anche questo è un riconoscimento doveroso) che molte situazioni del genere sono già state sanate in città grazie alla comprensione e all'interessamento di parecchi alti ufficiali della Marina, dell'Esercito, dell'Aviazione che si sono susseguiti nei comandi militari della città (ed erano persone di passaggio, non cagliaritani); se è vero che molte altre questioni in sospeso stanno per essere risolte grazie alla disinteressata collaborazione degli attuali comandi militari, è anche vero che da qualche parte - certo lontano da Cagliari - qualcosa non funziona, posto che da un giorno all'altro si può avere la sorpresa di imbattersi in un cartello che ha tutta l'aria di indicare come minimo l'inizio di una zona minata.
Ed è allora comprensibile che i cagliaritani tutti, senza avere la pretesa di squarciare i veli dei segreti militari, si chiedano come minimo perché proprio la Sella del Diavolo, posta a naturale protezione di una delle più belle insenature di tutte le coste della Sardegna, debba essere continuamente sforacchiata e ridotta, presumibilmente, ad una forma mal riuscita di gruviera. Tanto più che nei dintorni di Cagliari non mancano promontori, lingue di terra proiettate nel mare e zone consimili dove sì e no passa una persona una volta all'anno, e dove anche i più gelosi segreti possono annidarsi in tutta sicurezza perché nessuno avrà mai voglia di svelarli.”

Su questa questione, alla fine dell'estate del 1966, «Scinteia» di Bucarest scrive:

“Calamosca, la Sella del Diavolo, Marina Piccola e la Grotta dei Colombi, con le loro mille insenature e i loro segreti nuovi, non sono dunque più accessibili a uomo: si vede lontano, dal mare, una grande bandiera interforze anglo-tedesca-canadese-americana che sventola sugli scogli ad avvertire giovani e vecchi della nuova realtà: qui non si fruga, né si fa all'amore o del turismo. Qui soprattutto occorre silenzio, e ogni domanda è bandita: non sono permesse neppure le solite stolte ipotesi su inesistenti basi di altrettanto inesistenti sommergibili atomici americani. Alla Sella del Diavolo era venuto una volta, durante il suo regno difensivo, Andreotti - dicono i cagliaritani - e da quel giorno, senza inaugurazioni un'immensa pompa d'aria sonda nella profondità della roccia fino al mare, e nessuno sa perché, nessuno sa cosa c'è sotto. ma questo è davvero un segreto: off-limits, non se ne parli…”

«Rinascita Sarda» riprende da «Scinteia», tacendo però la faccenda dei sommergibili atomici:

“Da lontano, durante la gita in barca, puoi vedere interforze anglo-tedesco-canadese-americana-italiana… La bandiera della NATO sventola sugli scogli… per avvertire soprattutto i giovani, gli innamorati e i pescatori dilettanti che è proibito sostare. Qualcuno, giustamente, ha lanciato una battuta ironica: «Qui non si fruga, non si fa all'amore, non c'è possibilità di relax». Il turismo è finito. Questa è la nuova realtà. Off-limits per i cagliaritani che tra il 10 e il 14 ottobre si sono avventurati nella zona. Le esercitazioni erano intensissime. Nel porticciolo di Marina Piccola, tedeschi e canadesi avevano approntato dei motoscafi sormontati da una minuscola pista metallica utilizzata per gli esercizi di recupero degli uomini paracadutati in mare. Alla fine della giornata una secca notizia dell'A.P. avvertiva: «In seguito ai ripetuti incidenti degli ultimi due anni, i piloti tedeschi degli Starffghters 104 hanno iniziato presso le basi NATO della Sardegna un periodo di addestramento per salvarsi in caso di cadute in mare»” («Rinascita Sarda», 31 ottobre 1966.).

Il comando della NATO chiede e ottiene di fare le esercitazioni nei cieli, sulle coste e nelle campagne della Sardegna come se l'isola fosse una zona desertica. Veramente un milione e mezzo di abitanti ci sono, con le loro poche risorse e i loro pochi beni. Bene o male, con i nuovi moderni mezzi di trasporto, si sono andati sviluppando i traffici commerciali tra l'isola e il continente. Niente di rilevante, è vero: in partenza, il solito sughero grezzo, un po' di carciofini primaticci e qualche forma di cacio pecorino, pastori avviati al confino o alle galere, contadini emigrati e i soliti quattro onorevoli coi loro tirapiedi; in arrivo, vagoni di utensileria in plastica e cocacola, baschi blu, questurini e carabinieri - più i soliti quattro onorevoli e i loro tirapiedi che fanno la spola.
Alla esiguità dei traffici civili si contrappone un poderoso traffico militare, un va e vieni di flotte navali e di squadroni aerei di almeno dieci diverse nazionalità e tutte regolarmente autorizzate dal governo italiano e - presumibilmente - da quello regionale. Una marea di viaggiatori che non si accontentano di compiere pacifici spostamenti in comitiva, ma giocano tra loro a fare la guerra.
Non vi è dubbio che così stando le cose, spostarsi nei cieli dell'isola deve essere un grosso problema per i piloti dei trasporti civili. Un fatto accaduto alcuni anni or sono, che destò allora vivissimo allarme, è diventato oggi un fatto normale; fa parte dei rischi di viaggio compresi nel prezzo del biglietto.

Martedì, 8 marzo 1966. I 52 passeggeri, tra i quali alcuni bambini, dell'ultimo volo Roma-Cagliari, hanno preso posto a bordo del Viscount. L'aereo ha staccato perfettamente da Fiumicino alle ore 20,30 diretto ad Elmas. Il viaggio è cominciato da un pezzo, quando l'apparecchio invece di continuare la rotta verso ovest gira a vuoto senza alcuna apparente ragione. Naturalmente qualcuno si preoccupa. E' un lungo brutto momento. Ed è con un sospiro di sollievo che dopo tanto panico le 52 persone che si trovano a bordo sentono l'aereo posarsi leggermente a terra. Non sono ad Elmas, ma di nuovo a Fiumicino. La compagnia si scusa: il volo AZ 102 non si è potuto compiere: i signori passeggeri sono pregati di tornare domattina alle 8 per partire per la Sardegna. La sorridente hostess nel porgere la notizia non riesce a nascondere un certo imbarazzo. Neanche lei è al corrente. Nessuno all'aeroporto può fornire precisazioni sul perché l'aereo di linea ha girato a vuoto per un'ora nelle tortuose vie del cielo” («Rinascita Sarda», 15 marzo 1966).

Sull'episodio Radio Cagliari trasmette la seguente notizia:

“Nel corridoio aereo Viscount dell'Alitalia erano in volo aviogetti americani impegnati in una esercitazione. La direzione della società, informata dal controllo radar decideva immediatamente, per maggiore sicurezza, di far rientrare a Fiumicino il qadrimotore. Si è così adottata la sola misura che consentisse di evitare il pericolo di una tragedia [9 marzo 1966].”

Al Parlamento regionale e nazionale fioccano le interrogazioni. Al Senato, i comunisti Pirastu e Polano «reclamano provvedimenti per impedire che si continui ad utilizzare la Sardegna come base per le esercitazioni della NATO». Al Consiglio regionale, i comunisti Cardia, Congiu, Sotgiu e Raggio avvertono il presidente Corrias che «è giunto il tempo di far conoscere la gravità del pericolo cui è esposto il popolo sardo», sul territorio «si moltiplicano le basi militari straniere, si intensificano le esercitazioni, si ripetono incidenti spesso tragici», e che ormai «è necessario e doveroso chiedere con fermezza ed energia la liquidazione di ogni base militare esistente sul suolo sardo». Fuori luogo è comunque, nella stessa interrogazione, la frase di Cardia, allora segretario regionale del PCI:

“Ci rendiamo conto degli obblighi che sussistono, dei patti, delle alleanze che vanno, fino a quando non sono disdetti, in qualche modo onorati.

Ed è infatti sull'appiglio del «dovere di onorare i patti militari» che si aggrappa il ministro della difesa Tremelloni per giustificare l'incidente, quando finalmente si decide a rispondere.
Dice che sì, il motivo della soppressione del volo AZ 102 è dovuto alla presenza di aerei militari alleati che hanno sconfinato dalla riserva di spazio loro concessa (avrebbero dovuto trovarsi, in quel momento, tra la Sardegna e la Corsica) al di fuori delle aerovie. Il ministro aggiunge che è in corso un'inchiesta, con la proposizione di prammatica che chiude la bocca al meschinello che chiede giustizia, «per accertare eventuali responsabilità».
La verità dunque, è che l'aereo di linea con 52 passeggeri a bordo è incappato nel bel mezzo di una battaglia aeronavale in corso nel Tirreno e che ha corso un gravissimo pericolo.
Una proposta del generale Gustavo Basi (che con altro nome esiste certamente) per ovviare radicalmente il verificarsi di incidenti come quello occorso al Viscount:

In Sardegna, stante la sua depressa economia, i traffici civili sono così irrilevanti che li si potrebbe abolire del tutto. Perché non utilizzare, per quei pochi borghesi che si spostano dalla Sardegna al continente, o viceversa, convogli e mezzi militari? Durante l'ultima guerra, il servizio passeggeri veniva assolto egregiamente da caccia-torpedinieri e da aerei da bombardamento. se ne ricaverebbero diversi benefici: primo, si migliorerebbero i rapporti attualmente non ottimi tra il cittadino sardo e le Forze Armate; secondo, si potrebbe concedere uno sconto sulle tariffe di viaggio in uso presso le compagnie civili; terzo, i viaggiatori sarebbero protetti da eventuali nemici (alludiamo alla flotta comunista che gironzola nel Mediterraneo in cerca di rogna).

L’idea di far gestire i servizi civili direttamente ai militari risolverebbe anche molti altri casi spinosi. Per esempio il caso dell'albergo di Calamosca, dove i clienti, non essendo al corrente del dettaglio dei programmi delle esercitazioni nell'adiacente poligono di tiro, vengono svegliati nel cuore della notte dal crepitare della mitraglia e dagli scoppi delle bombe a mano.
Se l'albergo fosse gestito dagli stessi militari che gestiscono il poligono, si potrebbero far coincidere per ambedue gli impianti le ore di riposo e quelle di attività; e magari utilizzare i clienti e il personale dell'albergo come finta forza nemica, nelle esercitazioni d'assalto. E' molto probabile che, se dotati anch'essi di armi, i cittadini svegliati nel cuore della notte, accetterebbero con slancio di partecipare alle esercitazioni.
Di diverso avviso è una rivista che si occupa dello stesso albergo:

“Appena fuori Cagliari, a Calamosca, è situato un poligono di tiro della NATO. Diciamo più precisamente a poca distanza dall'Hotel Sant'Elia e vicinissimo alle località balneari e ai villaggi di pescatori della zona.
Periodicamente - e pare che l'estate sia il periodo più intenso - le truppe della NATO vi fanno le loro esercitazioni a fuoco. Fragorosi scoppi e secchi crepitii rompono la quiete dei luoghi e le scatole di numerosi villeggianti. In particolare, gli ospiti dell'albergo.
E questo sarebbe ancora poco, se non esistesse il pericolo della solita fatalità per cui un proiettile, diciamo di bazooka, vada a finire per fatale errore su un gruppo di bagnanti o dentro un'abitazione, provocando una fatale strage di innocenti.
La recente fatalità verificatasi a Rivanazzano di Pavia, un fulmine ha squarciato ed incendiato un deposito militare di carburante esplosivo posto a monte del paese e che riversando il suo contenuto esplosivo per le vie e per le case ha seminato panico e morte, dovrebbe insegnare qualcosa. Dovrebbe insegnare in primo luogo che gli ordigni guerreschi… vanno tenuti lontano dai centri abitati e dislocati, possibilmente, in località desertiche - mai in località turistiche. Meglio ancora se in isolette impervie scogliose e prive di vita umana, animale e vegetale. Ciò allontanerebbe lo spettro della fatalità dai cittadini e nel contempo forgerebbe i militari alla dura vita spartana che si addice ai guerrieri di tutti i tempi” («Sassari Sera», settembre 1968).

Il caso di Rivanazzano di Pavia è una bazzecola al paragone di ciò che potrebbe accadere alla città di Cagliari, se un fulmine dovesse colpire e incendiare uno dei tanti depositi di carburante militari. Nel 1965 i duecentomila abitanti sono stati sull'orlo della catastrofe.

Una bettolina della marina militare che trasportava duecento tonnellate di nafta, per un’avaria al motore, andò alcune settimane fa ad incagliarsi sul fondale del molo di levante, quasi all'ingresso della zona militare. In seguito all'urto si aprì una falla nella chiglia, dalla quale defluirono in mare oltre quaranta tonnellate di nafta, che in breve tempo dilagarono su tutte le acque del porto. Immediatamente, il comandante della capitaneria di porto, colonnello De Agostino, diramò una circolare nella quale veniva fatta assoluta proibizione di fumare, accendere fuochi e gettare oggetti incandescenti nelle acque portuali, ed impose ai piroscafi in sosta nella zona di applicare le reti antiscintilla ai fumaioli. L'accaduto mise ancora una volta in luce una delle più gravi deficienze del porto di Cagliari: la pericolosità. Un fiammifero sarebbe sufficiente per far esplodere il porto di Cagliari e con esso una buona parte della città.
Anche se paradossale, questa eventualità deve essere attentamente considerata in tutta la sua drammatica evidenza. I giganteschi serbatoi di carburante della Shell e dell'AGIP sul molo di ponente, i depositi esplosivi destinati alle saline e ai comandi militari sul molo di levante, unitamente agli oleodotti della marina militare e dell'aviazione, ed infine il deposito di carburante posto quasi al centro del porto sul molo di Sant'Agostino, fanno del porto di Cagliari il più pericoloso d'Italia” («Sardegna Oggi», 28 gennaio 1965).



10. Orgosolo, il poligono di Pratobello

A metà giugno del 1969 esplodono i fatti di Pratobello. La rivolta antimilitarista di Orgosolo è un momento della lunga lotta che i sardi dell'interno conducono contro l'oppressione colonialista. Per comprenderli, i fatti di Pratobello vanno inquadrati in un contesto storico.
Meno di un anno prima, nel novembre 1968, il popolo di Orgosolo, in quattro giorni di sciopero e di assemblee, depone la giunta e il sindaco, occupa il comune e ripropone in termini nuovi e rivoluzionari «la questione delle zone interne dell'isola». La cronaca dei «quattro giorni di Orgosolo» appare in un saggio (Orgosolo: novembre 1968, Milano, Libreria Feltrinelli, 1968.) da cui stralciamo:

“Le lotte di questi ultimi tempi ad Orgosolo e in Sardegna sono frutto di un preciso panorama di rapporti economici, politici, sociali e della volontà di trasformarli. Da una parte una società in via di disgregazione, dall'altra una società che questa dissoluzione cerca di accelerare a proprio vantaggio. Le strutture economiche ad Orgosolo erano di tipo comunistico fino alla prima metà dell'Ottocento, e di esse rimangono tracce di carattere prevalentemente psicologico. Allo stato attuale alcune abitudini comunistiche hanno ancora valore di legge, come ad esempio il fatto che nessuna famiglia di Orgosolo si sognerebbe di rifiutare il prestito del pane ad un vicino che abbia finito la scorta. D'altronde in questo senso parla anche la consuetudine di ricostituire il gregge, offrendo una pecora a testa, al pastore che l'abbia perso per calamità naturale, arresto o furto.
Il fatto che queste tradizioni si siano conservate quasi intatte finora, è spiegato da ragioni di carattere storico-geografico tipiche di questa zona; e non potrebbe essere altrimenti. Infatti non ci sono mai state invasioni in grado di penetrare a fondo nelle strutture economico-sociali e di farvi modifiche stabili, almeno in epoca storica; e la conformazione ha favorito l'isolamento e la mancanza di comunicazioni con l'esterno. Raccontano ancora i vecchi del paese che i loro padri portavano le greggi a pascolare liberamente da un capo all'altro del territorio, senza incontrare reticolati o muri a secco di recinzione. Questi sono stati introdotti dopo il famoso decreto delle Chiudende di Carlo Alberto nel 1820, per cui, chiunque recingesse un appezzamento di terreno, ne diventava automaticamente proprietario. Dei benefici di tale decreto hanno approfittato in pochi, visto che ancor oggi il territorio comunale o demaniale è di gran lunga più esteso dei territori sottoposti a proprietà privata; e questo non soltanto perché impossessarsi di una terra comune urtava contro la mentalità dei singoli, inducendoli a non prendere in considerazione una simile possibilità, ma soprattutto perché la comunità aveva gli strumenti per difendersi da individui di questo tipo. Succedeva infatti che, già da prima e, a maggior ragione, in quel periodo, chi avesse tentato di accumulare del potere economico a danno della comunità venisse ridimensionato con metodi piuttosto drastici, quali l'abigeato e il piombo.
Fanno fede al carattere comunitario dell'economia barbaricina i versi del poeta popolare Salvatore Poddighe, molto conosciuto dai pastori e dai contadini, che suonano:

«In communu tenian terra e fruttu,
bestiamene e cantu si est connotu;
su viver necessariu haian tottu,
de vegetales e d'ogni produttu;
non fit nessunu padrone assolutu;
d'ogni frade a su frade istat devotu;
e cun tale sistema e benèficu
non fit nessunu poberu né riccu».

Il decreto delle Chiudende, come le altre leggi via via imposte da una società che comminava le pene maggiori per i reati contro la proprietà privata, non poteva non entrare in conflitto drammatico con le consuetudini di una comunità che certe concezioni non concepiva. Qui ha inizio la violenza sistematica della società capitalistica alla quale risponde la contro-violenza disperata della società barbaricina. Se prima la violenza era giustizia all'interno, nel senso che quelli che infrangevano le leggi non scritte dell'uguaglianza e della solidarietà dall'interno della stessa collettività con la violenza venivano puniti, ora diventa mezzo di difesa contro elementi estranei e disgregatori. Le punte avanzate del nemico sono i preti, i carabinieri, gli esattori divenuti protettori di quelli che la comunità considera dei traditori: ossia dei neoproprietari a cui occorre lo scudo dell'autorità per conservare e consolidare i propri privilegi.
Questo stato di guerra fra l'autorità coloniale e la popolazione ha impedito la formazione di una borghesia locale. C'è stato qualche caso isolato di individui arrichitisi con le rapine e giunti a controllare gran parte del territorio soggetto a proprietà privata, ma il loro feudo è scomparso alla loro morte, perché mancava la volontà di perpetuarlo. Una parte dei loro discendenti ha tentato di farlo, appoggiandosi all'autorità (polizia, alto clero) ma si è scontrato con i suoi stessi parenti che aveva tentato di escludere dalla divisione della torta, ed è finita in un bagno di sangue, la famosa disamistade che ha riportato le cose ai termini iniziali.
Fin dall'inizio la funzione della polizia e dell'esercito è stata quella di braccio armato incaricato di imporre un certo tipo di economia e di rapporti sociali, non diversamente da quanto è successo nelle colonie occupate dai paesi capitalistici europei.
L'azione del clero è stata parallela e tendente allo stesso fine, sotto forma di creazione di falsi obiettivi per lo sfogo della carica protestataria della popolazione e per minare la sua resistenza. Nella situazione obiettiva in cui si trovava la società barbaricina, la patina di falsa fratellanza e di rispetto per la proprietà altrui con cui la chiesa ha rivestito i contrasti sociali ed economici è servita solo a favorire i più forti e a ritardare la formazione di una coscienza di classe nei più deboli…
I partiti politici sono di formazione recente, non essendo apparsi in forma individuale ed organizzata se non dopo il 1944, e i soli attualmente funzionanti nei periodi inter-elettorali sono il PCI e il PSIUP, mentre la DC ha la sua sezione permanente nella Parrocchia e ne apre un'altra soltanto temporanea durante le elezioni.

L'assemblea popolare di Orgosolo, in data 14 novembre 1968, ha redatto un comunicato alle autorità di polizia; è stato letto - presente tutta la popolazione - al commissario capo di polizia. La TV ha registrato e filmato la scena, ma non risulta che l'abbia mandata in onda:

“L'assemblea degli operai, dei pastori e degli studenti di Orgosolo, riunita in permanenza nella Casa del Popolo [così viene ribattezzato in quei giorni il comune] presa visione delle gravi minacce di alcuni elementi della polizia nei confronti di componenti dell'assemblea stessa,
DICHIARA:
1. che la polizia è uno strumento di repressione usato dai padroni contro la punta più avanzata del popolo, contraddicendo così la stessa Costituzione italiana, nata dalle lotte popolari;
2. che viene fatta violenza agli stessi individui della polizia da parte della classe dirigente, impiegandoli contro la classe da cui provengono, costringendoli a dimenticare, con una istruzione da caserma di tipo fascista, la loro estrazione popolare;
3. che la malafede della classe politica dirigente, non disposta a dare giusta soluzione ai problemi di fondo (perché equivarrebbe ad andare contro i propri interessi) ricorre all'uso della violenza poliziesca anche contro le lotte condotte pacificamente;
4. che Orgosolo non dimentica il modo brutale col quale furono trattati gli operai durante gli scioperi del 1949-50, quando furono strappati dalle loro mani perfino gli attrezzi da lavoro per non parlare poi degli anni di galera e di confino inflitti agli organizzatori ed ai partecipanti ai suddetti scioperi.
TENUTO CONTO E IN CONSIDERAZIONE dello stato di cose elencate nei quattro punti, l'assemblea avverte gli organi di polizia che, nel caso venissero usate rappresaglie di qualsiasi genere nei confronti dei partecipanti allo sciopero di questi giorni, ricorrerà a metodi adeguati, rispondendo alla violenza con la violenza “ (Orgosolo: novembre 1968, Milano, Libreria Feltrinelli, 1968).

In questo quadro già grave ed esplosivo si inserisce il progetto del Ministro della Difesa di installare una servitù militare a Pratobello, un poligono di tiro permanente e l'acquartieramento di nuovi contingenti armati nei terreni comunali di Orgosolo, nella zona dove tradizionalmente pasturano le greggi nei mesi estivi dopo la lunga transumanza nei Campidani. Alla decisione del governo e dei militari, la popolazione orgolese insorge in massa.
Questa la cronaca dei fatti di Pratobello.
18 GIUGNO 1969
«Controgiornale» a cura degli studenti di Orgosolo:
“Nella piazza Pateri si svolge un'assemblea cui partecipa tutta la popolazione. All'unanimità viene presa la decisione di recarsi in massa, l'indomani mattina, nei pascoli di Pratobello per manifestare il dissenso di tutti i cittadini all'inizio delle esercitazioni militari e di impedirle con la presenza fisica di tutti gli orgolesi”.

«La Nuova Sardegna», quotidiano di Sassari:
“Siamo dunque al braccio di ferro tra orgolesi e militari… Che cosa capiterà domani non si può dire. Speriamo solo che la marcia su Pratobello si concluda senza incidenti e che, insomma, prevalga il buon senso da parte dei pastori. In questo momento Orgosolo è solo. Tutti gli altri centri della Barbagia hanno dato il benvenuto ai fanti della brigata Trieste; in molti paesi sono apparsi in questi giorni manifesti murali in cui si porge ai militari il saluto delle popolazioni barbaricine. Gli orgolesi no, non vogliono nel modo più assoluto le installazioni militari e si battono con proteste, marce, intimidazioni per ottenere quello che dicono essere un loro diritto… Che cosa si vuole ottenere? Quale scopo può raggiungere un'azione di forza se non quello di irritare il comando militare? E' chiaro che domani tutta la zona adibita alle esercitazioni sarà picchettata e protetta dai militari. Nessuno potrà superare la cortina. Saranno dati degli ordini precisi e i soldati dovranno obbedire.”

«L'Unione sarda», quotidiano di Cagliari:
“Una minoranza di agitatori spinge gli allevatori del centro ad opporsi al soggiorno di 7.000 soldati impegnati nella zona di esercitazioni… Ogni pastore potrà guadagnare oltre mezzo milione in appena due mesi come risarcimento per la presenza dei militari… Questa situazione… vorrebbe sovvertire gli interessi dello Stato anteponendovi quelli del paese… I più estremisti non sono certo i comunisti che in tutta questa storia mantengono un atteggiamento di cautela… Il generale della Brigata, Domenico Fusilli, dal canto suo si faceva interprete di un messaggio che avrebbe voluto raggiungere lo spirito delle popolazioni e dove tra l'altro si faceva cenno ad una produttiva esperienza sul piano umano.”

«L'Unità», quotidiano del PCI:
“Tensione ad Orgosolo ieri i cannoni al posto dei pascoli… Il compagno Prevosto ha spiegato i termini della situazione… bisogna dare una risposta popolare forte e unitaria… Ieri sera alla Camera il problema è stato sollevato dal compagno Pirastu a nome dei deputati comunisti sardi. Il governo non ha voluto rispondere.”

19 GIUGNO
«La Nuova Sardegna»:
“Oltre duemila orgolesi marciano su Pratobello. Nessun incidente, anche per il prudente intervento di autorità ed esponenti politici. Dure critiche degli altri centri barbaricini all'atteggiamento di Orgosolo che sconfessa l'ospitalità sarda. Orgosolo non vuole i militari, non vuole esercitazioni a fuoco… non vuole neppure nella zona poligoni di tiro… Su ciò non vi possono essere dubbi, purtroppo. Lo hanno detto, ribadito e dimostrato duemilacinquecento persone, giovani, vecchi, pastori, donne, ragazzi, contadini, studenti, operai. C'erano perfino un centenario ed un novantenne e due invalidi con stampelle. «Fuori, fuori dai nostri territori, dalle nostre montagne, dalle nostre campagne. Sono i terreni che conosciamo dai padri, dai nonni e dai bisnonni, dobbiamo disporne come meglio riteniamo», così hanno urlato oggi i dimostranti di Orgosolo ai tutori delle forze dell'ordine, ai loro dirigenti, ai militari che in autocolonna procedevano verso le montagne per picchettare la zona delle esercitazioni… Dalle prime luci dell'alba, donne, vecchi e bambini, giovani ed operai… con tutti i mezzi a disposizione si sono avviati… Alle 8 i dimostranti… sulla provinciale di Pratobello hanno intravvisto un'autocolonna militare risalire verso la montagna e hanno subito predisposto un blocco. C'è stato un reciproco lontano sguardo, quindi lo scoppio di tre bombe a mano lanciate forse per segnale, forse per intimidazione da alcuni militari… All'arrivo sono rimasti sui loro camion, donne e bambini si sono loro avvicinati dicendo: «Contro di voi non abbiamo nulla da dire, ce la prendiamo con chi vi manda da noi; foste venuti senza divisa sareste stati i benvenuti…». Si è giunti alle 11, quando la folla ha ripreso la marcia verso Pratobello. Sono intervenuti agenti e carabinieri per bloccare la strada. Abbiamo temuto il peggio, ma il buonsenso di molti è prevalso… Quindi il ritiro dell'autocolonna (militare) e delle forze dell'ordine. Come prima c'erano state urli e fischi, ora udivamo applausi… La folla ha proseguito per diversi chilometri fino a Pratobello, dove i tutori dell'ordine hanno chiuso l'accesso alla zona militare… Si è poi avuta l'assemblea popolare… Si è ritornati in serata verso Orgosolo.”

«L'Unione Sarda»:
“Centinaia di pastori orgolesi spinti da attivisti politici hanno occupato per tutta la giornata la zona. I militari hanno però iniziato regolarmente le esercitazioni… In un clima di anarchia senza precedenti, favorita e sollecitata da estremisti di sinistra ormai usciti allo scoperto… C'è stata una pubblica assemblea…”

«Il Tempo», quotidiano di Roma:
“Conclusa senza incidenti la marcia su Pratobello. Alla manifestazione hanno partecipato alcune migliaia di persone. Chiedono lo spostamento delle prossime esercitazioni militari estive…”

«L'Unità»:
“Contrordine a Orgosolo. Niente manovre a fuoco. Le autorità militari costrette ad annullare le esercitazioni. Assembramento di pastori, donne e bambini dinanzi ai bersagli per i cannoni… Il segretario della sezione comunista strappa un lungo applauso chiudendo il suo discorso in dialetto orgolese…”

20 GIUGNO
«La Nuova Sardegna»:
“Orgosolo fa il bis. Un muro di folla davanti ai militari. Anche ieri sospese le esercitazioni a Pratobello. Ma il generale dice che ha ordini e che deve obbedire. Mediazione di politici e sindacalisti. Anche il parroco fra i dimostranti… Nel rapido trasporto, una autovettura è uscita fuori dalla sede stradale e ribaltando ha riportato seri danni… L'assemblea popolare ha subito deciso di aprire una sottoscrizione per rifondere i danni al proprietario dell'autovettura danneggiata. Miracolosamente incolume nel trambusto è rimasto il contestatore 98enne Battista Corraine, noto Zoeddu, che ieri ed oggi era in prima linea con i suoi compaesani.”

Viene divulgato clandestinamente il «Bollettino della rivoluzione»:
“Ore 8,30. In zona Duvilino la massa di dimostranti, discesa dagli automezzi, ha il primo contatto con una colonna di camions militari; donne e bambini si siedono sulla strada e bloccano l'autocolonna.
Ore 9,10. Sotto la pressione della gente, l'autocolonna si sposta di dieci metri.
Ore 10,30. L'arrivo di alcuni agenti della polizia politica di Nuoro irrita i manifestanti e al grido «Via la polizia e i militari!», i capi della polizia e dell'esercito vengono costretti a indietreggiare di parecchie decine di metri.
Ore 10,35. La gente saluta con applausi e canti i camions che se ne vanno. Il fotografo della polizia politica tenta di riprendere con una cinepresa la manifestazione ma viene centrato da alcuni sassi ed è costretto a scendere dal camion in cui si era appollaiato.
Ore 14,40. Tutta la popolazione accompagna con una lunga marcia i militari che si ritirano oltre i confini del territorio di Orgosolo. Gruppi di ragazze e di operai intonano inni rivoluzionari e lanciano slogan antimilitaristi.
Ore 12,00. I manifestanti fronteggiano un doppio schieramento di poliziotti e di carabinieri.
Ore 12,30. La decisione dell'assemblea è unanime: un No assoluto alle manovre militari in territorio di Orgosolo, la lotta continuerà fino a che l'ultimo soldato non avrà abbandonato la zona.
Ore 17,00. Non si registra alcun movimento da parte dei militari e si decide unanimemente di tornare in paese. LA LOTTA CONTINUA.”

«L'Unità»:
“Reparti dell'esercito tornano sui pascoli. Dopo la sospensione delle esercitazioni, i comandi militari tentano di nuovo di iniziare i tiri. Reazione immediata dei pastori. Sul posto baschi blu e carabinieri. Intervento dei dirigenti del PCI. Ingrao, Reichlin e Pirastu chiedono un incontro urgente con il sottosegretario Cossiga.”

«Controstampa» degli studenti:
“Il 20 venerdì si mobilitano tutti… Sono oltre tremila persone. Il paese resta completamente deserto, le saracinesche abbassate, tutte le porte chiuse. Sulla strada di Pratobello avviene il primo contatto con la colonna militare. I settemila soldati sono protetti da un numero assurdo di poliziotti e carabinieri che sono già stati fatti affluire da ogni parte dell'isola, mitra in spalla e tascapane pieno di bombe. Dopo alcune ore, vista la decisione della popolazione, i camion se ne vanno. Con una lunga marcia essi vengono accompagnati dalla popolazione sin oltre il confine del territorio di Orgosolo. Alle 18, ritiratisi tutti i dimostranti, la popolazione fa rientro in paese. Immediatamente si riunisce un'assemblea popolare, viene data la pubblica lettura delle cronache dei giornali. La popolazione critica e respinge con fermezza la falsità e il veleno di cui sono impregnati i resoconti dei quotidiani sardi. Conferma infine la volontà di proseguire la lotta.”

In margine ai fatti di Pratobello. «L'Unità»:
“Ogni tentativo di rintracciare a Cagliari il Presidente della Regione on. Del Rio è risultato finora vano. Del Rio - che pure è nuorese - appare irreperibile. Mentre esercito e popolazione si fronteggiano nelle campagne barbaricine con tute le conseguenze irreparabili che potrebbero determinarsi, è assurdo che il Presidente della Regione se ne stia in disparte…”

Da un ciclostilato di probabile ispirazione curiale:
“Il Presidente Del Rio è rimasto in disparte per naturale modestia.”

21 GIUGNO
«L'Unione Sarda»:
“Orgosolo ha dichiarato ancora una volta il suo No a quella che è stata definita in un ennesimo manifestino del Circolo culturale «l'occupazione con violenza dei militari». Intanto decine di pastori di Fonni, che hanno lasciato i loro pascoli per far posto ai soldati della Brigata Trieste, stamattina hanno ricevuto i primi assegni dall'autorità militare, come liquidazione danni per lo sgombero delle greggi… Si è appreso in ambienti bene informati che i bandi per lo sgombero dei terreni inclusi nei poligoni di tiro sono stati affissi esattamente il 27 maggio scorso e quindi con un anticipo di tale rispetto alla data fissata per l'inizio delle esercitazioni militari da consentire ai pastori di sistemare convenientemente il bestiame. Si tratta di neanche 30.000 capi… Nello stesso agro di Orgosolo, inoltre, sono attualmente utilizzate le zone di Osporrai, Osposidda (tristemente nota per un conflitto tra Mesina e agenti di PS nel corso del quale due agenti persero la vita) e Mortu su Biu localizzate fuori dal poligono.”

Il quotidiano di Cagliari prosegue elencando tutte le terre a pascolo gentilmente offerte agli orgolesi dalle varie autorità, senza neppure chiedersi perché non se le prendano i militari anziché intestardirsi per le terre di Orgosolo. Elenca anche le cifre delle indennità giornaliere spettanti ai pastori che sgombreranno e fa un prontuario molto utile. Conclude:
“Le autorità militari hanno inteso, scegliendo la zona di Pratobello quale meta di un campo estivo la cui durata varia dai 50 ai 60 giorni, instaurare o meglio cercare di instaurare dei rapporti prima di tutto umani, contemporaneamente si è fatto il tentativo di agevolare l'economia di quei paesi oltre all'apporto notevole che ne può derivare sotto il profilo del costume e dell'etica sociale.”

In margine ai fatti. Napoleone Colajanni, nel 1968, scrive:
“Il militare, abituato alla disciplina e alla ferrea gerarchia, è un individuo incapace per la sua stessa forma mentis di collegare un fatto con le cause sociali immediate o remote.”

Un gruppo di generali in congedo e di alti ufficiali dell'esercito e di diverse armi, coi rappresentanti delle Associazioni combattentistiche hanno inviato un telegramma al presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Difesa e al Presidente della Regione Del Rio:
“Combattenti decorati mutilati protestano vivamente inconsulti avvenimenti Pratobello che umiliano la Sardegna dello ONORE del SACRIFICIO et del DOLORE stop Stigmatizzando inconcepibile assurda tolleranza Autorità politiche et chiedono immediato decisivo intervento stroncare indegna gazzarra pochissimi facinorosi in assoluto contrasto con sentimenti popolo sardo verso GLORIOSE FORZE ARMATE DI ITALIA stop.”

22 GIUGNO
«La Nuova Sardegna»:
“Nel poligono di Pratobello i militari della Trieste hanno compiuto parte delle previste esercitazioni. Orgosolo: situazione calma anche se tesa. Nessun mutamento rispetto alle posizioni dei giorni scorsi. Il paese isolato nella protesta.”

«L'Unità»:
“Situazione tesissima per le manovre militari. Oggi le prime cannonate sulle pecore dei pastori barbaricini? Trentacinquemila capi sono minacciati. I cittadini pronti a resistere. I pastori appostati negli ovili. Obbedire all'ordine di sgombero equivarrebbe a gettare sul lastrico centinaia di famiglie. La truppa in assetto di guerra… In Barbagia già cominciano ad affluire i mezzi del battaglione corazzato della brigata Trieste. Carri armati e autocolonne di militari, evitando di passare per Orgosolo, hanno sfilato per le strade di Mamoiada raggiungendo gli accampamenti allestiti a Pratobello. Sono arrivati inoltre automezzi del nucleo autocarrato dei carabinieri di Cagliari, mentre 450 baschi blu sbarcati ad Olbia vengono destinati in Barbagia. Un altro provvedimento che ha destato viva preoccupazione riguarda l'invio a Nuoro del procuratore della Repubblica di Cagliari dott. Villasanta, il quale deve esaminare i rapporti informativi della questura e dell'arma dei carabinieri sulla marcia dei pastori e della popolazione.”

«Controstampa» degli studenti.
“Il 22 è la giornata dei comizi e delle discussioni. La popolazione vi partecipa in massa. In questo momento comincia a delinearsi una distinzione tra le masse popolari e i dirigenti parlamentaristi dei partiti politici che si sono recati ad Orgosolo. Il popolo vede il problema politico di fondo, ed è deciso a lottare fino in fondo, trovando l'appoggio delle popolazioni vicine, degli studenti e degli operai delle città capoluogo. I rappresentanti dei partiti di governo e di opposizione invece vogliono vedere solo l'aspetto rivendicativo della lotta e non intendono allargare il fronte di scontro a tutti gli sfruttati della Sardegna. In quella sede la proposta che essi fanno di cercare compromessi ha il significato preciso di isolare la lotta (tutti i partiti, dalla DC al PCI, scendono su questo terreno). Ma la lotta va avanti e la notte stessa la popolazione penetra nelle zone delle esercitazioni.”

23 GIUGNO
«La Nuova Sardegna»:
“Centinaia di persone fermate a Pratobello. Si teme una degenerazione. A Orgosolo la popolazione è mobilitata. Siamo alla guerra o alla guerriglia? Orgosolo non ha ceduto e polizia e carabinieri hanno usato la maniera forte. La situazione è esplosiva. Ciò che non è accaduto nei giorni scorsi potrebbe accadere da un momento all'altro: in paese c'è mobilitazione generale, c'è una situazione molto pesante, si è in clima di occupazione militare e di resistenza. Le notizie sono ancora frammentarie, poiché la zona del poligono di tiro di Pratobello è per i giornalisti top-secret… Gli orgolesi protestatari sono accerchiati dalle forze dell'ordine in diversi punti. Le loro greggi non munte vagano abbandonate nella zona, mentre i militari hanno dato inizio, almeno parzialmente, alle operazioni in programma… Avantieri e ieri sono state fatte confluire a Pratobello ingenti forze di polizia e carabinieri dalle provincie di Nuoro e di Cagliari, da Padova, Genova e Pisa. Per la serata di ieri quindi convocata in piazza una nuova assemblea popolare, che ha visto raccolte oltre duemila persone… Chiusa l'assemblea, un folto gruppo di pastori e di operai è partito per Montes, Su Pranu, Olai, Sant'Antioco per un vigile controllo della situazione.”

«L'Unione Sarda»:
“Dopo le clamorose manifestazioni dei giorni scorsi gli orgolesi vogliono continuare la resistenza passiva a Pratobello. Alle esercitazioni nel poligono reagiranno riversandosi in massa nella zona occupata dai militari del reggimento Trieste. Continua la polemica in toni meno accesi. Una commissione verrà probabilmente inviata a Roma per discutere il problema col ministro della difesa. Indennizzi più alti per lo sgombero dei pascoli.”

«Paese Sera», quotidiano di Roma:
“Pronti i cannoni ma i pastori non mollano… La Brigata Trieste al comando del generale Fusini attende l'ordine di iniziare le manovre estive, mentre nel fondo valle, tra Orgosolo, Mamoiada e Fonni, 38.000 capi di bestiame, qualche centinaio di pastori e duecento braccianti della forestale occupano le fratte fra le quali sono già disposte le sagome che gli artiglieri dovrebbero centrare con le loro armi… Il generale Fusini si è dichiarato esplicitamente in grado di impedire questo piano con le proprie forze; se ciò non bastasse è ormai completata nel Nuorese un'imponente mobilitazione di reparti di polizia e di carabinieri…”

«Il Tempo»:
“Iniziate a Orgosolo le manovre militari. Quattro banditi fuggono sparando raffiche di mitra. Fallita la prova di forza dei comunisti… Le forze di polizia sono riuscite a fare opera di persuasione sulla maggioranza dei pastori che all'alba di oggi avevano occupato con le loro greggi gli ovili e gli stazzi nel tentativo di impedire ai militari di svolgere le esercitazioni… Si è appreso intanto che nel primo pomeriggio, in località Montes, vicino a Pratobello, quattro uomini hanno sparato alcune raffiche di mitra, e quindi si sono dileguati nella boscaglia. Una pattuglia di agenti di PS li ha inseguiti invano…”

«L'Unità»:
“Grave e inammissibile provocazione contro le popolazioni sarde. Caccia ai pastori di Orgosolo. Parà e carabinieri sgomberano i pascoli per il poligono militare. Il paese circondato? Rastrellamenti in massa. Centinaia di fermati. Una grande responsabile assemblea popolare. Dichiarazioni del compagno Ignazio Pirastu… Una delegazione di Parlamentari, di cui fanno parte i compagni Pirastu e Marras, è partita stasera per Roma: si incontrerà domani col ministro Gui… A tarda sera apprendiamo che la popolazione di Orgosolo ha ottenuto un parziale successo: il fuoco non è stato aperto sui bersagli: alcuni reparti, a scopo dimostrativo, hanno lanciato delle bombe a mano in uno spiazzo limitato.”

Il Comando militare della Sardegna comunica:
“Malgrado l'opposizione dei pastori che chiedono lo sgombero del poligono, l'esercitazione a fuoco a Pratobello ha avuto luogo nel pomeriggio come previsto dai programmi.”

Le segreterie regionali della CGL, CISL e UIL:
“Conosciuta la gravità della situazione… esprimono la più decisa protesta e la più viva solidarietà.”

Il ministro Gui risponde all'interrogazione presentata dai comunisti: niente paura, si tratta di manovre temporanee…

«Controstampa» degli studenti:
“Il 23 e il 24 lo scontro diventa più aperto, tutto il popolo lotta, non i maoisti inventati da L'Unione Sarda. Pratobello però è divenuto un campo di battaglia: elicotteri, truppe speciali, polizia, carabinieri, baschi blu armati di tutto punto circondano la zona. Gli elicotteri avvistano i dimostranti e li segnalano alle pattuglie, i baschi blu li circondano con i mitra spianati e per lunghe ore li intrappolano minacciosamente. Si tratta di un nuovo tipo di sequestro di persona fatto in massa per spaventare i dimostranti. Solo l'organizzazione disciplinata delle masse impedisce che questa provocazione abbia conseguenze tragiche. Quindi cominciano le deportazioni in massa a Nuoro, le lunghe soste alla questura, le schedature, le minacce. Per creare confusione «L'Unione Sarda» inventa una sparatoria tra quattro individui e la polizia e la trae a pretesto per parlare di legame tra fatti banditeschi e movimento popolare. Durante la giornata viene fatta una delegazione che cerca di trovare sbocchi con delle trattative con il ministero della difesa, alla situazione di Orgosolo. Già questo atto (la delegazione è composta soprattutto di consiglieri regionali e parlamentari) significa sminuire il valore politico e le richieste di fondo della lotta, e impedire una più larga mobilitazione nei paesi vicini. La grande lotta popolare dovrà necessariamente arrivare a degli sbocchi, a dei compromessi se resterà isolata; questo è chiaro a tutti. Ma la responsabilità dell'isolamento cade interamente sui partiti parlamentaristi.”

Il Circolo Città-Campagna di Cagliari interviene con documento ciclostilato.
“Basi militari sorgono ovunque… e questo mentre reparti di polizia e carabinieri sono continuamente rafforzati sia nell'organizzazione che nella dotazione di mezzi. I nuovi reparti dislocati a Pratobello servono perciò a completare l'occupazione militare della Sardegna da un capo all'altro, dalle coste all'interno. A Orgosolo, più palesemente che in altri paesi delle zone interne, si scopre il preciso disegno di smantellare le strutture e i rapporti di produzione della pastorizia, e quando l'esodo migratorio non bastasse, l'eliminazione o la deportazione delle irriducibili popolazioni - secondo gli interessi economici del capitalismo e gli interessi militari dei generali della NATO.”

24 GIUGNO
«La Nuova Sardegna»:
“Anche a Roma le richieste di Orgosolo. Ridotta a Pratobello l'area del poligono. Ai pastori sarà restituita una fascia di pascolo per le greggi. Un agente del PS aggredito da un giovane che è stato arrestato. Altri due arresti e trenta denunce… A Orgosolo è prevalso il buonsenso. Gli animi si sono in parte calmati, è rimasto solo lo stato di agitazione. C'è stata qualche dimostrazione, ma nulla di grave.”

«L'Unità»:
“Gli impegni ottenuti dalla delegazione a Roma. Un primo importante successo è stato strappato dalla lotta della popolazione e dei pastori di Orgosolo. Al ministero della difesa, dopo circa quattro ore di discussione, la delegazione… guidata dagli onorevoli Pirastu del PCI, Sanna del PSIUP e Gianoglio della DC ha ottenuto ieri dal sottosegretario Cossiga, che rappresentava il ministro, alcune assicurazioni.”

«Paese Sera»:
“Calma ad Orgosolo. I pastori hanno vinto.”

25 GIUGNO
«La Nuova Sardegna»:
“Soddisfatti dei risultati conseguiti a Roma, gli orgolesi hanno decretato la sospensione delle ostilità… Apprendiamo a sera che uno degli strani capelloni in circolazione a Orgosolo e nella zona è stato invitato in commissariato e che un deputato ne ha sollecitato il rilascio. Con lui erano altri quindici o venti individui che le forze dell'ordine hanno identificato provenienti tutti da altra provincia.”

«L'Unità»:
“Una parte dei pascoli verrà ridata ai pastori. Verso lo sbocco la battaglia ingaggiata dalla popolazione… Continua la lotta per la trasformazione agraria della zona. Gli onorevoli Pirastu (PCI), Sanna (PSIUP) e Gianoglio (DC) giunti stamane ad Orgosolo per riferire… Hanno detto di aver chiarito ai rappresentanti del governo che «la popolazione di Orgosolo non si è mai mossa per preconcetta ostilità verso l'esercito, ma per salvare la propria economia rappresentata in gran parte dai pascoli comunali»…”

«L'Unione Sarda»:
“Accettati i cinque punti proposti dal ministero. Finita la guerra, Orgosolo fa festa… Gruppi di maoisti giunti da Cagliari e Sassari per turbare l'assemblea popolare invitati seccamente a pensare ai fatti propri da una popolazione che ha riacquistato nel dibattito civile il senso della misura democratica…”

«Controstampa» degli studenti:
“Il 25 appare la notizia di un accordo raggiunto tra delegazione orgolese e ministero della difesa. I cinque punti dell'accordo di cui dà notizia la stampa non sono un passo avanti: il campo militare rimane anche se ne studia la riduzione, si ha solo la promessa che non sarà permanente; si studieranno nuove forme di indennizzo; si promette di stendere a Orgosolo l'acquisto di carne per l'esercito (come se fosse questo il senso della lotta); si parla di consultazioni democratiche prima di istituire nuovi campi di addestramento (ma questi è più la minaccia di creare nuovi campi si addestramento che un modo per risolvere il problema di Orgosolo). L'accordo di cui si parla, quindi, mentre crea illusioni di miglioramenti economici, non entra invece nel merito del problema principale: la occupazione militare! A questo punto potrà esserci una stasi della lotta ma la popolazione di Orgosolo è decisa ad andare avanti nella lotta contro la repressione militare e lo sfruttamento.”

26 GIUGNO
«La Nuova Sardegna»:
“A Orgosolo le trattative sono subentrate alla lotta. Pochi pastori e molti militari. Non c'è stata assemblea popolare. Falliti i tentativi degli estremisti.”

«L'Unione sarda»:
“Raggiunta l'intesa sugli indennizzi… C'è ancora chi si diverte a soffiare sul fuoco anche se ormai del grosso incendio dei giorni scorsi non sono rimaste che le ceneri: centinaia di pastori ancora una volta (dicono: a scopo dimostrativo) hanno, infatti, invaso il poligono di tiro di Pratobello. E questo mentre in prefettura una delegazione… discuteva coi rappresentanti militari della brigata Trieste…”

«L'Unità»:
“Delegazioni di pastori e operai di Orgosolo a colloquio con il prefetto di Nuoro e con i comandanti militari. Tornata la normalità in paese… I soldati della divisione Trieste - che ora possono entrare in paese, essendo stata abolita l'assurda ordinanza che confinava gli orgolesi in un ghetto - vengono avvicinati dai giovani pastori e studenti con i quali fraternizzano. Ai militari viene spiegato che la lotta popolare dei giorni scorsi non era diretta affatto contro l'Esercito Italiano, come hanno scritto i benpensanti… ma partiva dalla esigenza di salvare l'economia della zona, basata fondatamente sui prodotti della pastorizia…”

27 GIUGNO
«La Nuova Sardegna»:
“Orgosolo: fine della contestazione… Assicurato lo svolgimento delle esercitazioni con garanzie per i pastori. Vanno via anche i capelloni. Per le manifestazioni di Pratobello condannati i tre orgolesi arrestati al Supramonte. Il processo si è svolto per direttissima. Pena variante da 7 a 10 mesi di reclusione.”

«L'Unione Sarda»:
“Condannati i tre pastori… 10 mesi di reclusione al giovane che aggredì un agente… Si è trattato di un processo breve e celebrato in un clima di distensione…”

«L'Unità»:
“Erano stati arrestati il 23-24 giugno. Condannati a Nuoro i pastori di Orgosolo. Sono stati però scarcerati perché le pene sono state condonate dal Tribunale…”

«Controstampa» degli studenti:
“Processo per i tre compagni arrestati sotto l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale e violenza. La sentenza è la seguente: P. Succu (manovale), 7 mesi di carcere (5 anni di condizionale); A. F. Castangia (pastore), 7 mesi di carcere (5 anni di condizionale); G. Spano (manovale), 10 mesi di carcere (5 anni di condizionale).”

8 LUGLIO
Il Circolo giovanile di Orgosolo distribuisce un ciclostilato:
“LAVORATORI CHE FACCIAMO? Puntualmente come sempre la macchina della repressione poliziesca si è messa in moto. Finita la spinta di massa di tutta la popolazione, la polizia si rimette a fare la voce grossa e cominciano a piovere le denunce. Come sempre, i colpiti della repressione sono tutti lavoratori che hanno lottato e continuano a lottare contro lo sfruttamento e contro tutte le forme di oppressione.
Oggi 8 luglio 1969, sono state notificate 23 denunce contro operai e pastori di Orgosolo a causa delle recenti manifestazioni contro le esercitazioni di tiro in territorio orgolese…
Tutti devono rispondere del reato di cui all'art. 140 (1° e 3° comma) del codice penale militare in tempo di pace, in relazione all'art. 14S.C., per aver forzato insieme la consegna, introducendosi e trattenendosi nell'interno di un poligono militare, stabilita da bandi precedentemente affissi nell'ambito del comune di Orgosolo dal Comando Gruppo artiglieria da campagna Trieste e dal Comando 40° Regg. Fant. Bologna, che prescrivevano lo sgombero dal poligono stesso di persone, animali e cose…”

9 LUGLIO
Si tiene un'assemblea popolare promossa dal Circolo giovanile. Tutti sono d'accordo nel dichiararsi corresponsabili dei fatti imputati ai 23 denunciati e propongono di sottoscrivere una dichiarazione.

10 LUGLIO
Circa un migliaio di documenti di corresponsabilità vengono firmati da donne, uomini, bambini che avevano preso parte alla manifestazione…

12 LUGLIO
“15 compagni del Circolo vengono invitati a presentarsi in commissariato per essere interrogati dal pretore. Non si sa per quale ragione. In effetti non si tratta che di un tentativo di intimidazione contro alcuni dei compagni più attivi del Circolo…” (Orgosolo, cronaca di una lotta, «Il Giornale», febbraio 1970).

OTTOBRE 1969

“20 compagni ritirano in tribunale il certificato dei carichi pendenti e vi trovano annotate dalle 2 alle 5 denunce per uno. Per la sola manifestazione di Pratobello e per un solo capo di accusa ci sono circa 60 denunciati. Alcuni compagni che chiedono il passaporto se lo vedono rifiutare per queste denunce… Come sempre a pagare sono solo i lavoratori. Nessun poliziotto viene denunciato” (Orgosolo, cronaca di una lotta, «Il Giornale», febbraio 1970).

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