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CAPITOLO TERZO

L’UNESCO - L’EDUCAZIONE DEL COLONIALISMO PERMANENTE

1 - I venditori di fumo.

La sigla UNESCO, degradata a livello internazionale, significa Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura: un mucchio di belle intenzioni.
Dopo la caduta del fascismo e la ristabilizzazione della democrazia parlamentare (una formula meno scoperta della borghesia nella gestione del potere e nella conservazione dei privilegi) nascono in Italia diversi enti e organizzazioni che si pongono lo scopo umanitario di educare, istruire, sensibilizzare il popolo perché sia presente nella “nuova realtà storica”, sul piano civico, politico, culturale.
Si tracciano due grandi linee, quella cattolica e quella laica, che a furia di dialogare in una marea di convegni, stages, seminari, simposi e congressi finiranno per fondersi e confondersi l’un l’altra. I comunisti agiscono nell’ombra in attesa della grande operazione detta del compromesso storico: da un lato si preoccupano di formare quadri dirigenti attraverso le loro scuole di partito e dall’altro forniscono allo schieramento laico una loro massiccia presenza culturale, senza però riuscire a strumentalizzare le organizzazioni e i movimenti in cui si infiltrano - escluso l’ARCI, che è uno degli ultimi arrivati nel settore.
Di parte cattolica, tanto per citarne alcuni (che ritroveremo più avanti) sono le ACLI, l’ONARMO, l’UNRA Casas, l’ISES (prodotto del connubio cattolico-socialista con il centro-sinistra); di parte laica l’UNLA, l’AILC, il MCC, l’Umanitaria.
Ma chi ha poderosi mezzi e strumenti, chi egemonizzerà il settore della educazione popolare è l’UNESCO, espressione del capitalismo USA, che a guerra finita si ritrova tecnologicamente lanciato, affamato di profitti. Non può trascurare un settore come questo che gli permette l’asservimento ideologico e il controllo dei popoli nei Paesi Satelliti e in quelli dove è previsto un processo di invasione e colonizzazione.
La presenza nell’ONU di paesi come l’Unione Sovietica e satelliti, come quelli del Terzo Mondo, non preoccupano le teste d’uovo dell’UNESCO, che riescono in virtù dei dollari a estromettere i concorrenti e ad appianare le divergenze, facendo di una organizzazione mondiale il caposaldo della “cultura occidentale” (leggi: “colonialismo di razza bianca”).
Maria Luisa Paronetto Valier (nobildonna segretario generale della Commissione italiana) fa l’apoteosi democratica dell’UNESCO:

«... luogo privilegiato in cui la realtà si riflette e riflettendosi diviene oggetto di analisi, confronti, dibattiti dai quali trae sovente origine un modo nuovo di considerare i problemi del nostro tempo e di agire per risolverli. La grande organizzazione internazionale si trova infatti nella singolare posizione di non potere, in quanto organismo intergovernativo, sovrapporsi a nessuna delle sue parti e di dover quindi attendere i tempi lunghi in cui i problemi maturano e sono recepiti a livello delle singole politiche governative. D’altro lato, in quanto responsabile di materie che, per la loro stessa natura, trascendono la sfera della competenza governativa, essa accelera la circolazione delle idee, stimolando così la presa di coscienza, a livello mondiale, delle realtà nuove e delle nuove esigenze».(1)

La realtà che si riflette nell’UNESCO, e in essa viene analizzata, confrontata e dibattuta, è l’immagine che della realtà danno i lacchè dell’imperialismo USA, governanti, accademici, baroni della cultura ufficiale; ma non è la realtà del popolo che essi presumono di educare. I problemi che vi si considerano (in “modo nuovo”) non sono i problemi che il popolo si pone per realizzarsi nella libertà; al contrario sono i problemi che urgono all’oppressore per massificare il popolo con una acculturazione dosata scientificamente ai fini dell’assoggettamento e dello sfruttamento. Può anche essere vero che l’UNESCO ha proposto nuove metodologie - tecniche, modi e tempi - educative, ma soltanto all’interno (e in funzione) di una ideologia borghese liberale e socialdemocratica con sfumature laiche e paludamenti clericali: ideologia “avanzata”, espressione e puntello della politica imperialista del capitalismo internazionale.
In un primo tempo, gli esperti dell’UNESC0 ritengono che l’azione educativa dell’organizzazione avrebbe dovuto avere come fulcro la diffusione della scuola e dell’alfabeto. Più tardi, dopo faticose elaborazioni teoriche e pratiche, essi approdano al concetto di “educazione permanente”. Grande merito dell’UNESC0 - è stato scritto - in quanto sul tema dell’educazione permanente «sembrano felicemente confluire le esigenze di carattere culturale ed intellettuale e gli impegni di carattere etico e democratico che avevano presieduto alla concezione e impostazione della sua missione educativa».(2)
In altre parole, alla scoperta del processo educativo permanente si associa “felicemente” la presenza permanente dell’UNESCO, battistrada del colonialismo, nei paesi sottosviluppati.
In pratica si tratta di formule che di nuovo e di rivoluzionario hanno soltanto il nome. Molto semplicemente e da sempre l’uomo sa che il processo educativo dura quanto tutto l’arco di una vita: non si fa altro che istituzionalizzare, per meglio condizionare e incanalare, questo naturale processo di crescita culturale.

2 - Elsinör culla dell’educazione.

La vocazione educativa dell’UNESC0 nasce ufficialmente con la conferenza internazionale tenuta a Elsinör, in Danimarca, dal 16 al 26 giugno 1949. L’obiettivo è quanto mai ambizioso, e alla organizzazione, d’altro canto, non mancano i mezzi: proporre la gestione dell’educazione degli adulti in tutto il mondo (quello occidentale, più l’immensa fetta di mondo colonizzato e che si va faticosamente liberando dalla colonizzazione, su cui allunga i tentacoli l’imperialismo yankee).
La scelta di Elsinör muove da profonde motivazioni storiche: in Danimarca si ritrova la culla borghese della educazione degli adulti. E’ la terra dove il curato Grundtvig e il calzolaio Kold hanno promosso per primi in Europa scuole per il popolo analfabeta e ignorante.
C’erano, è vero, altre “culle”, ma meno ortodosse: in Francia, iniziative di educazione popolare stimolate dalla ideologia laica e libertaria dell’Illuminismo; in Inghilterra, dove la 1a Internazionale discusse e promosse attività di educazione politica dei lavoratori; in Italia, dove il movimento contadino e operaio costituì una fitta rete di università popolari e di organizzazioni che avevano per scopo l’elevazione culturale, civile e politica del popolo.
Alla conferenza di Elsinör parteciparono 34 paesi membri dell’UNESCO (costituito nel 1945, tre anni prima). I 79 delegati appartenevano tutti all’America del Nord e all’Europa occidentale: 14 per la prima e 54 per la seconda. 11 delegati rappresentavano il resto del mondo; 1 per l’Africa (l’Egitto) e 1 per l’America Latina, il messicano Jaime Torres Bodet, direttore generale della organizzazione.
Gli interventi di rilievo sono di J. Torres Bodet, che parla di educazione alla responsabilità; di Jean Guéhenno, che parla di educazione popolare in rapporto alla crisi della civiltà; Joffre Dumazedier, che si occupa del contenuto dell’educazione degli adulti; infine di Sir John Maud, che svolge la relazione sul significato dell’educazione degli adulti.

J. Torres Bodet: «La collaborazione internazionale, garantita durante la guerra dalle alleanze militari, si presenta nuovamente, ora che è tornata la pace, come un ideale cui non si giungerà senza un adattamento assai delicato di aspirazioni contradditorie e discutibili. Dal momento in cui si è dissipato il pericolo di scomparire in comune, i paesi si interrogano sul modo di esistere in comune. L’educazione degli adulti dovrebbe prendere come presupposto l’idea che necessariamente presiede ad ogni istituzione di ordine internazionale: quella della fraternità del destino umano. In fondo non si tratta tanto di insegnare all’adulto una determinata arte, una determinata scienza, ma di istruirlo in una disciplina più vasta, in cui stoltamente noi lo supponiamo già erudito: la vita stessa».

J. Guéhenno: «Saper leggere, scrivere e far di conto: abbiamo la prova che decisamente questo non basta. Anzi arriviamo a domandarci se questa specie di semi-cultura non prepari in certo modo degli sciocchi, degli schiavi più facili. La questione è di aiutare ciascuno a situarsi nel suo tempo e in tutti i tempi. Gli uomini non comprendono bene se non quando si parla di loro stessi. Bisogna dunque anzitutto informarli sul loro lavoro, poiché sono dei lavoratori».

J. Dumazedier: «L’educazione degli adulti è opera di uomini generosi che si sono ribellati contro l’ineguale ripartizione dei beni culturali. Ma quest’opera non avrebbe ottenuto un tale successo se non avesse corrisposto ad una necessità storica. La scoperta della macchina a vapore e dell’elettricità ha provocato il concentramento di potenti mezzi di produzione; grandi masse si sono trovate riunite nelle città e nei loro sobborghi... Accanto all’insegnamento elementare, tecnico, secondario, superiore, prendeva corpo un quinto ordine di insegnamento: l’educazione degli adulti. L’educazione degli adulti concepita nella sua forma più moderna, parte dalle condizioni reali della vita per permettere a ciascuno di viverla con pienezza. Non è distribuzione di conoscenza, ma iniziazione dell’arte di vivere la vita quotidiana... La vera cultura nasce dalla vita di oggi... come potrà una... cultura tradizionale, sia pure rinnovata, fornire tutti gli elementi per una educazione degli adulti? L’Epoca moderna ha un suo proprio linguaggio e suoi propri problemi... Tutto si evolve. Quale cultura potrà dunque convenire alla formazione dei lavoratori di questo secolo? In realtà la nostra Epoca è alla ricerca della sua cultura... Non si tratta di creare una cultura per pochi, ma per tutti».

Sir J. Maud: «Credo che il senso dell’educazione degli adulti consista semplicemente nel fatto che essa può liberare gli uomini e le donne dal sentimento di essere soli e privi dì significato e disarmati... Il mio primo principio è dunque che ciascuno di noi deve avere la sua propria concezione della vita. E dichiaro qui in tutta franchezza che la mia è quella che chiamerei una concezione cristiana. Sant’Agostino aveva ragione di dire: Homo capax Dei... Il mio secondo principio si applica ai nostri allievi. Direi che in materia di educazione degli adulti l’allievo deve essere sempre sovrano... Il mio terzo principio è che l’educazione degli adulti è un fine a se stessa. La ricerca di una concezione di vita che ciascuno dei nostri allievi, in base al nostro primo principio, deve proporsi, è un processo che non ha termine; fa parte della vita ed è un fine in se stessa... L’educazione degli adulti è essa stessa parte della vita. Il principio seguente è che il gruppo ristretto è il quadro più adatto alla ricerca indefinita di cui ho parlato... è nei piccoli gruppi, quale sia la loro natura - gruppi politici, religiosi, economici, locali, organizzazioni femminili, sindacati, ecc. - che si comincia ad acquistare la forza e il sentimento di questa forza e ci inizia all’arte di vivere in società... Più si sviluppa attraverso questi gruppi l’educazione degli adulti e più l’educazione degli adulti acquista vigore, contribuendo a fare della comunità una vera comunità, rendendo ogni gruppo più solidale. Ma è evidente che se il piccolo gruppo è all’origine dello sforzo personale di educazione, esso non ne è il fine. Dobbiamo tutti riconoscere (e sarà il mio quinto principio) che la solidarietà può esistere tra gruppi diversi, così come esiste all’interno di ciascuno di essi. Ciò mi conduce al mio ultimo principio, il sesto. Questa solidarietà non deve esistere soltanto entro il quadro della nazione... Il movimento per la educazione degli adulti deve divenire un movimento mondiale».(3)

Queste le linee ideologiche da cui muoveranno i diversi progetti di intervento di educazione degli adulti nel mondo occidentale e nel Terzo Mondo.
Al di là degli assunti liberali, balza evidente un dato di fatto che fa riflettere: già a livello teorico, il piano di intervento è strutturato, programmato e realizzato da una élite - che si è attribuita una specializzazione - che si rivolge non all’uomo, a se stesso, ma agli “altri”, agli uomini da educare, principalmente ai lavoratori. Siamo ben lontani dalla realizzazione di organizzazioni educative e culturali popolari, sviluppatesi nel seno stesso delle organizzazioni politiche e sindacali dei lavoratori nella seconda metà del secolo scorso, dove sono gli stessi lavoratori, contadini e operai, a crearsi - al di fuori e contro le istituzioni dello Stato - le loro scuole, i loro centri di cultura, i loro giornali: strumenti concepiti consustanziali alla lotta di liberazione dallo sfruttamento.
Vediamo criticamente alcuni degli assunti ideologici emersi nella conferenza di Elsinör:

Bodet. La collaborazione internazionale in tempo di guerra garantita dai trattati militari viene proposta come la controfaccia della collaborazione internazionale in tempo di pace, realizzata da un nebuloso solidarismo umano, derivante da una presunta “fraternità del destino umano”. Se si fa riferimento al comune destino naturale fra le creature viventi, comune non soltanto all’uomo, per cui si nasce e si muore, il discorso può anche reggere; ma in una società basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dove esistono “destini” degradati e “destini” privilegiati, la solidarietà non è possibile se non tra i componenti di ciascuno di questi due “destini”, in inconciliabile lotta tra loro.

Guéhenno. Arriva a scoprire che il saper leggere, scrivere e far di conto non basta; che le istituzioni borghesi di educazione, alfabetizzando il popolo lo hanno sottoposto, con una specie di “sottocultura”, a un processo di rimbecillimento. Alla borghesia, adesso, con lo sviluppo industriale e l’invasione del capitale, interessa che il lavoratore “sia informato sul suo lavoro”, diventi un operaio preparato a produrre al massimo delle sue capacità per dare il massimo profitto al padrone.

Dumazedier. Prosegue sulla stessa linea, pur mettendo l’accento sull’educazione in funzione della preparazione “all’arte della vita”. Quando parla di una cultura non per pochi ma di tutti, non è verosimile che parli onestamente: infatti, o è la propria cultura, quella di cui il Dumazedier è rappresentante, cioè quella borghese, che egli vuole diffondere agli altri che non sono borghesi, cioè ai lavoratori; oppure è la cultura del popolo che egli vuole diffondere tra i membri della classe sociale di cui fa parte, acquisendola egli stesso. Insomma: quale cultura, quella degli oppressori o quella degli oppressi? In altre parole: non si può parlare di una “cultura per tutti”, senza aver prima dichiarato che si è per l’uguaglianza economica, sociale, politica di tutti gli uomini. Soltanto se il Dumazedier fosse stato un socialista libertario e non un venditore di fumo dell’UNESCO avrebbe potuto dare un senso non equivoco alla sua affermazione. Non ci potrà mai essere una cultura uguale per tutti gli uomini fintanto che tutti gli uomini non saranno uguali.

Maud. Il significato dell’educazione degli adulti espresso sistematicamente attraverso i suoi “sei principi” può anche apparire allettante, se non fosse visto, ancora una volta, dalla parte di chi paternalisticamente sta elargendo formule filosofiche liberatorie all’umanità ignorante e alienata. Ignorante e alienata perché? Manca in Maud il discorso politico - come è stato rilevato da più parti - che sveli le cause che determinano l’ignoranza e l’alienazione. E’ assurdo pretendere di poter eliminare l’ignoranza, o quanti altri mali culturali affliggono l’umanità, senza voler rimuovere le cause che questi mali determinano.
A titolo di cronaca, in contrasto con le dichiarazioni, in particolare del Guéhenno (che privilegia l’educazione degli adulti nei confronti del leggere scrivere e far di conto), un anno dopo Elsinör, alla conferenza generale del 1950 a Firenze, «la lotta contro l’analfabetismo veniva a fare parte del programma UNESC0 con la denominazione di educazione di base».(4)
Si faranno così salvi i numerosi enti di alfabetizzazione (in Italia l’UNLA); se ne promuoveranno altri nei paesi del Terzo Mondo; saranno, nelle aree più depresse del mondo, alcuni dei canali attraverso i quali passerà il processo di acculturazione colonialistica dell’imperialismo yankee, per lo smantellamento delle culture autoctone e delle economie indigene, per un funzionale assoggettamento dei popoli, per la rapina sistematica delle risorse naturali e per lo sfruttamento totale del lavoro umano.

3 - Montreal: i ricchi aiutino i poveri.

Dal 21 al 31 agosto 1960 l’UNESC0 tiene la conferenza di Montreal, su invito del governo canadese. Tema della conferenza: “L’educazione degli adulti in un mondo in trasformazione». La dichiarazione conclusiva ha per titolo: “Il ruolo della educazione degli adulti e il mantenimento della pace”.
Sono presenti a Montreal 51 Stati con 174 delegati; di questi, 23 appartengono al “mondo occidentale” capeggiato dagli USA e 28 appartengono al Terzo Mondo: 8 per l’Africa, 8 per l’America Latina, 12 per l’Asia. L’Italia è assente, nonostante figuri una delegazione ufficiale del ministero della P.I. - ai lavori non è stata vista: un mistero all’italiana non ancora appurato.
Il documento presentato dall’UNESC0 muove da un bisogno di superamento della posizione liberale nella educazione che disconosceva il fatto sociale, l’influenza che la società nel suo evolversi ha sui fini e sui metodi educativi.

«L’educazione degli adulti, quindi - sintetizza Lorenzetto - non può essere più considerata una educazione di recupero e avere un ruolo marginale. Essa costituisce la testimonianza del carattere continuo del processo educativo, in modo da permettere la piena e libera partecipazione di tutti i cittadini al progresso della società umana. La società contemporanea deve trovare un equilibrio fra la necessità di estrema specializzazione nel campo della conoscenza e della produzione, e la necessità e la capacità di organizzazione della stessa società».(5)

La dichiarazione programmatica che esce dalla conferenza di Montreal suscita all’interno stesso dell’adunata dubbi e perplessità. Si riportano alcuni fra i più significativi brani del documento.

«La distruzione dell’umanità e la conquista dello spazio sono diventate tecnicamente possibili per la presente generazione. Queste sono le più importanti (sic!) manifestazioni del progresso tecnico, ma non solo le sole (meno male! - n.d.a.). I nuovi metodi industriali, i nuovi mezzi di comunicazione raggiungono tutte le parti del mondo... Le trasformazioni dalle quali dipenderà la nostra maniera di vivere durante la seconda parte del XX secolo non saranno solamente di ordine tecnico. In grandi aree del mondo la popolazione aumenta rapidamente; emergono nuovi Stati... Nostro primo problema e quello di sopravvivere... Per sopravvivere, occorre che i Paesi del globo imparino a coesistere nella pace... Il mutuo rispetto e l’armonia sono qualità che l’ignoranza distrugge e che il sapere sviluppa. L’educazione degli adulti assume una nuova importanza per la comprensione internazionale...».(6)

L’analisi degli “esperti” dell’UNESC0 sprofonda in un baratro apocalittico: siamo alle soglie della fine del mondo; se gli uomini vogliono sopravvivere devono trovare tra loro un accordo; per trovarlo devono istruirsi nei corsi serali. Si realizzerà così, nel “mutuo rispetto”, l’armonia universale - sembra di essere approdati alla utopia del Fourier.
Ciò che non viene chiarito è “chi” e “quali interessi” abbiano portato l’umanità sulla soglia della distruzione. Fanno capolino le terrificanti armi nucleari, manca ancora il discorso ecologico sulla degradazione del pianeta, che prima o poi approderà all’UNESCO.
Altro concetto equivoco è quello relativo alla ignoranza che distrugge e al sapere che crea e, in particolare,“sviluppa il mutuo rispetto, la comprensione e l’armonia” tra gli uomini. Ignoranza popolare? Sapere borghese? Si sta parlando di fatti concreti o di entità noumeniche? Per quel che la storia ci insegna, il sapere borghese è in funzione del potere che è causa delle divisioni tra i popoli, delle guerre, dei conflitti sociali. Nella sua ignoranza (relativa al sapere del sistema oppressore), il popolo dimostra di saper vivere in pace, di attuare il mutuo rispetto e di volere l’armonia.
Più avanti il documento si occupa dell’educazione nei Paesi del Terzo Mondo:

«I Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, che ai giorni nostri sperimentano un rapido sviluppo, hanno i loro problemi particolari. Per tali Paesi, l’educazione degli adulti, e con essa la vittoria sull’analfabetismo, costituisce una necessità tanto urgente e decisiva che occorre fino da oggi aiutare gli uomini e le donne di questi Paesi... Questi Paesi hanno pochi beni immediatamente utilizzabili, mentre le loro necessità sono immense. I più ricchi hanno l’opportunità di aiutare i più poveri: faranno così un atto di saggezza, di giustizia e di generosità che avrà risonanza nel mondo intero...».(7)

Si parla del Terzo Mondo come di Paesi “particolari” ai quali bisogna riservare una educazione “particolare”. Si configura una educazione differenziata secondo la situazione economica dei vari Paesi: siamo alla teorizzazione delle culture da ghetto.
Il problema della educazione dei popoli del Terzo Mondo se mai andava posto in termini ribaltati: uguagliare, non differenziare. Uguagliare nella ripartizione dei beni. Le differenziazioni tra culture derivano dalla crescita libera di ciascun popolo e di ogni individuo; da questa constatazione nasce il principio libertario dell’armonia delle diversità che ubbidisce alla legge del divenire naturale.
Per gli esperti dell’UNESCO, invece, le differenziazioni tra culture non sono viste come “proprie e insostituibili” di ciascun popolo, ma privilegiate e gerarchizzate come civili e incivili, dando così la giustificazione alla “civiltà” del più forte per l’assoggettamento e il genocidio dei “selvaggi”.
E’ mistificatorio parlare di popoli sottosviluppati, di popoli che hanno necessità immense e non hanno beni propri. I popoli sono sottosviluppati in quanto sfruttati dalla colonizzazione e dalla emarginazione. Senza colonizzazione ed emarginazione non esiste sottosviluppo. In ogni area geografica in cui vivono insediamenti umani vi sono risorse sufficienti alla sopravvivenza. Nel caso specifico dei Paesi del Terzo Mondo, nelle loro terre vi sono risorse di materie prime più di quante non ce ne fossero o ne siano rimaste nei Paesi “civili”, dopo la dissennata utilizzazione che ne ha fatto il capitalismo.
Si dirà che quei popoli sono a livelli tecnologici bassi e non sanno sfruttare scientificamente le risorse che possiedono.
Ma ogni popolo utilizza (e dovrebbe essere lasciato libero di farlo) le proprie risorse in rapporto alle proprie capacità e alle proprie esigenze.  Gli scambi e la collaborazione tra i popoli - con tecnologie diverse, cioè con scelte di sviluppo non necessariamente basate sulla industrializzazione di tipo capitalistico - configurano un “convivere armonioso” ben diverso da quello dove i popoli più forti (perché tecnologicamente più complessi) rapinano ad altri popoli il loro patrimonio perché “non sanno sfruttarlo”.
Teorizzata l’educazione “differenziata” per i popoli “sottosviluppati”, il documento UNESC0 - bontà sua - ammette che:

«L’educazione degli adulti non è necessaria solamente nei Paesi in via di sviluppo. Nei Paesi sviluppati, una formazione tecnica e professionale è ritenuta sempre necessaria; ma questo non è ancora sufficiente... L’uomo è un essere complesso, con bisogni multipli... è al complesso di tali bisogni che l’educazione degli adulti deve provvedere...».(8)

Nei paesi sviluppati - se non abbiamo capito male - le istituzioni educative si confondono con i supermarket, che provvedono a pagamento al soddisfacimento dei “bisogni multipli” - dalle vitamine alla carta igienica.
Lorenzetto, funzionario dell’UNESCO, sotto il titolo “Il compromesso di Montreal” muove una critica di fondo ai contenuti politici della conferenza:

«... con l’accogliere il mondo analfabeta, il mondo dei poveri delle ex colonie, il mondo delle classi diseredate accanto a quello dei Paesi industrializzati, la Conferenza di Montreal compiva un gesto rivoluzionario, una rottura con il passato. Ma questa rottura avrebbe dovuto portare al cambiamento delle categorie filosofiche del terreno educativo, cioè a un nuovo terreno educativo. Il ruolo dell’educazione su questo nuovo terreno non poteva essere soltanto quello tradizionale di conoscenza e interpretazione del mondo, secondo i canoni dell’ideologia borghese capitalistica, attraverso strutture educative a volte anche efficienti, ma selettive in senso classista; ma doveva divenire, per la forza stessa della necessità storica, quella di trasformare il mondo. Nel nostro contesto, di trasformarlo da un mondo di popoli analfabeti in un mondo di popoli liberi. Questa seconda affermazione a Montreal non ebbe luogo».(9)

L’affermazione che un popolo non si educa senza liberazione dalla oppressione “non ebbe luogo” a Montreal nel 1960. Ne potrà mai avere luogo, in buona fede, in un consesso di lacchè del capitalismo. Critiche marxistiche come quella di Lorenzetto, formulate a posteriori da funzionari stipendiati dalla organizzazione, rientrano nel gioco mistificatorio della “pluralità democratica” ora in uso anche all’interno del potere culturale.

4 - Teheran - la teorizzazione dei “Progetti Pilota”

Altra tappa importante nello sviluppo della teoria e della pratica educativa UNESCO - con tutte le ripercussioni ovvie nel mondo occidentale e quindi in Italia - è il congresso di Teheran, tenutosi dall’8 al 19 settembre 1965. Vi partecipano ministri dell’educazione statale e governanti. Sono rappresentati 88 Paesi. Sono presenti organismi e istituzioni delle Nazioni Unite, tra cui i vari Fondi e i vari OIT, OMS e FAO. Più un osservatore del Vaticano.
Il congresso ha lo scopo di lanciare la “Campagna mondiale di alfabetizzazione”, ed è stato preceduto da altre due grosse congressualità: Riunione Comitato Esperti in Materia di Alfabetizzazione, tenutasi a Parigi dal 18 al 28 giugno 1962; conclusa praticamente dopo un anno e mezzo, l’11 dicembre 1963, con la presentazione ufficiale della campagna alle Nazioni Unite; il Convegno Mondiale Alfabeto e Società, tenutosi a Roma dal 24 al 29 settembre 1962.
In quegli stessi anni, in tutte le scuole della Repubblica, gli insegnanti sono impegnati nel grande censimento per appurare gli indici di alfabetizzazione a livello nazionale: in Sardegna ci sono comunità con indici del 25-30% di analfabetismo. I dati provenienti da tutto il mondo verranno sciorinati a Teheran e serviranno agli operatori dell’UNESCO e alle filiali nei “Progetti Pilota”.
L’UNESCO riscopre non senza commozione “il dramma” dell’analfabetismo nel mondo. Questi i dati portati al congresso di Teheran del ‘65, relativi al 1962: su un miliardo e mezzo di adulti, gli analfabeti sono settecento milioni, arrotondati. Poco meno della metà dell’umanità in grado di intendere e di volere non sa né leggere né scrivere. Per quel che riguarda i fanciulli in età scolare, su 206 milioni (relativi a 85 paesi dell’Africa, Asia e America Latina) soltanto la metà circa (110 milioni) frequentano la scuola di base. Mancano all’UNESCO i dati relativi alla Sardegna e alle altre aree di colonizzazione interna, dove i piccoli in età scolare, in quel periodo, non frequentano la scuola dell’obbligo perché obbligati a lavorare.(10)
Tenuto conto della mancata frequenza di quei 110 milioni di bambini (ma sono soltanto una parte), gli esperti valutarono un aumento di 25-30 milioni di analfabeti che si aggiungeva ogni anno aumentando il numero di 700 milioni di analfabeti adulti.
Gli esperti fanno anche i calcoli delle spese necessarie a debellare l’analfabetismo nel mondo (escluso quello sotto l’ala sovietica e cinese, che hanno risolto la questione per conto proprio).
L’IEDES (Istituto Europeo Sviluppo Economico Sociale - della famiglia dell’OCSE, già OECE) calcola necessari per ogni analfabeta: se africano, 7 dollari; se asiatico, 5,25 dollari; se americano latino, 6,15 dollari. Non è chiaro in base a che cosa siano saltati fuori questi costi: le lavagne e i gessetti costano più in Africa che in Asia o gli Africani sono più testoni degli Asiatici? Comunque sono dollari che vengono addebitati agli stessi Paesi da “redimere”; dollari che escono dalle tasche del popolo per un totale di 40 miliardi che vanno a finire nelle tasche degli esperti e degli operatori dell’UNESCO - infatti, il lavoro vero e proprio di alfabetizzazione viene svolto, secondo i principi del programma, da animatori volontari, detti anche in codice OECE “leaders di comunità”.
E’ superfluo qui riportare anche parzialmente tutti i calcoli in dollari fatti dagli esperti dell’IEDES, i quali pensarono di cominciare con una prima metà di analfabeti, e di distribuire le spese in dieci anni, per risparmiare. Più probabile che nel disegno politico della campagna ci fosse l’intenzione di tirarla per le lunghe e restare il più possibile in quei Paesi da sfruttare con un alibi nobilissimo. Eppure, a Cuba, in quegli anni (1961) viene risolto nel giro di pochi mesi il problema dell’analfabetismo, senza un dollaro UNESC0.
Il congresso di Teheran viene inaugurato - come è stato scritto pomposamente - dallo Scià in persona, il quale apre anche i lavori con un discorso che quelli dell’UNESC0 definiscono “molto bello e ispirato”. Il discorso è bello, non c’è che dire, perfino rivoluzionario, di tipo radicale, come si vedrà dai brani riportati più avanti; ispirato, certamente: da quelli che tiravano i fili nell’UNESC0 e nei sommovimenti petroliferi nel Medio Oriente.
Il discorso dello Scià si articola su tre punti: a) “Intorno a noi, in noi tutto cambia"; se tutto cambia e tutto si trasforma; b) “la lotta contro l’analfabetismo è una necessità storica”; ergo l’analfabetismo va debellato. Come? Qui lo Scià lancia la incredibile proposta: c) per il 1962 le spese militari sono state valutate a più di 120 miliardi di dollari. Accettati come validi i calcoli degli esperti sul costo della campagna di alfabetizzazione, sarebbe sufficiente stornare meno di un trentesimo del totale annuo delle spese militari per recuperare 700 milioni di analfabeti!
Non è neppure il caso di dire che neanche una lira, anzi neanche un cent di dollaro - unità di misura privilegiata - venne mai stornata dalle spese militari, che aumentarono e aumenteranno sempre più: entità sacre neppure sfiorate da recessioni o simili malanni che affliggono il capitale nei rapporti con il mondo del lavoro. Tuttavia la battuta dello Scià di Persia fu di grande effetto.
Altro piatto forte ammannito a Teheran fu quello italiano del ministro Gui - grande educatore ed esperto in dollari. Il nocciolo del suo discorso è tutto nel concetto che l’alfabetizzazione è un momento del processo di educazione dell’uomo.

Dice Gui: «L’accento che noi poniamo sul fatto che l’opera di alfabetizzazione può realizzarsi, fin dal suo nascere, nelle forme e nei modi della educazione degli adulti, e cioè come dato “culturale” e non “strumentale”, attraverso la partecipazione attiva dello stesso analfabeta alla sua alfabetizzazione e il suo inserimento in una società che è chiamato a costituire dal di dentro, ci ha portato ad affermare che esistono due tipi di educazione degli adulti: una è quella classica, nata più di cento anni fa, e che tutti conosciamo e ammiriamo; l’altra è l’educazione degli adulti “nuova”, l’alfabetizzazione, ma che ha diritto al titolo di educazione degli adulti perché ha con questa, in comune, principi ed elementi fondamentali. La riflessione e la distinzione sul carattere di “scelta” dell’educazione degli adulti classica e su quello di “necessità” dell’educazione degli adulti che sorge dall’alfabetizzazione, così come sono state fatte in Italia, in relazione ai presupposti filosofici dell’una e dell’altra educazione, possono portare alla enunciazione di alcuni principi metodologici generali per identificare quando l’alfabetizzazione è solo alfabetizzazione e quando invece è educazione degli adulti...».

Siamo nella sfera delle diatribe sul sesso degli angeli: se alfabetizzazione è o non è educazione e come, quando, perché e fino a che punto può essere una cosa a sé o una parte di un’altra cosa.
Il documento italiano, letto da Gui, calorosamente appoggiato dall’UNLA, viene approvato. Si intitola “La nuova educazione degli adulti che sorge dalla alfabetizzazione”.
Un altro documento, di ben altro rilievo seppure non ebbe e non ha ancora giusta risonanza, che varrebbe la pena trascrivere per intero, è quello di Cuba, presentato non ufficialmente. E’ in pratica un rapporto sulla campagna di alfabetizzazione portata avanti a Cuba nel 1961.
Il 29 agosto 1960, in un discorso all’ONU Fidel Castro proclama:

«Nell’anno prossimo intraprenderemo la battaglia contro l’analfabetismo. L’anno prossimo dobbiamo assegnarci una meta: liquidare l’analfabetismo nel nostro Paese. Come? Mobilitando il popolo... con le brigate, con la milizia contadina e operaia: che ciascun miliziano contadino contragga l’impegno d’onore di imparare a leggere e a scrivere, se è analfabeta.
E chi insegnerà? Il popolo. Bisogna mobilitare il popolo per intraprendere la battaglia contro questo nemico del popolo che è l’analfabetismo».

Inizia il lavoro preparatorio, che dura pochi mesi. Il 1° gennaio 1961 inizia la campagna popolare. L’opera fu svolta dai brigadisti: età media dai 14 ai 16 anni. Il 5% apparteneva alla scuola primaria; il 32% alla secondaria; il 5% alla pre-universitaria; il 3% erano maestri di scuola primaria; il 2% studenti di scuole commerciali; il 2% di scuole magistrali.
Il 22 dicembre dello stesso anno Castro dichiara che Cuba è un “territorio libero dall’analfabetismo”.

Il documento cubano conclude:
«Il segreto del successo della campagna fu individuato in un fatto molto semplice, molto antico e estraneo a precisi mezzi tecnici: il rapporto umano. Fu individuato, in quelle reazioni a catena, intellettuali, sentimentali, psicologiche, di quando nasce un rapporto tra un essere umano e altri esseri umani. Il campesino forse in tre anni, attraverso la radio e la televisione, gli accorgimenti tecnici e pedagogici, sarebbe divenuto un campesino alfabetizzato, ma non un campesino rivoluzionario. Attraverso l’opera degli alfabetizzatori, dei brigadisti, divenne alfabetizzato e rivoluzionario...».

5 - Un nuovo settore di investimento

Nel periodo che va dal congresso di Teheran (1965) alla conferenza di Tokio (1972), l’UNESCO porta avanti la sua campagna di alfabetizzazione riservata ai Paesi sottosviluppati attraverso “Progetti Pilota”. In Sardegna abbiamo una esperienza diretta dei “Progetti Pilota” promossi dall’esterno, e si avrà occasione di parlarne in altro capitolo di questo libro.
I “Progetti Pilota” furono portati avanti nei cinque anni compresi tra il 1967-68 e il 1972-73 in 10 Paesi (Algeria, Ecuador, Iran, Mali, Etiopia, Guinea, Madagascar, Tanzania, Sudan e Venezuela).
Va aggiunto che oltre i dieci “Progetti Pilota” elencati ve ne furono numerosi altri minori in Kenia, nel Niger, in Siria, in Tunisia, nel Cile, in Brasile, in Giamaica, in India, in Sardegna e ovunque gli imprenditori del capitalismo programmassero investimenti e impianti produttivi di tipo coloniale.
Diversi Paesi satellite degli USA contribuirono con i loro “esperti” a portare avanti il disegno di alfabetizzazione in funzione di insediamenti industriali nei Paesi sottosviluppati; in concerto contribuirono vari finanzieri e varie banche nazionali dei Paesi satellite.
Per quel che riguarda l’Italia, l’UNLA è una delle organizzazioni che fornisce esperti ed esperienze nel settore. Per la cronaca tre illuminanti avvenimenti:
1 - a Oristano, dal 6 al 18 dicembre 1966 si tiene un seminario internazionale cui partecipano tecnici e esperti; due anni dopo, a Roma, presso l’UNLA, nuovo seminario internazionale. Lo scopo dei seminari è quello di programmare i vari interventi dei “Progetti Pilota” nei Paesi sottosviluppati;
2 - nel 1969, a Roma, banchieri e capitalisti di diversa taglia si riuniscono sotto la direzione di Guido Carli, allora governatore della Banca d’Italia, per discutere il problema del finanziamento che l’Italia è disposta a concedere per l’operazione;
3 - un anno dopo, nel 1970, a Torino, si tiene la tavola rotonda promossa dalla fondazione Agnelli, con un tema esplicito: “L’integrazione dell’alfabetizzazione nei progetti di sviluppo economico. Il contributo delle aziende italiane”.
Gli assunti ideologici e le metodologie modernissime per la educazione degli adulti, sul tipo delle “lavagne luminose” e dei “film choc”, sono soltanto belle parole, un paravento dietro cui si nascondono interessi economici e politici che nulla hanno a che vedere con la liberazione dell’uomo dalla schiavitù dell’ignoranza e del bisogno.

6 - Tokio: l’educazione permanente

“L’educazione degli adulti nel contesto dell’educazione permanente” è il mirabile tema elaborato dai cervelloni vitaminizzati a dollari per la conferenza di Tokio (Terza conferenza internazionale), voluta dall’UNESCO e tenutasi dal 25 luglio al 7 agosto. E’ l’apoteosi della “educazione permanente”, dentro cui confluiscono tutte le “educazioni” possibili e immaginabili, da quella degli adulti a quella professionale, da quella ricorrente all’alfabetizzazione, da quella elementare a quella universitaria. E’ stata scoperta la formula magica che chiarisce e risolve una volta per tutte ogni problema educativo. Ciò che stupisce, leggendo i documenti della conferenza, è il fatto che si parli ancora molto di tutte le educazioni ma pochissimo di “educazione permanente”, che pur presumendosi di fondamentale importanza per il futuro culturale dell’umanità resta una nebulosa definizione.
A Tokio sono presenti delegazioni di 82 Paesi dell’America del Nord, dell’Europa e dei Paesi del Terzo Mondo. Presente anche l’Italia, rappresentata dal direttore generale dell’educazione popolare Saverio Avveduto, dal direttore dell’istituto di pedagogia di Cagliari Alberto Granese e da Giuliana Limiti docente di pedagogia comparata all’università di Roma.
La conferenza assume una certa rilevanza ideologica e politica soltanto nel momento in cui tenta di sfuggire dai binari UNESCO. Gli esperti del settore sono specialisti in teorie apolitiche, umanitarie, efficientiste, all’interno delle quali, con abilità acrobatiche, fanno confluire come in un pantano quei pochi fermenti innovatori che i “selezionati” delegati talvolta rappresentano e portano nel dibattito. Questo gioco mistificatorio entra in crisi a Tokio: bene o male sono presenti esponenti del Terzo Mondo, dove i popoli vivono il dramma dello sfruttamento e della repressione colonialista in termini sempre più pesanti.
I primi a impennarsi furono i delegati dell’America Latina, cogliendo l’occasione dalla discussione del tema sulla alfabetizzazione funzionale e sui Progetti Pilota. Saltò fuori - in particolare a opera del Perù che rispolverò il Freire - la necessità di una funzione rivoluzionaria dell’educazione, di coscientizzazione del processo di alfabetizzazione. E’ il momento di Cuba, che riporta l’esperienza fatta con il popolo e nel popolo e i risultati raggiunti nella campagna di alfabetizzazione. Va dato merito all’Italia (seguita dalla Finlandia) di essere stata la prima a sostenere nel dibattito la polemica aperta dal Perù.
Mentre la polemica muoveva - sia pure in forme larvate e in chiave revisionista - dallo scontro di ideologie e interessi diversi, precisamente da una visione socialista della realtà contrapposta a una visione liberal-borghese e quindi dalla contrapposizione degli inconciliabili interessi tra oppressi e oppressori, gli esperti dell’UNESCO portano lo scontro sul piano delle definizioni. Dicono: «A qualcuno non va giù il termine di “alfabetizzazione funzionale” e vorrebbe quello di “alfabetizzazione integrata”. Bene: si adotti il termine di “alfabetizzazione funzionale integrata”. E i dissensi ideologici sono appianati».
Al di là dei facili bersagli che i venditori di fumo offrono all’ironia - per altro la questione, dicono le cronache della conferenza, suscitò non poca ilarità tra gli stessi serissimi delegati a rappresentare le istanze di crescita di mezza umanità - bisogna riconoscere che qualcosa è accaduto perfino in un consesso promosso dall’UNESCO, ancorato al solito immobilismo efficientista. Almeno sul piano delle parole, a Tokio si sono prodotti gli spunti per un dibattito che verrà ripreso e portato avanti nei singoli paesi a livelli accademici, che è ancora in corso seppure un po’ giù di tono.
Intanto a Tokio, la stessa UNESCO per bocca del suo più autorevole rappresentante, il direttore generale, modifica d’un colpo le posizioni iniziali e fa proprie quelle dei “dissidenti”: precisamente sui contenuti di “educazione permanente”, di “cultura”, di “alfabetizzazione”, di “libertà” (o democratizzazione degli istituti scolastici).
Si riporta sui punti sopraddetti il testo del discorso di Maheu, direttore generale dell’UNESCO:

«... l’impasse in cui si trova l’educazione, l’esigenza di una formazione professionale continua, l’esplosione dell’informazione, la rivolta dei giovani, convergono in una situazione di crisi che tende a mettere l’educazione degli adulti in primo piano tra tutti i problemi dell’educazione: questi fattori convergono anche verso una stessa soluzione, che è, come voi avete fortemente sottolineato, il rinnovamento globale dei sistemi di educazione attraverso la nozione di educazione permanente...».

(La cultura) «.... a prescindere dal fatto che la scienza è uno dei principi dello sviluppo tecnologico che è l’oggetto principale della formazione professionale della quale noi abbiamo già sottolineato l’importanza nell’attuale educazione degli adulti, non si deve dimenticare che la conoscenza e lo spirito scientifico fanno parte integrante della cultura moderna… Educazione permanente e sviluppo culturale tendono sempre più a ricongiungersi sul piano delle realizzazioni e dell’azione concreta».

(La democrazia) «Se è stata accordata alla relazione tra l’educazione e il lavoro l’attenzione che merita, è anche vero che è stata fortemente sottolineata l’importanza di questa educazione che nasce dalla formazione generale, soprattutto in relazione alla vita civica. A questo proposito mi chiedo anche se non assistiamo ad una crescente identificazione delle nozioni che non ci sembrano diverse solo per il fatto che abbiamo preso l’abitudine di usarle in contesti e discorsi diversi. E’ per questo che nell’ascoltare le questioni... sulla scelta che oggi si impone ai responsabili della politica e della pianificazione dell’educazione degli adulti, io mi chiedevo se quello che noi chiamiamo educazione degli adulti non sia in effetti l’esercizio stesso della democrazia».

(L’alfabetizzazione e l’educazione degli adulti) «In effetti vi è tra le due una parentela profonda che manifesta una storia comune già lunga. L’educazione degli adulti è prima di tutto la democratizzazione dell’educazione. E poiché la deficienza della scolarizzazione è ancora così vasta, senza l’educazione degli adulti che si sforza di aprire in ogni momento della vita l’accesso all’educazione, non vi sarebbe in realtà nessun riconoscimento effettivo del diritto di tutti all’educazione. In questa prospettiva, l’alfabetizzazione ha la priorità. Come promettere a tutti l’educazione permanente quando un terzo dell’umanità è analfabeta?…»

(La libertà) «Ho parlato di democratizzazione dell’educazione. Bisogna andare più lontano e dire: l’educazione degli adulti vista nella prospettiva dell’educazione permanente, è l’educazione della democrazia. Certo non bisogna chiedere all’educazione, sia degli adulti che di altri, di risolvere totalmente il problema della società. Ma è bene prendere coscienza, come avete fatto, che l’educazione degli adulti è essenzialmente l’apprendimento della disciplina della libertà, e come tale insostituibile per il bene della collettività così come per la compiutezza dell’individuo»(11)

Il discorso di Maheu è di alta perfezione acrobatica. I delegati del Terzo Mondo tentano timidamente di correlare, almeno a livello teorico, l’esigenza di liberazione dalla oppressione all’esigenza di crescita culturale, appoggiandosi all’autorità del Freire che fa coincidere educazione e liberazione in un unico processo di crescita. Maheu fa propri questi concetti, ma li annacqua, li rivolta, li stravolge, e li inserisce sterilizzati e inoffensivi nel contesto del vecchio discorso reazionario dell’UNESCO.
In un mare di luoghi comuni impreziositi dalla pomposità dei vocaboli altisonanti, per esprimere concetti senza senso, Maheu scopre non uno ma un mucchio di parapioggia (o peracchi, come si dice da noi).
La cultura - ci erudisce - è costituita dalla “conoscenza e spirito scientifico”; intanto, comincia a chiedersi, dopo anni di ponderosi dubbi, “se quello che noi chiamiamo educazione degli adulti non sia in effetti l’esercizio stesso della democrazia”; per approdare, per l’ennesima volta, alla scoperta che, a parte tutte le categorie transustanziali di “educazione”, le fasi del processo educativo sono, gira gira, sempre tre: alfabetizzazione, educazione degli adulti generica, educazione permanente, cioè l’ultimo stadio della beatitudine educativa. Prima urge l’alfabeto, non si scappa, è inutile che la gente prema l’UNESCO per godersi “l’educazione permanente”; con profondo rammarico Maheu dice: “Come promettere a tutti l’educazione permanente quando un terzo dell’umanità è analfabeta?”
Passando a parlare di “libertà” il Maheu fa un polverone del diavolo: prima ha detto testualmente che “l’educazione è l’esercizio della democrazia”; poi specifica che “l’educazione è prima di tutto la democratizzazione dell’educazione”; quindi puntualizza meglio dicendo che l’educazione è “educazione della democrazia” (non alla, come aveva fatto capire precedentemente); e per concludere dice che l’educazione non è liberazione, non è neppure apprendimento della libertà, ma è, più raffinatamente, “apprendimento della disciplina della libertà”, che con la libertà non ha nulla a che fare.

NOTE AL CAPITOLO TERZO

1) Prefazione di M. L. P. Valier a Lineamenti storici e teorici dell’educazione permanente di A. Lorenzetto - 1976 - pag. XIII.
2) Ibidem - pag. XV.
3) A. Lorenzetto - opera citata - pagg. 15-21.
4) Ibidem - pag. 25 in nota 11.
5) Ibidem - pag. 66.
6) Ibidem - pagg. 67-68.
7) Ibidem - pag. 68.
8) Ibidem - pag.68.
9) Ibidem - pagg. 73-74.
10) Vedi dati relativi alla Sardegna in Mondo Giovane - anno II- nn.11/12 nov. dic. 1970.
11) A. Lorenzetto - opera citata - pagg. 293 e segg.

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