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Indice articoli


CAPITOLO QUARTO

L’EDUCAZIONE POPOLARE IN SARDEGNA

1 - Alle origini della questione

Riesce obiettivamente difficile tracciare, sia pure a brevi tratti, un quadro storico della educazione popolare in Sardegna dal secolo scorso fino al secondo dopoguerra, così come abbiamo fatto per l’Italia e gli altri Paesi europei dove sono esistiti movimenti educativi popolari almeno in parte documentabili.
Tale difficoltà è dovuta a due ordini di motivi.  Il primo alla mancanza nell’Isola di veri e propri organismi che si ponessero il problema specifico dell’educazione popolare, così come invece avvenne nella Penisola; dove, come si è visto, in particolare le Università popolari e le organizzazioni anarchiche e socialiste diedero vita a un movimento educativo e svilupparono una forte azione di riscatto culturale sociale politico nelle masse lavoratrici, nelle campagne e nei centri urbani.  L’assenza in Sardegna, in quel periodo, di un movimento educativo innestato al movimento di rivolta degli oppressi non può essere spiegato con valutazioni di assenteismo o di arretratezza del popolo sardo, e neppure con la condizione di isolamento geografico propria dell’Isola (se pure questa condizione va tenuta in considerazione), ma si spiega prevalentemente con la sua situazione di colonia - una realtà dove alla separazione, all’isolamento si aggiungono pesanti condizionamenti culturali che la diversificano dando luogo a sviluppi deformi in alcuni settori della vita del popolo e la paralisi in altri.  La storia anche culturale della Sardegna si confonde più che con la storia dell’Italia con quella dei Paesi coloniali del Nord Africa.  Il secondo ordine di motivi (connessi anche questi alla situazione coloniale dell’Isola) va individuato nella mancanza di ricerche e documentazioni su organizzazioni e istituti sociali che, seppure tipici della Sardegna, hanno certamente svolto, anche se in modo non specifico e non secondo formule europee, attività di educazione a livello di comunità:  per esempio, le organizzazioni mutualistiche, i gremi, i comitati legati a manifestazioni religiose, le associazioni operaie come quella dei battellieri di Carloforte o dei minatori del Sulcis, e altre.  Sta di fatto che, ancora oggi, in Sardegna, la ricerca storica è condizionata da scelte colonialiste e razziste, da scelte cioè che vengono imposte dall’esterno sulla linea della cultura ufficiale (liberal-borghese, cattolica e marxista-operaistica) e che vengono accettate dagli storiografi per ovvie ma poco onorevoli ragioni di opportunità (leggi:  carriera, potere, privilegi);  e quando anche, ai fini di una utilizzazione denigratoria o mercificante, viene fermata l’attenzione degli studiosi sulla cultura popolare sarda, è soltanto sugli aspetti del folclore, della etnologia e, con più fervore, dell’antropologia criminale.
Abbiamo quindi seguito, come traccia, l’unico studio reperibile ( o esistente?) sulla educazione popolare in Sardegna, quello di Elisa Spanu Nivola.(1)
Spanu Nivola premette che è importante, innanzitutto, fare una distinzione tra il concetto di “educazione popolare” come espressione di una concessione interessata di istruzione alle masse popolari e quello di “cultura popolare” come resistenza più o meno efficace al controllo ideologico correlato allo sfruttamento economico dei lavoratori.  Contrapposizione quindi tra una cultura egemone che produce istituti giuridico-formali a sostegno della propria accumulazione di potere economico e politico e quindi della propria identità e una cultura subalterna che riconosce nell’apparato giuridico-istituzionale la sanzione della propria inferiorità competitiva.

2 - La scuola sabauda

Durante il dominio sabaudo, “la scuola comunale o regia” pubblica o privata... è minuziosamente organizzata sotto l’autorità della Chiesa e dello Stato”(2);  la politica scolastica piemontese ha un carattere angusto, rigidamente accentratore;  viene curata particolarmente la formazione culturale della classe dirigente sarda che deve essere di stretta osservanza sabauda, e che viene affidata per la selezione e la preparazione ai gesuiti e agli scolopi.
Vi è in Sardegna, sempre, un netto distacco tra la “cultura culta” e il mondo della produzione e del lavoro, al quale sono riservati, a limite, i rudimenti del leggere, scrivere e far di conto.
La scuola elementare viene istituita nel 1823 con il Regio Editto del 24 giugno e vive fino al 1848 sotto la tutela della autorità ecclesiastica;  anche perché gli ecclesiastici erano i soli che sapessero leggere e scrivere.  A questo proposito, il Masala sostiene che la scuola per il popolo doveva “necessariamente affidarsi agli ecclesiastici...” e che “era impossibile provvedere al pagamento dello stipendio del maestro... alle spese di primo impianto delle scuole e all’occorrente per gli scolari”.(3)
Ciò non significa che il clero facesse scuola “gratuitamente”, prendendo in gestione dallo Stato tale servizio.  Significa che la Chiesa era l’unica organizzazione che aveva mezzi e strumenti per far funzionare questo servizio, col quale traeva dallo Stato ampi benefici e lo utilizzava inoltre per i propri fini di potere.
Per inciso:  il fenomeno si ripeterà ancora nell’Isola (e nella Penisola) dopo il fascismo mussoliniano, quando scoperta la “democrazia” si scopre che i cittadini devono essere “democratizzati”;  quando si sviluppa il processo industriale e bisogna adeguargli il cosiddetto “fattore umano”;  e lo Stato, mancando di istituzioni e strumenti propri per l’educazione strumentale degli adulti, affida a enti e organizzazioni private (compresi enti religiosi) questo importante compito.
Il regolamento della legge 24 giugno 1824 (relativo al precedente R.E. del 1823) non prescrive norme didattiche, approva semplicemente la diffusione di un manuale di metodica scritto da un parroco sardo, il teologo Maurizio Serra.
Nel 1841 vengono create nell’Isola, con le Regie Patenti del 7 settembre, una Ispezione generale, una vice Ispezione e tre scuole di metodo affidate ai quattro scolopi specializzati precedentemente nelle scuole dei Cherubini di Milano (così come nell’Italia repubblicana, gli “animatori” specializzati per la Sardegna vengono “preparati” in apposite scuole tipo Meina dell’Umanitaria).
Ci fu un fallimento completo nel primo tentativo di alfabetizzazione;  anche perché la preoccupazione della distinzione di classe si imponeva nettamente sulle considerazioni di ordine pedagogico.  Era infatti proibito ai maestri, sotto pena della destituzione, l’insegnamento della lingua latina (la chiave del sapere) nelle scuole elementari, destinate principalmente alla istruzione delle classi inferiori.
Nel 1848, con la legge Boncompagni, viene modificato in parte l’assetto strutturale della scuola, non mutandone la sostanza ideologica;  viene comunque ridotta l’ingerenza clericale.  (E’ di quel periodo la cacciata dei gesuiti dall’Isola.)

Nel 1849, si hanno anche in Sardegna i Consigli provinciali d’istruzione, i Provveditori di nomina regia e un Ispettore generale laico;  vengono proposti abbecedario e sillabario competenti pedagogicamente, ma viene completamente dimenticato il problema del rapporto dialetto-lingua.  Importante tra le iniziative culturali, nel 1851, la fondazione a Cagliari dell’Istituto di educazione di Efisio Contini, autorizzato dal Consiglio universitario.
Nella prima relazione del regio Provveditore agli studi di Cagliari risultano, nel 1852-53, 432 allievi frequentanti le scuole;  281 le scuole pubbliche;  145 le serali;  104 gli istituti privati.  Si nota già l’orientamento destinato a differenziare le due istruzioni di base:  la scuola primaria come preparatoria ai corsi successivi e la scuola del popolo relegata ai corsi serali e festivi;  questa situazione si consolida con la legge Orlando del 1904 che istituisce la quinta e la sesta classe.  Si struttura così la scuola borghese, finanziata dallo Stato, apparentemente aperta a tutti, ma sostanzialmente riservata alle classi abbienti.
Interessante notare che in questi anni, dal 1848 al 1861, il tasso di decremento dell’analfabetismo è molto basso (0,19 %).  La situazione non migliora di molto neppure con la legge Casati e con la legge Copino.
Dalle relazioni di Ispettori generali si rilevano le difficoltà incontrate dalla scuola nella provincia di Cagliari:  «Povertà dei comuni di campagna, noncuranza delle amministrazioni comunali, tenuità degli stipendi, poca cultura dei maestri e pochissima delle maestre, ignoranza e miseria delle famiglie, cattivo stato dei locali, difetto di suppellettili, di libri di testo e di materiale scolastico».(4)  Questa descrizione si attaglia perfettamente alla situazione attuale della scuola in Sardegna.
Non è indifferente lo sforzo che i comuni sardi affrontano per la scuola, riservando a questa, spesso, la maggior parte delle loro entrate.  Con la legge Daneo Credaro, 1911, la scuola diviene dello Stato;  i comuni hanno sempre però l’onere di «provvedere al riscaldamento, all’illuminazione, alle spese necessarie per l’acquisto, la manutenzione, il rinnovamento del materiale didattico, degli arredi occorrenti per tutte le scuole serali e festive».(5)

«Gli esponenti della classe dominante in Sardegna si occuparono della scuola nell’ambito dei loro interessi elettorali, lasciando in gran parte ai dirigenti scolastici il compito di consolidare l’ideologia patriottico-umanitaria e la funzione discriminante della scuola borghese nei confronti della educazione popolare».(6)

Per quel che riguarda la politica che ispirava la pedagogia rurale, è illuminante il brano che segue:

«L’ignoranza regna sovrana nella massa della popolazione rurale, massa...  sistematica nemica di ogni innovazione razionale.  Dessa (ignoranza) malauguratamente influisce sul prodotto delle nostre terre...  Istruite le masse rurali!  Istruite il contadino!  Ma per l’amor di Dio, non esageriamo questa istruzione e non fraintendiamola!...  Facciamogli conoscere il danno che reca alla terra rifuggendo dall’uso dei concimi, ma...  non lanciamolo nel ginepraio della politica;  sarebbe delitto.  Il contadino politicante è la rovina della sua classe, dell’agricoltura...  Questa luce che lo infesta...  lo distrae dal santo lavoro dei campi...  Incitiamolo a scalzare in tempo opportuno le piante e lasciamo ad altra classe sociale il preoccuparsi di scalzare ministeri!»(7)

Meno settaria l’analisi dei rapporti scuola-comunità di un maestro elementare su «L’Eco didattico»:

«Un maestro elementare deve guardarsi bene dal fare il saputello in materia di agricoltura;  non deve prendere, per così dire di fronte i pregiudizi...  degli agricoltori nostri...  A me pare invece che il maestro, ove ne abbia occasioni e mezzi, deve condurre gradatamente gli agricoltori alla conoscenza del vero.  Continuando ad ottenere un tale risultato è necessario però un individuo che eserciti sulla classe degli agricoltori un grande ascendente...  Ora il maestro elementare è ben lungi dall’avere questo ascendente ai tempi nostri!  Per gli agricoltori è impossibile, è una mostruosità che un uomo, non ricco, sappia».(8)

La situazione della scuola del popolo in Sardegna era tragica;  oltre la mancanza di organizzazione e autonomia culturale, c’erano le deficienze culturali dei maestri che non potevano accedere alla cultura ufficiale ed erano lontani anche dalla problematica socio-economica e socio-culturale dell’Isola.

3 - Il movimento per l’educazione popolare

Nelle altre regioni d’Italia si crea il movimento dei meridionalisti, che arrivano a un nuovo concetto di educazione popolare legato inscindibilmente ai problemi sociali ed economici;  i maestri sardi si sono sempre tenuti ben lontani dal prendere posizioni di un qualsiasi colore politico, e anche quando il maestro è integrato nella problematica della propria comunità non riesce a trovare una valida mediazione con la cultura esterna.
Il problema della lingua viene affrontato in modo sbagliato, cercando di favorire un processo di unificazione linguistica, privilegiando la lingua esterna, nazionale, mezzo di dominio ideologico e culturale, creando maggiori difficoltà agli insegnanti che non hanno possibilità di comunicare se non con la lingua madre.
Il movimento repubblicano e democratico crea le Società di mutuo soccorso, appoggiato dai movimenti mazziniani.  Queste Società hanno influenza però solo sulla piccola borghesia, sugli intellettuali e sugli artigiani, lasciando invece del tutto isolate le masse contadine e gli operai.  In Sardegna, le prime Società di mutuo soccorso hanno un carattere progressista e si interessano soprattutto dell’istituzione di corsi serali e di istruzione in genere;  i risultati sono però molto scarsi, anche per i tentativi continui di strumentalizzazione politica.
La presenza di queste Società non riesce a portare le masse popolari verso il concetto di educazione popolare, né a creare un rapporto con altre due Società sorte in Sardegna in quegli anni (1867-69), cioè la Società promotrice per l’educazione popolare e le Società per le Biblioteche Popolari circolanti affiliate alla Unione Italiana dell’Educazione Popolare (UIEP).
Anche se con risultati non molto soddisfacenti, queste Società costituiscono un tentativo nel settore educativo, e portano a un minimo di coscientizzazione nel popolo.
Mancano in Sardegna le «Leghe per l’insegnamento» o qualsiasi associazione di insegnanti fino al 1873, anno in cui si costituisce la “Società di mutuo soccorso tra gli insegnanti della Sardegna”.  Nel 1892 viene costituita la “Società magistrale della provincia di Cagliari”, con il suo giornale “L’Eco didattico”, e nel 1900 “La Società pedagogica sarda”.  L’attività di quest’ultima associazione è rivolta alla soluzione dei problemi economici e giuridici dei maestri, tramite l’avocazione della scuola allo Stato.  Riesce soltanto in parte nel suo compito.  Non risolve, infatti, i problemi della scuola sarda.  Le influenze culturali e patriottiche del periodo distolgono gli insegnanti dai loro reali e specifici problemi, e dall’unità di intenti con le forze operaie proposta dal movimento socialista.
Non allo scopo di stimolare l’organizzazione di un più vasto movimento di educazione popolare, ma più probabilmente seguendo il vezzo turistico di ubicare nella nostra Isola dalla “natura incontaminata” i vari consessi programmati nel Continente, vengono tenuti diversi congressi dell’Unione Italiana Educazione Popolare (UIEP), a Oristano nel 1901 e a Cagliari nel 1905.  Del terzo congresso dell’UIEP (ribattezzato UICP) tenuto in Sardegna, ancora a Oristano, nel 1962, parleremo in un successivo capitolo.
La politica scolastica del partito socialista in Sardegna è limitata a una azione a livello ideologico, con il tema della lotta contro l’analfabetismo e contro l’insegnamento della religione.
Nel dopoguerra, guidati dai reduci, scoppiano in Sardegna tumulti popolari.  Le masse contadine del Sud e della Sardegna sono state mobilitate nella guerra tra imperialismi concorrenti con l’allettamento di una più equa ripartizione dei beni sociali:  le terre ai braccianti, migliori condizioni di vita nelle industrie, realizzazione dei servizi di comunità, sussidi, assistenza.(9)
La rivolta popolare viene convogliata in diverse direzioni e con diversi intenti.  Da una parte i ceti reazionari, che confluiranno nel fascismo, canalizzano il fermento di rinnovamento popolare in una miriade di associazioni combattentistiche;  dall’altra, forze democratiche e socialiste, che si rifanno a un denominatore culturale autonomo sardo, cercano di dare al movimento di rivolta violenta e disorganizzata una ideologia progressista e una struttura politica (Partito Sardo d’Azione).
E’ indubbio che il Partito Sardo d’Azione ha anche raccolto, con le istanze di rinnovamento economico e sociale, i fermenti indipendentistici maturati nell’Isola in quel periodo, e che lo stesso PSd’Az diventa a sua volta stimolatore e diffusore di posizioni e teorizzazioni autonomistiche e indipendentistiche, attraverso una fervida attività politica e culturale.
In questo modo si spiega il largo consenso di masse al PSd’Az e la opposizione generale del popolo al fascismo (che invece trovò espliciti consensi tra i ceti mercantili e gli intellettuali - se si escludono alcuni di chiara posizione socialista).(10)
I tentativi di esaltare le masse popolari sarde con il miraggio di “entusiasmanti destini di un’Italia imperiale” non andarono a segno.  La retorica esaltazione del duce non trovò popolarità nonostante il conformismo scolastico ai tempi propri della propaganda del regime fascista.

«Nello svolgersi di queste drammatiche vicende che educarono le masse popolari sarde nello scontro con la “durezza delle cose”, la scuola sarda e i suoi rappresentanti stavano, come si è visto, dall’altra parte della barricata, a tutela dell’ordine costituito;  fatti salvi dalle ambagi della “coscienza infelice” dall’assoggettamento a un processo di alienazione culturale e politica.
Le loro frequenti analisi e diagnosi dei “mali e rimedi della scuola popolare” restavano alla superficie delle cose e non coglievano il dato essenziale, l’ipotesi del cambiamento;  per essi la miseria del popolo, o meglio la divisione della società in classi, diventava immodificabile, e la composizione del dramma era affidata all’educazione ai buoni sentimenti.
Tale scuola non poteva rispondere, neppure quantitativamente, alla domanda d’istruzione del proletariato, corrispondente allo sviluppo dei modi di produzione capitalistici e frenata dalla ristrettezza del mercato del lavoro, che alimentò anche in Sardegna il fenomeno migratorio, interessandovi particolarmente le categorie degli artigiani e dei piccoli imprenditori messi in difficoltà dall’aggravarsi della crisi economica e finanziaria.
Restava nell’Isola la grande massa dei braccianti agricoli e dei contadini poveri, dei pastori senza terra e dei servi-pastori, esposti al ricatto salariale e allo sfruttamento dei proprietari assenteisti e degli industriali caseari.  Per essi la scuola di Stato non era semplicemente un “lusso da signori”, era piuttosto un’alternativa senza senso all’assillante problema della sopravvivenza e a un sistema di vita rigorosamente codificato in regole non scritte, espresse da una comunità in “attitudine di combattimento”, sopraffatta sul piano economico e giuridico ma etnicamente compatta e resistente.  Questa comunità aveva in effetti la “sua” scuola e la “sua” pedagogia e una “sua” compiutissima metodica, che la rendeva “altamente produttiva”, nel senso di essere “effettivamente capace di produrre...  tutto ciò che famiglia e comunità esigono...  anche in termini di produttività economica”...
Di questa scuola e della sua cultura e letteratura popolare, un tempo cospicua, si è forse deteriorata con l’invasione culturale di tipo consumistico l’originalità espressiva, ma non gli aspetti sia conservativi che contestativi, che restano un punto di riferimento obbligato per chi voglia assumere in termini scientificamente corretti i problemi socioculturali inerenti allo sviluppo economico e alla presa di coscienza politica delle masse popolari della Sardegna».(11)

NOTE AL CAPITOLO QUARTO

1)  Elisa Spanu Nivola - Profilo storico dell’educazione popolare in Sardegna - in Archivio sardo del movimento operaio, contadino e autonomistico - anno I 1973 - n. 2.
2)  D. Bertoni Jovine - Storia dell’educazione popolare in Italia - Laterza 1965.
3)  G. Masala - La Sardegna e la scuola del popolo - Gallizzi 1912.
4)  E. Spanu Nivola - Opera citata.
5)  Legge 4 giugno 1911 artt. 17 e 18.
6)  E. Spanu Nivola - Opera citata.
7)  L. Intina - Sulle scuole rurali in Sardegna - in Sardegna agricola - anno I n. 11 1879.
8)  L’Eco didattico - nn. diversi - in E. Spanu Nivola - opera citata.
9)  Ugo Dessy - Cronache di lotte popolari - in Tempo Presente - vol. VIII n. 2 1963.
10)  L. Nieddu - Origini del fascismo in Sardegna - Fossataro 1964.
11)  E. Spanu Nivola - opera citata.

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