S'attitadora e is attitidus
La prefica e le lamentazioni
Prefica. Donna che per mestiere esegue il pianto rituale nelle cerimonie funebri. L'uso del lamento funebre compiuto da donne estranee alla cerchia familiare del defunto, corrente nell'antichità classica (Etruria, Grecia, Roma, Sardegna) si è mantenuto nel folclore di varie regioni europee: in particolare in Italia esso esiste ancora in Lucania, Calabria e Sardegna. Le prefiche possono essere in alcuni casi componenti del gruppo sociale del morto, ma esiste ancora la figura della prefica prezzolata, che ha a sua disposizione un repertorio di lamenti funebri in versi per le varie occasioni e tutta un'arte di esprimere il dolore in forme ritualizzate. Le prefiche prendono il nome di attitadoras in Sardegna, di reputatrici in Calabria, di voceratrici in Corsica. (Enc. Larousse)
IS attitos o attitidos indicano le lamentazioni funebri.
Vecchie usanze di Sardegna
di Gabriele Cherenti
Fizu s'ultimu adiu!
Non t'happo pius biu
E invanu ognunu a tie giamma,
Ca fusti fizzu 'onu.
Custu est s'ultimu donu,
S'ultimu 'asu chi a tie dat
mamma.
Ahi, crudele morte!
ite terrore!
Assumancu, Segnore,
Happat custu favore:
Siad in logu 'onu
collocadu;
Tottu su patimentu
l'happat como in cuntentu
Figlio l’ultimo addio!
Non ti ho più vivo
E invano ognuno ti chiama,
Che fosti figlio buono.
Questo è l'ultimo dono
L'ultimo bacio che ti dà
mamma
Ahi crudele morte!
che terrore!
Almeno, Signore,
Abbia questo favore:
Sia in luogo buono
ospitato
Tutta la sofferenza
L'abbia adesso in gioia
Il canto lugubre cessa per poco. Fra le donne accovacciate nella penombra, s'alza la madre: "Fizzu, finia l'hat sa penitenzia" (figlio, finita l'hai la penitenza)!
Sta per incominciare s'attitidu, il pianto funebre, l'orazione funebre della prefica: s'attitadora.
Tutt'avvolta in un lungo mantello nero che ricopre il suo antico costume abbrunato, la donna s'avanza lenta, altera, con ostentata indifferenza, sino al letto di morte. Ora si sofferma, leva in alto una mano, poi un grido disperato rompe l'incantesimo del momento.
Col grido della prefica inizia il dramma.
Mancadu est su zigante,
Su forte valenteri
De sa capitania.
Frade meu! Frade meu!
Mancato è il gigante
Il forte valente.
della comunità
Fratello mio! Fratello mio!
Le gambe incrociate all'uso arabo, le donne siedono per terra e formano intorno al letto di morte un cerchio, detto s'inghiriu, il giro. Gli uomini sono di là, nella cucina fumosa, in disparte.
La prefica continua il suo lamento:
Ite l'happo a donare
Prima de t'avviare!
Inue dana a tie reposu!
Ahi! Frade meu istimadu!
Che cosa di donerò
Prima di avviarti!
Dove ti daranno riposo!
Ahi! Fratello mio stimato!
Un fazzoletto nero le cinge la testa e ricopre la fronte: il viso, sbiancato, é impietrito, l'occhio senza sguardo. Il suo lamento ha una cadenza ritmica che si uniforma con la battuta delle mani sulle ginocchia: le parole scorrono impetuose, con accenti aspri, talvolta macabri e perfino ironici. Le immagini si rincorrono: immagini di avvenimenti che s'erano scoloriti nel lento scorrere della vita, ed ora, d'un colpo, tornano vive, lucide, a rievocare un passato che par così lontano: l'eco nostalgica rimbalza su di un presente dolorante sino allo spasimo.
Il tramonto scende sulla bara, scende sul ciglio di una sepoltura. L'ultimo grido della prefica si perde fra il tremolio dei ceri. Ed il mesto corteo si compone, e s'avvia.
Il suono lento della campana si annunziava, sino a non molti anni fa, conforme al grado sociale della famiglia in lutto. A Mores, in Logudoro, il rintocco funebre per la morte di un ricco era detto imperale; per un povero su toccu; per un fanciullo toccu de allegria.
A Sarule, per la morte di un povero era d'uso il suono della campana di Santa Croce, con tre tocchi ben distinti; per la morte di un ricco l'annuncio era dato da tutte le campane del paese, a brevi intervalli; la morte di un bimbo era annunciata da sa boghe d'anghelu.
A Silanus, per la morte di un bimbo suona sa campana manna. A Irgoli, Orosei, Loculi e Onifai, il rintocco funebre é detto s'agonia; a Bolotana, sa regula.
Usanze e tradizioni resistono all'avanzata travolgente del progresso; intanto, però, s'attitadora, la prefica, non accompagna più la salma nel calvario sino al camposanto, chiamando vendetta con urli disperati e imprecazioni gridate sin sull'orlo del sepolcro.
Già negli Statuti di Sassari, del 1294, si legge: "Ordiniamo che nessuna donna di Sassari, né di altro luogo, debba andare in Sassari, né fuori, alla Chiesa di Santa Maria dei frati Minori, dietro nessun morto, né dalla Chiesa al Cimitero, né nella Chiesa dove verrà sotterrato il morto si debba radunare. E se qualcuno farà diversamente, pagherà al Comune soldi venti. Del quale bando, o multa, la metà sia del Comune e l'altra dell'accusatore, e sia mantenuto il segreto. E a ciascun del consiglio sia creduto nel giuramento".
La prefica dell'anatema é scomparsa; la tradizione resiste per i sopravvissuti di un mondo sorpassato.
Ancora oggi in molti paesi dell'isola il colore che indica il lutto é giallo. Nell'uso antico, dove vige su curruttu, al lutto segue il digiuno.
(In "Sardegna oggi" n. Il- 1/15 nov.1964)