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4. La repressione in Sardegna

Il fenomeno della repressione in Sardegna si colloca ma non si esaurisce tutto nell'analisi marxista del concetto di “giustizia di classe”. Più precisamente la repressione in Sardegna è strumento primario della colonizzazione capitalistica ed assume aspetti prettamente militaristici ed un carattere di “eccezionalità” che è al di fuori o in contrasto alle norme del diritto sancito dalle leggi civili dello Stato italiano.
E' un tipo di repressione che il sistema riserva alle aree coloniali o di servizio del capitalismo, alle aree dove la situazione economica, sociale e culturale è particolarmente, e volutamente, arretrata e dove, di conseguenza, le forme di lotta per il progresso popolare tendono a manifestarsi con moti violenti.
Al dato di fatto della Sardegna “area di servizio economica” se ne aggiunge un altro, attualmente preminente: la sua utilizzazione come “area di servizi militari”. Nel giro di venti anni, l'isola è diventata la principale roccaforte dello schieramento bellico della NATO e la principale “piazza d'armi” europea per il collaudo di nuove armi e per le esercitazioni tattiche aeronavali, corazzate e miste. La presenza massiccia di basi militari e delle relative servitù da un lato condiziona pesantemente l'economia e la crescita civile delle popolazioni, e dall'altro influenza tutti gli istituti dello Stato, in particolare quelli della giustizia e dell'ordine pubblico.
Qui i generali di mezzo mondo, trovato l'ambiente adatto, “covano” gli strumenti bellici più terrificanti che la moderna tecnica possa produrre, e un poderoso apparato militare e di polizia circonda, protegge e mantiene nel più rigoroso segreto queste mostruose “covate”.
Ogni aspetto della vita civile ne risulta condizionato e limitato. Il clima della più rigida autorità e della più severa disciplina - l'annullamento dei valori individuali - è il fondamento di ogni regime militare. La democrazia, di qualunque colore, è considerata una “peste sociale”. La circolazione delle idee - al di fuori dell'ideale “credere-obbedire-combattere” - è un attentato alla sicurezza dello Stato.
Premessa essenziale alla instaurazione del loro regno, i militari creano costosissimi apparati preventivi e repressivi di polizia, tradizionale e speciale, politica e comune, spie e controspie che vigilano e creano fantasmi per avere il pretesto di colpire uomini in carne ed ossa. Anche la “rilassatezza dei costumi” (in particolare quelli sessuali) è ritenuta pericolosa all'armonia di una società gestita dai militari. Un buon cittadino si esalta davanti alle parate degli eserciti, scatta e si commuove nell'udire gli inni patriottici, si china riverente dinanzi agli eroi di guerra. Un buon cittadino può far parte della schiera eletta dei militari quando inoltre crede nel cattolicesimo, religione dei padri, accetta in qualunque situazione la indissolubilità del matrimonio concordatario e crede nell'istituzione dei casini per la salvaguardia della verginità delle fanciulle “perbene”.
Non fa meraviglia, quindi, che poliziotti e questurini difendano e proteggano le basi militari in Sardegna scrutando sospettosi la lunghezza delle gonne e dei capelli, ascoltando i timbri di voce per isolare gli “scioperanti” e gli “omosessuali”. Oltre, naturalmente, al loro servizio “normale” che è quello di registrare le chiacchiere dei lavoratori “sovversivi” nelle bettole, di sottolineare e mettere in cartella parole e frasi raccolte nei comizi politici, nei manifesti, nei ciclostilati, nei documenti dei circoli di cultura, nella stampa e perfino nelle pagine di opere di narrativa del passato. (A questo proposito va segnalato un caso che ha fatto ridere tutta l'Italia, esclusi polizia e clero: nel dicembre 1969, nel periodo “caldo” della repressione borghese, il commissario di P.S. Di Nardo, di Cagliari, ha denunciato alla magistratura Georg Buechner, scrittore teatrale dell'800, per la sua opera “Woyzech” che era stata rappresentata mesi prima nell'Auditorium, ravvisandovi gli estremi di “vilipendio alla religione di Stato”.)
Quando non bastano le normali istituzioni repressive se ne creano di nuove, di più aggiornate. I “baschi blu” sono truppe speciali finora riservate alla Sardegna, particolarmente addestrate contro la guerriglia. Il “pretesto storico” addotto dal governo per giustificare la loro esistenza davanti all'opposizione parlamentare è il banditismo nuorese. Alla prova dei fatti non risulta che il corpo speciale dei “baschi blu” sia in funzione anti-banditismo: le cronache di questi ultimi anni dimostrano che essi non hanno mai acchiappato un solo bandito. I “baschi blu” sono certamente in funzione delle basi militari, ch'essi dovrebbero proteggere da eventuali moti popolari.
Il banditismo, si è detto, è un “pretesto”, non solo per giustificare la presenza nell'isola di apparati repressivi speciali, ma anche per mantenere in funzione speciali leggi, quali il confino, il domicilio coatto, la sorveglianza speciale e altre, che consentono alla polizia di eliminare, insieme a ladruncoli di polli, quei cittadini ritenuti pericolosi per le loro idee. Tanto è vero che se in Sardegna il banditismo non ci fosse stato, lo si sarebbe creato.

“LA POLIZIA ORGANIZZA SEQUESTRI E ARMA I DELINQUENTI”. (Titolo di un servizio apparso su Sassari Sera del 15 dicembre 1968.)

“SOSTIENE D'ESSERE STATO ISTIGATO DA UN POLIZIOTTO A COMPIERE UN SEQUESTRO A SINISCOLA… Secondo fonte bene informata, un certo Tolu Giovanni Antioco da Orune avrebbe sporto nei giorni scorsi una circostanziata denuncia, sostenendo che ai primi dello scorso mese di febbraio si presentarono a lui il pregiudicato Giovanni Veracchi ed un tale qualificatosi per maestro elementare. I due gli proposero di partecipare ad un sequestro di persona, organizzato a Siniscola, con l'assicurazione che l'impresa avrebbe fruttato almeno 50 milioni. Il Tolu respinse l'offerta, ma dopo qualche giorno suo fratello Stefano cadeva ferito sotto le raffiche degli agenti di P.S. davanti alla casa dell'idustriale Tosi. Il Tolu è convinto che l'impresa fu organizzata dal Veracchi e dal sedicente maestro elementare in funzione di agenti provocatori… Il fatto è gravissimo, soprattutto se si consideri che il “maestro elementare” - secondo quanto si afferma nella denuncia - era l'agente di P.S. Rochira Pancrazio, il quale, per evidenti misure prudenziali, è stato poi trasferito ad un reparto della penisola. Il Veracchi per l'opera svolta sarebbe stato ricompensato con diversi milioni…” (Da Sassari Sera del 30 marzo 1698.)

“In un esposto alla Magistratura, un commissario di polizia viene accusato dell'omicidio del bandito Antonio Casula dalla madre dell'ucciso. Il malvivente, confidente della Criminalpol, sarebbe stato attirato in un agguato dopo avere avuto una parte di rilievo nella morte di Salvatore Pintus e Gianni Dessolis. E' morto perché sapeva troppo?…” (Da Sassari Sera del 15 maggio 1968.)

I comunisti dal canto loro giudicano l'apparato poliziesco che opera in Sardegna assolutamente inefficiente. La rivista del PCI sardo intitola così l'interrogazione che segue: “Falliscono contro i banditi: infieriscono sui cittadini”.

“I sottoscritti chiedono di interrogare il ministro dell'Interno per sapere se sia conseguente a sue disposizioni o direttive di responsabili locali il comportamento da truppe coloniali di occupazione della polizia in provincia di Nuoro, comportamento che, mentre è del tutto fallimentare nei confronti dei latitanti e dei banditi che indisturbati intensificano le attività criminose, determina una grave tensione tra i singoli cittadini e le popolazioni.
Vengono infatti attuati, senza alcun risultato ai fini della lotta contro il banditismo, stati di assedio, rastrellamenti di interi paesi o rioni, gli ultimi a Nuoro, Orgosolo e Orune, perquisizioni personali e domiciliari senza alcuna autorizzazione della Magistratura e contro le norme della Costituzione e della legge.
I sottoscritti riferiscono, a titolo di esempio, uno dei tanti gravissimi episodi che avvengono quotidianamente.
Alle ore 0,30 del 31 maggio ultimo scorso (1967) la vettura con la quale rientravano a Nuoro il dott. Mario Pani e l'ins. Antonio Caboi, dirigenti della federazione comunista di Nuoro, è stata fermata a un posto di blocco a dieci chilometri da Nuoro. I due cittadini sono stati costretti a scendere dalla macchina da quattro poliziotti che puntavano il mitra contro i loro visi e iniziavano a perquisirli; alle rimostranze dei due cittadini, che ricordavano essere la perquisizione personale una violazione della Costituzione e della legge, il brigadiere, che risulta far parte della “pattuglia Rumorino” n° 38, rispondeva testualmente: “Non ce ne importa niente della Costituzione né della legge; la legge qui la facciamo noi; abbiamo disposizioni dal ministero e noi perquisiamo e facciamo quel che ci pare”. Poiché i due fermati continuavano a protestare, uno dei poliziotti puntava il mitra contro la testa del sig. Caboi urlando: “O stai zitto o ti scarico il mitra in testa”. I due cittadini hanno quindi subìto con la violenza la perquisizione personale, come sarebbero stati costretti a subirla se fermati da una banda di criminali armati.
Chiediamo al ministro se non ritenga che il comportamento della polizia non sia tale da indurre la maggioranza dei cittadini a giudicare che:
1) i poliziotti, che dovrebbero difenderli dai banditi, si aggiungono a questi ultimi per terrorizzare e mettere in pericolo i cittadini onesti e intere popolazioni, mentre sono del tutto incapaci di prevenire o reprimere le attività criminose, come dimostra il fatto che nei conflitti delle ultime settimane, come nei sequestri e nelle rapine, sono sempre stati i banditi ad avere la meglio;
2) che l'inettitudine e la vigliaccheria dimostrata contro i banditi trova facile sfogo contro pacifici inermi cittadini, trattati come i nazisti trattavano le popolazioni dei paesi occupati nella lotta partigiana;
3) che, probabilmente, in provincia di Nuoro, viene fatta la prova della proclamazione di quello stato d'assedio che il governo e la maggioranza intendono rendere legale con la nuova legge di pubblica sicurezza che è in discussione al Senato.
Chiediamo di sapere infine se il ministro non ritenga necessario far conoscere i motivi per i quali la polizia in provincia di Nuoro agisce in modo così irresponsabile e tale da determinare un ulteriore drammatico aggravamento della situazione e, nella eventualità che la responsabilità ricada sui dirigenti locali, quali provvedimenti di adeguata severità intenda disporre nei confronti dei responsabili. Ignazio Pirastu - Renzo Laconi - Luigi Marras - Luigi Berlinguer. (Apparsa sulla stampa nel giugno del 1967.)

Indipendentemente dalla utilizzazione tattica dei fatti, in funzione della candidatura del PCI a “partito d'ordine”, il quadro che i parlamentari fanno dello stato di polizia in Sardegna nella loro interrogazione spiega sufficientemente quale sia lo stato d'animo degli isolani nei confronti dei militari e del potere che gli stessi rappresentano. Proprio per questo particolare animus antimilitarista e antistatalista del cittadino sardo, per questo antico e mai sopito odio verso i colonizzatori armati, in questa regione sono possibili forme di rivolta violente, individuali e collettive. La storia delle comunità sarde dimostra che basta una scintilla per far esplodere violenti tumulti popolari - sommovimenti locali che spesso esauriscono la loro carica protestataria nella violenza di un'ora di incendi e di saccheggi. E contando appunto su questo animus popolare, qui il sistema trova il terreno adatto per compiere esercitazioni pratiche di sperimentazione delle tecniche di repressione civile fino a quelle della guerriglia coi latitanti delle Barbagie.
LA SPERIMENTAZIONE MILITARE, IN OGNI SUO ASPETTO, TROVA DUNQUE IN SARDEGNA IL SUO HABITAT NATURALE.

A questo punto vale la pena accennare ad un non ben delineato “movimento separatista” di cui si va parlando e sparlando in Sardegna da qualche tempo. L'analisi che i separatisti fanno della “questione sarda” è di tipo marxista-leninista: la storia dell'isola - essi dicono - è la storia di una colonia; da questa situazione non si può uscire che con la rivolta totale e aperta contro la colonizzazione. Quindi, “fronte di liberazione nazionale”, sull'esperienza delle lotte che i popoli coloniali hanno fatto per la loro indipendenza.
Al separatismo si fanno alcune obiezioni.
La prima è che la “questione sarda”, pur con le sue particolari problematiche, è da inscrivere nel contesto di una realtà nazionale, più precisamente nel movimento di riscatto civile delle masse del Mezzogiorno.
La seconda è di ordine pratico: il separatismo diventa un ottimo pretesto al gioco del capitalismo che ha destinato l'isola ad area di servizi militari e alla pianificazione economico-sociale in funzione di questi: un ottimo nuovo pretesto per accelerare e aggravare il disegno di asservimento, aumentando i suoi effetti armati e intensificando la repressione poliziesca e giudiziaria.

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