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Giornali / Riviste


Articoli scritti da Ugo Dessy per la rivista ACB settimanale nel corso di alcuni anni


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Tratto da ABC settimanale del 15.06.1973

Fiorisce l'hashish

di Ivo Serti alias Ugo Dessy

ANCHE IN SARDEGNA FIORISCE L'HASHISH. I GRANDI TRAFFICANTI DI DROGA HANNO TROVATO UNA NUOVA BASE OPERATIVA

L'ultima operazione della finanza nel porto di Cagliari. Destinazione: gli insediamenti del jet-set e della NATO. I falsi allarmi e i timori delle autorità e della stampa locale

CAGLIARI, giugno
La recente operazione della finanza di Cagliari, che ha portato al sequestro di tre quintali di hashish, ha di sensazionale il fatto che svela una nuova utilizzazione dell'isola da parte della consorteria capitalistica internazionale: quella di base di appoggio e di smistamento della droga proveniente dal Medio Oriente e destinata ai vari mercati del continente europeo. La stessa via, Est-Ovest, seguita dal petrolio e la via inversa, Ovest- Est, seguita dai trafficanti di armi. Marina Piccola è un porto turistico di recente ammodernato. E' situato nel golfo della città capoluogo, ai margini di una vasta zona militarizzata. Vi trovano rifugio centinaia di imbarcazioni da diporto della Cagliari "bene", e vi approdano di quando in quando lussuosi natanti d'alto mare di diverse nazionalità. Tra questi, da qualche giorno, è alla fonda il "Kazaphani", uno yacht lungo nove metri, dotato di un potente motore diesel. Batte bandiera inglese e ha due uomini a bordo.
La Finanza va sul sicuro. Ha avuto precise indicazioni dalla polizia inglese che da tempo aveva individuato l'isola come uno dei punti nodali del traffico. Pare che un funzionario della sezione antidroga londinese sia giunto espressamente in Sardegna.

Nove sacchi
Il pomeriggio scatta l'operazione al comando di un tenente colonnello. Una ventina di uomini si accostano e si congiungono sul molo davanti allo yacht. Contemporaneamente si avvicina una motovedetta per tagliare la strada al "Kazaphani" qualora tentasse la fuga. Da un'auto parcheggiata nei pressi, il procuratore della Repubblica in persona segue gli avvenimenti.
La perquisizione giunge rapidamente a conclusione. Sotto le cuccette della cabina vengono trovati nove sacchi di juta contenenti i pani della canapa indiana avvolti in cellophane: in tutto tre quintali, per un valore di oltre cento milioni di lire (prezzo all'ingrosso, naturalmente). I due giovani yachtmen, Frederick Matthew George Blucker e Cristopher Alan Higgins, canadesi, vengono ammanettati e dopo un primo sommario interrogatorio tradotti nelle carceri di Buon Cammino.
Il quantitativo di droga scoperto a Marina Piccola è uno dei più ingenti sequestrati finora in Europa; ma i successivi sviluppi della vicenda provano che, in effetti, si tratta soltanto di una tessera di un complesso mosaico.
Il giorno dopo, il 17, si apprende che tre inglesi e un'americana sono stati sorpresi e arrestati dalla polizia londinese. Trasportavano su un motoscafo duecentocinquanta chili di hashish - pare diretti a rifornire i mercati inglesi. I quattro provenivano dalla Sardegna, dal camping di Capitana, una località balneare frequentata da alti funzionari della Regione, poco distante da Marina Piccola.
Nel camping di Capitana i quattro trafficanti hanno sostato per circa un mese, godendosi il sole in attesa dell'arrivo del "Kazaphani", il corriere della droga. Prelevato l'hashish lo hanno nascosto all'interno del natante, quindi sono partiti per l'Inghilterra, lasciando l'isola a bordo di una nave traghetto, su cui hanno caricato Caravan, natante e tutto il resto.
La merce rimasta nello yacht "Kazaphani" era destinata a esser presa in consegna, probabilmente, da altri "distributori associati", se non a essere trasportata direttamente dagli stessi canadesi Buckler e Higgins.
Alla polizia inglese - e per conoscenza alla italiana - i conti non tornavano. Un sacco, più o meno. Grandi grida di allarme da parte delle autorità preposte alla tutela della moralità isolana: quei chili di hashish - c'era da scommetterci! - erano andati a finire nel mercato di Cagliari e chissà quali sconvolgimenti avrebbero potuto produrre.
Già si parlava di rastrellamento nei circoli giovanili, nelle sedi dei gruppi politici extraparlamentari e anche di severe perquisizioni domiciliari in base alle schedature d'ufficio politico della questura, quando - meno male - gli uomini del nucleo di polizia tributaria, perlustrando le zone adiacenti a Marina Piccola, hanno trovato il sacco con dodici chili di hashish nascosto in un anfratto della Sella del Diavolo. Una zona interdetta ai civili, perché base di esrcitazioni militari per la NATO.
Caduta l'ipotesi che una parte della droga fosse già stata venduta e forse già fumata dai sardi, gli inquirenti sono rimasti del parere che quei sedici chili fossero destinati ai cattivi giovani cagliaritani, quelli che frequentano i club, hanno i capelli lunghi e si occupano di politica.
Congetture che solleticano molto le meningi caratteristiche e repressive di non pochi funzionari addetti al mantenimento dell'ordine pubblico in Sardegna. E' molto più probabile, invece, che la droga dovesse andare a finire fra i militari della NATO - i quali hanno tante buone ragioni esistenziali per ricercare un equilibrio psichico con una fumatina alla canapa. In fondo, vivere in colonia non è un bel vivere, per truppe d'occupazione pur dotate di ogni comfort.

Figure secondarie
Ugualmente molto probabile è che la merce residua dovesse attraversare la Sardegna per raggiungere la Costa Smeralda, il regno di Karim Alì Khan, a uso e consumo del bel mondo internazionale che vi si dà convegno.
Che la droga sia stata di casa nella Costa Smeralda è un fatto confermato da una inchiesta giudiziaria. La prima bomba alla marijuana è scoppiata nel '69 nel Pedros Club, un locale alla moda, salito ai fasti della mondanità per i pugni che Virna Lisi si prese dallo spasimante Pesci. Pare che Pedro - il mago dei night - rappresentasse poco più di una pedina nella scacchiera dell'hashish circolante nella coast dei sublimi: i bene informati lo definirono "un corriere a mezzo servizio", sottintendendo che ben altri grossi nomi agivano dietro le quinte. Ma furono Pedro, la moglie e un gruppetto di figure secondarie a prendersi tutte le responsabilità, e la scabrosa vicenda si concluse senza che nessuno ci avesse capito nulla.
In quella occasione, il brain trust della Costa Smeralda tenne riunioni e diffuse un mucchio di comunicati stampa (anche in lingua italiana) per difendere la moralità della jet society . Tra l'altro si fece notare che il locale di Pedro era da considerare "fuori della giurisdizione" di Porto
Cervo e quindi fuori del regno di Karim; e si sostenne pure che l'equipé di teste d'uovo della corte agakhaniana aveva da tempo sollecitato un intervento delle autorità italiane, avendo "fiutato" la droga nei paraggi.
Sta di fatto che da Pedro si trascorrevano insolite allegre serate, e il locale annoverava ospiti di alto e nobile lignaggio, quali Maria Pia di Savoia, Margaret di Inghilterra col suo Tony e via dicendo. La stessa Bettina - la Suprema - pare non disdegnasse di farci qualche capatina.
"Pedro faceva comodo ai cento grossi nomi del jet set internazionale che giunti a Porto Cervo non potevano certamente starsene a sonnecchiare all'Inferru o nei patii degli alberghi, mentre c'era un locale, seppur fuori della giurisdizione della Costa, e forse esclusivamente per questo, ove si poteva vivere qualche ora pazza... " ha commentato senza malizia l'informatissima rivista Sassari Sera. Allora, la bomba che avrebbe divuto far traballare il regno di Alì, al contrario lo rafforzò per la pubblicità gratuita che gli fecero i giornali di mezzo mondo.
Lo stesso processo al "Number One", attualmente in corso, in più di una udienza ha accostato la droga alla Costa Smeralda. Abbastanza fondata quindi l'ipotesi che una parte almeno dei molti quintali di hashish sequestrati in questi giorni a Cagliari fosse destinata a vivificare le nottate insonni del bel mondo agakhiano.

Sfasciar tutto
Procura e polizia la pensano diversamente. "A Cagliari ci sono almeno un centinaio di tossicomani" ha scritto con toni drammatici il quotidiano padronale del capoluogo. I "tossicomani" dell'isola farebbero i turisti per procurarsi gli stupefacenti - scrive ancora lo stesso giornale. E se ciò fosse vero ci sarebbe da sfasciar tutto, pensando che ci sono "figli di papà e di puttana" che spendono centinaia di migliaia di lire in viaggi in Olanda o nel Libano o in Tunisia per procurarsi i paradisi artificiali, mentre ci sono oltre trecentomila disoccupati che hanno abbandonato i loro paesi e le loro famiglie, che hanno venduto i loro miseri beni per acquistare un biglietto di sola andata per la Germania, che lavorano come negri pur di arricchire i Krupp.
Ma, oggi come ieri, i fatti dicono che in Sardegna la droga passa - e non può che passare - attraverso gli yacht di lusso e nelle valigie insospettabili della jet-society, anche se poi nella rete finiscono sempre i pesciolini. Pesciolini che opportunamente colorati di sovversivismo, tornano perfino utili per la conservazione del potere. La droga, sapientemente collegata ai movimenti politici libertari è un ottimo pretesto repressivo.
Anche a Cagliari è di moda associare le sostanze stupefacenti a ogni giovane o gruppo che non scorrano nei canali previsti dal sistema: qualche anno fa erano i capelloni in generale, a drogarsi; poi gli anarchici che avevano osato contestare il pontefice; ora sono di turno i giovani dei club, corrompitori di fanciulle.
Il quotidiano padronale di Cagliari ha fatto perfino l'inchiesta in terza pagina. "I tossicomani sono fra noi" ha scritto con lo stesso orrore con cui avrebbe dovuto denunciare l'epidemia di colera infantile, scoppiata qualche anno fa, che fece una strage di bambini in un paese dell'interno abbandonato. Quindi passa a fare l'elenco dei "tossicomani" sardi dei quali si è occupata la cronaca. I cento - supposti non si capisce in base a quale calcolo - si riducono a quattro o cinque. E ci vuole non poca fantasia per affermare che si tratta veramente di tossicomani. Ecco l'elenco:
- Il 4 agosto del '71 la polizia effettua una perquisizione in un club giovanile di Assemini, un paese vicino a Cagliari. Tra i soci, il diciottenne Giovanni Batzella "viene sorpreso in evidente stato confusionale". Non è dato sapere se tale stato derivasse, a esempio, da un forte mal di denti.
- Il 23 settembre del '71 due giovani di Monserrato, frazione di Cagliari, appena rientrati da un viaggio turistico in Germania, vengono beccati con quattro grammi di canapa indiana. La droga viene trovata in casa di uno dei due giovani durante la perquisizione della polizia. Come si sia potuti arrivare a sapere con esatezza che in quel giorno e in quella casa c'erano quattro grammi di hashish è un mistero: è probabile - se si vuol fare una ipotesi logica - che i due siano stati incastrati da un confidente della polizia, che ha venduto ai due sprovveduti la "merce" ed è poi corso a fare la soffiata. La polizia intanto si è fregiata di una "brillante operazione".
- Il 20 novembre dello stesso anno un giovane di Isili, Antonio Muscas, si presenta all'ospedale psichiatrico e chiede di essere disintossicato. In ospedale ci resta poco; la polizia lo arresta e lo manda a disintossicarsi in galera. Un fatto esemplare, questo. Che dimostra quanto importi al sistema la salute pubblica.
- Ancora nel '71, il 17 dicembre, viene sorpreso a Sassari, nella via Roma, Giovanni Piras, di venti anni, mentre "barcollava". Il "barcollante" - seduta stante schedato come "tossicomane" - finisce in carcere. Non aveva droga, non spacciava, ma doveva averne tracce in corpo: motivo sufficiente per costringerlo a stare qualche anno al fresco.
- Il 25 maggio del '72 un fatto analogo al precedente, a Cagliari. Un giovane di Carbonia, Aldo Serreli, di 19 anni, sviene per strada e finisce anche lui in carcere. Particolare commovente: il Serreli confida alla polizia "d'essere schiavo della droga". Dal che si potrebbe dedurne che il
"criminale" preso dai rimorsi implorasse un adeguato e meritato castigo.

Sospetto forte
- Per finire, il 26 febbraio '73 una nuova "brillante operazione" antidroga: un gruppetto di ragazzini viene incriminato perché con ricette false tentava di comprare psicofarmaci. Il processo è ancora da farsi.
Questo elenco che può sembrare innocente a un uomo qualunque, diventa tragico e allarmante per le teste d'uovo addette alla repressione. Infatti - conclude l'inchiesta del quotidiano padronale di Cagliari - "il 19 marzo 1973 il procuratore della Repubblica Villa Santa ordina un sistematico controllo dei club giovanili cagliaritani; è forte - a suo avviso - il sospetto che vi si usino droghe".
Un "sospetto" più che forte, anzi una preveggenza: poco più di un mese dopo, in un club giovanile vengono trovati 10 grammi di hashish. Da dove siano piovuti non si sa. I ragazzi del club non lo sanno neppure loro. Al club ci andavano per ballare e pomiciare, dicono. Di certo si sa che i 10 grammi di hashish sono piovuti come il cacio sui maccheroni: dimostrano "oltre il sospetto", cioè senza ombra di dubbio, che i circoli giovanili sono sentine di vizio e di perversione e giustamente vanno chiusi.
L'opinine pubblica - o per intenderci meglio: l'opinione della gente che lavora - non fa tragedie. Si stupisce per tutti questi quintali di preziosissima merce che va e viene lungo le coste dell'isola. La gente ha un mucchio di problemi assillanti cui pensare: il costo della vita in aumento, il rincaro dei fitti di casa, i salari che non riesce a far quadrare. La droga è roba da ricchi - si dice - a noi non è destinata di certo.

 

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Tratto da ABC settimanale del 10.02.1973

di Giorgio Deni alias Ugo Dessy

IL DIAVOLO INCESTUOSO

SARDEGNA: PRETI VERI E FALSI STREGONI SI CONTENDONO LA POVERA GENTE AFFLITTA DALLA MISERIA E DALLA CREDULITA'.

 

Gli spiriti del bene e del male usati, con scarso successo, per guarire impotenti, far maritare le zitelle, far assolvere gli imputati dal tribunale. Dieci milioni per un posto "sicuro" in paradiso. La concorrenza tra cattolicesimo e stregoneria. Le pratiche rituali facilitano i rapporti sessuali coi "fedeli".

CAGLIARI, febbraio
Si spacciava per sacerdote (don Giovanni) e aveva aperto a Cagliari, in via Genovesi, uno studio per consultazioni parapsicologiche. Era riuscito a raggirare decine di persone dei paesi del circondario, promettendo la sua intercessione presso gli spiriti del bene e del male per assolvere imputati, sedare liti familiari, ricondurre a casa mariti fedifraghi. La sua carriera che durava da parecchi anni si è conclusa nelle scorse settimane in una cella del carcere cagliaritano di Buoncammino, sotto l'accusa di truffa aggravata e di altri reati.
Giovanni Casula, che, per compiere i suoi riti, alternava la veste da prete con uno spettacolare costume da stregone del medioevo, è uno dei tanti maghi che praticano indisturbati la loro professione. Sfortunatamente, una cliente scontenta delle sue prestazioni, una donna di Maracalagonis, è andata dai carabinieri a lamentarsi per una "grazia non ricevuta". La povera donna si disperava per via del marito arrestato per aver fatto certe porcherie con una ragazzina. Gli avvocati costano un occhio della testa e in più non assicurano mai l'assoluzione dell'imputato. Così, la donna, Mercedes Melis, su suggerimento di una comare, si reca a Cagliari, dal mago di via Genovesi.
Don Giovanni l'accoglie in abito talare, l'ascolta paternamente e le asssicura, con l'aiuto delle forze del bene e del male riunite, e naturalmente con la modica spesa di trecentomila lire, l'assoluzione del marito pedofilo. Giunto il giorno del dibattimento, aperta e fiduciosa, Mercedes Melis si reca con la comare al palazzo di giustizia e dalle transenne segue con un sorriso l'andamento del processo. Al momento della sentenza, la poveretta impallidisce e per poco non sviene: suo marito viene condannato a quasi quattro anni per violenza carnale. Da qui il suo giustificato risentimento, la sua denuncia e la fine per don Giovanni della carriera di stregone. "Prevedeva tutto - dice la gente - ma non ha saputo prevedere la data del suo arresto. Probabilmente non era un vero mago".
A Terralba, un grosso paese dell'Oristanese, tempo fa i carabinieri hanno arrestato due donne e un prete. Un prete vero, con tanto di crisma. Il prete, in combutta con due pinzocchere, ha raggirato una vecchia benestante sottraendole la casa di abitazione per un valore di oltre dieci milioni.

Assicurato un posto lassù in paradiso.
Anche questo uno dei casi fortunosamente venuto a galla, reso pubblico da una denuncia.
La vecchia circuita e derubata aveva 85 anni, era religiosa. Attendeva il meritato riposo, il giusto premio degli onesti, dei poveri di spirito. Il prete si recava spesso, in compagnia delle sue due complici, in casa della vecchia. Si riunivano a pregare, e il prete compiva funzioni religiose, benedicendo la vecchia, assicurandole, con il suo mandato divino"di legare e di sciogliere" , un posticino in paradiso. Un posticino salato, per una vecchia di un paese povero come Terralba: dieci milioni, la casa e il cortile. E quando le preghiere e le benedizioni non bastavano a persuadere la vecchia a lasciarsi depredare in nome del Signore, allora il prete ricorreva ai riti magici, ai beveraggi abrebaus , ai filtri, che forzano illecitamente la volontà.
C'è un aspetto della vita della gente sarda che è considerato un tabù: la religiosità. Della religiosità si conoscono soltanto immagini da cartolina, quali ci vengono presentate dai catechismi con l'imprimatur e dalle foto folcloristiche presentate nelle cronache dei quotidiani e nei depliant turistici. I pochi studi sulla materia, per lo più opera di scrittori del passato, etnologi e sociologi, sono rivolti a una ristretta cerchia di lettori. (D'altro canto, questi studi, opera dei "battistrada" del colonialismo, avevano lo scopo di conoscere usi e costumi dei popoli da colonizzare, per fotterli meglio).
A livello delle nostre comunità dell'interno - ma non ne sono immuni due moderne città come Cagliari e Sassari - uno degli aspetti più significativi della religiosità popolare sono i "riti terapeutici", cioè quell'insieme di atti, funzioni, cerimonie di carattere religioso compiuti per ammalare o guarire, scongiurare pericoli o catastrofi o per provocarne, eccetera. I riti terapeutici popolari, la cui liturgia è complessa, sono ancora diffusissimi, e vanno dalla semplice imposizione della mano su lombo reumatico, alla lettura del vangelo contro lo spavento o il malocchio, fino alle danze propiziatorie per una buona pesca o un buon raccolto, alle complesse "fatture" per innamorare una fanciulla riottosa o rendere la virilità a un marito o a un amante stanchi.

Il guaritore cura e dice messa.
Nella credenza popolare, soltanto alcuni soggetti della comunità sono in grado di officiare tali riti. Si tratta di soggetti di età e sesso diversi, i quali avrebbero ricevuto "unzione" o "mandato" di guaritori da altri guaritori in punto di morte; o anche si tratta di soggetti i quali possederebbero virtù terapeutiche o anche taumaturgiche per natura, cioè per diretta attribuzione da parte di Dio o del Diavolo (che in verità nella religiosità popolare si confondono spesso l'uno con l'altro, e c'è anzi più d'uno che sostiene che in effetti il Diavolo è più forte, ha vinto lui e siede come sommo reggitore al posto di Dio spacciandosi per lui).
Gli stregoni "fattucchieri" - con o senza veste talare - sono numerosi e tutti gelosissimi delle formule magiche, dette volgarmente brebus , dal latinoverbum. A Cabras, un grosso paese della provincia di Cagliari dominato dai feudatari degli stagni, un vecchio analfabeta, noto come "s'omini santu ", ha officiato per lungo tempo le funzioni del Mese Mariano a casa sua. Riscuoteva maggior seguito del sacerdote ufficiale, e fu diffidato dal continuare a far funzioni in concorrenza con la Chiesa cattolica. Trattandosi di un "abusivo" dovette piegare il capo e accontentarsi di operare nella sfera dei riti terapeutici, quali "s'acqua licornia ", "s'affumentu ", "su pinnadeddu ".
"S'acqua licornia " è un rito che con diverse varianti è diffusissimo in tutti i nostri paesi. Consiste nel ricercare le cause di una malattia nella posizione che assumono alcuni semi di grano sul fondo di un bicchiere d'acqua preventivamente resa magica con "is brebus ". La stessa acqua, bevuta o cosparsa in certe parti del corpo, opera la guarigione.
Anche "s'affumentu " è molto diffuso, e il suo rituale varia da paese a paese. Non ha valore diagnostico, ma soltanto terapeutico.

Riti magici con corni e palme.
Viene usato di solito per guarire dagli spaventi o dal malocchio. Il paziente viene affumicato da un suffumigio ottenuto con incenso dell'altare maggiore, fiori di cappella, palma benedetta e varie altre sostanze, messe su una tegola contenente un mucchio di braci.
"Su pinnadeddu " è semplicemente una sezione di corno di cervo maschio, le cui virtù esclusivamente preventive consistono nel tenere lontano il malocchio. Si ottiene pronunciando formule magiche nella prima notte di plenilunio. Quando l'amuleto è pronto si appende al collo: su di esso si scaricherà "il fluido malefico" dell'oghiadori (jettatore) o del fattucchiere.
"S'omini santu " di Cabras gode di molta fama e annovera una vasta clientela. Ne arrivano in lussuose auto da Cagliari e da Sassari. E non si tratta, pare, di clienti che passano per sprovveduti. Si dice che abbia ricevuto visite anche di onorevoli, in periodo pre-elettorale.

Il prete ortodosso converte il paese.
A X, un altro paese in provincia di Cagliari, gode fama di grande guaritore un sacerdote di fede ortodossa. Al quale la Chiesa cattolica non può vietare l'esercizio delle funzioni religiose, perché egli ha "legale licenza". Il nostro ha chiarissime virtù sacerdotali. Basta scorrere il suo curriculum vitae. Fin dalla tenera età fu attratto dal fascino degli arredi sacri, dal mistero delle funzioni. Seguì la carriera di sacrista in una basilica di fede cattolica. Veniva da lontano, e per il suo fare umile e dimesso, la gente lo chiamava "su gioghiteddu de Sant'Antoni " (il giullare di Sant'Antonio). Alcune "guarigioni" cominciò a operarle proprio in quel periodo. Spaventi e malocchi infantili, in particolare.
Un guaritore pediatra. Anzi, pedofilo. Il che gli valse - dicono - un'accusa di corruzione di minorenni. Da qui, una più approfondita crisi mistica sfociata in una clamorosa conversione alla Chiesa ortodossa. Il suo sogno recondito era forse di tornare da messia in quel paese da cui era stato escluso come sacrista. Se non che, i sogni hanno da fare i conti con la realtà. E la realtà dei nostri paesi si confonde, spesso, con il potere della Curia di santa romana chiesa, che difficilmente lascia spazio ai concorrenti.
Il nostro trovò finalmente uno spazio a X, una comunità che ha molti motivi di rancore nei confronti del parroco e che per fargli dispetto è anche disposta a cambiare religione. Fermatosi in casa di due anziane e pie donne, che si convertono subito alla nuova fede, il nuovo sacerdote fondò la sua chiesa. Morta una delle sorelle, la seconda lasciò tutti i suoi averi alla nuova chiesa. Oltre trenta famiglie, in poco tempo, abbracciarono l'eresia ortodossa. In quello storico periodo di zelo missionario, circolava lo slogan "O Roma o Costantinopoli ". Oggi, gli "eretici" hanno il loro posticino riservato in cimitero, possiedono una vasta area su cui contano di edificare una grande basilica, vantano molte più grazie ricevute dei cattolici.
Il martedì, in particolare, si ricevono le "grazie". In treno, in pullman o con mezzi propri, in quel giorno si snoda un corteo eterogeneo di supplicanti piovuti da ogni dove, per ottenere guarigioni e chissà che altro. Non poche sono le fanciulle "affatturate", le zitelle in cerca di marito e sposi o amanti dalle ridotte capacità amatorie.
Un male evidentemente assai diffuso, e per il quale la gente si rivolge ai guaritori anziché all'analista (che per altro qui non si sa nemmeno cos'è), è l'impotenza. Segue, nell'ordine, la verginità forzata, ovvero il "mal di zitella".
A B. - un paese del Nuorese - un sacerdote si è specializzato appunto nella cura dell'impotenza e del "mal di zitella". Si tratta del sacerdote G. C., il quale, per una delle sue prestazioni, è finito in carcere sotto l'accusa di truffa. Ha chiesto una somma intorno alle quattrocentomile lire, per officiare un rito.
Una sera si presenta a lui una zitella trentacinquenne, pregandolo di fornirle un elisir in grado di accalappiare un marito, possibilmente giovane e virile. Il prete le consegna del volgare bicarbonato di sodio, previo sciorinamento di magici "brebus". Tempo dopo, la zitella, in virtù del magico bicarbonato trova marito: un sessantacinquenne un pò malandato, ma sempre marito.

Vecchio impotente non teme fattura.
Al quale, su prescrizione del guaritore, propina diverse dosi della stupefacente polverina al fine di rivirilizzarlo. Inutilmente: il vecchio non è in grado di consumare il matrimonio, quantunque non gli faccia difetto la buona volontà.
La zitella comincia a pensare che forse la polverina che torna utile per acchiappare mariti agisce al contrario dopo le nozze, come fattura "debilitante". Torna quindi dal prete, che ascolta pazientemente il suo caso. "Niente paura" , dice. E dà alla donna uno speciale terriccio da spargere sul letto. Il vecchio sposo avrebbe ballato come un satiro in fregola. A una settimana di distanza, la donna torna ancora. Il terriccio ha fallito. Lo sposo non ce la fa proprio e sì che lei si prodiga. Il prete medita sulla faccenda. Certamente il vecchietto abbisogna di un trattamento più energico. Prende gli attrezzi del mestiere e si reca di persona nella camera da letto degli sposi.
Li fa disporre sul talamo. "Forze occulte stanno preparando a vostro danno terribili mali" , borbotta ieratico. E tratti tre candelabri li pone sul letto e li accende. Quindi trae tre grossi libri sacri e li situa nei punti chiave della coppia. Infine posa la sacra stola sul capo dello sposo esorcizzando i demoni dell'impotenza. Demoni terribili davvero, se nonostante tutto rimangono abbarbicati alle palle dell'infelice vecchio. Il quale ha finito per denunciare il prete come causa della sua impotenza.
Migliori risultati ottiene invece un guaritore di Iglesias, anche egli sacerdote consacrato, che si reca periodicamente in quella città e nel circondario per operare guarigioni. E' specialista in "vergini isteriche" - quei soggetti cui allo sfogo dei tradizionali "brufoletti" si aggiunge instabilità psichica con crisi mistiche. Dato che il nostro prete predilige le amicizie particolari, egli cura soltanto fanciulle che abbiano fratelli piacenti.
Nell'agiografia del "sant'uomo" si narra che egli sia stato chiamato in un paesino dell'Iglesiente per un caso urgente: una diciassettenne perseguitata da un demonio concupiscente, che non le dava requie né di giorno e tanto meno di notte. Di notte, aveva la sfacciataggine di trasformarsi in un marcantonio e di infilarsi sotto le lenzuola. La poveretta doveva soggiacere controvoglia alle violenze sataniche, e la lotta la lasciava al mattino tanto prostrata da toglierle ogni forza per accudire alle faccende domestiche. Un fenomeno oltre tutto negativo per l'economia familiare.

Lunga clausura col giovane invasato
Il santo sacerdote giunge nel tardo pomeriggio, accolto con tutti gli onori dalla famigliola. Subito egli si accinge all'opera, visitando uno per uno i componenti. A esame effettuato dice: "Qui, miei cari, il demonio non è nel corpo della ragazza ma di suo fratello. E' lui che bisogna esorcizzare. Sarà una faccenda lunga e difficile. Ma con l'aiuto di Dio e dei santi apostoli Pietro e Paolo ce la faremo. Intanto lasciatemi solo col ragazzo in camera sua, non prima di averla fornita delle cibarie occorrenti per almeno una settimana, dato che il mio compito potrebbe prolungarsi per tanti giorni".
Così viene fatto. Per cinque lunghi giorni, il guaritore lotta contro il demone lascivo che si è impadronito del giovane contadino, e alla fine riesce a domarlo. Di quanto dura fosse stata la "tenzone" ne faceva testimonianza il viso sofferto del sacerdote dagli occhi fondi cerchiati. Il ragazzo appariva completamente vuotato e ripulito da ogni carnale desiderio. Per un mese buono la fanciulla dormì sonni tranquilli. Il demone concupiscente riprese a molestarla allo scadere del mese. Nuova chiamata al prete guaritore. Nuovo esorcismo. Nuova severa punizione al demone del ragazzo.

 

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Tratto da ABC settimanale del 04.05.1973

di Ugo Dessy

I PRURITI DELLA POLIZIA

CAGLIARI: CHIUSI 57 CLUB GIOVANILI. SCHEDATI CIRCA 2000 GIOVANI E RAGAZZE SOSPETTATI DI VIOLAZIONE DEI SACRI PRINCIPI MORALI DELLA GENTE SARDA.

 

Cosa si nasconde dietro questa guerra scatenata contro la gioventù cagliaritana? A colloquio con i soci di alcuni club. I pretesti della droga, della corruzione giovanile, della prostituzione. L'offensiva mira a eliminare i circoli culturali e politici?

CAGLIARI, aprile
La guerra mossa dalla polizia ai circoli giovanili, a Cagliari, è in pieno svolgimento. I giovani sostengono validamente l'urto repressivo, e non ci tengono ad apparire vittime. Snidati da una parte si riorganizzano da un'altra. "La questura ci ordina di chiudere, ma non di non aprirne un altro" dice un fondatore e habitué di club, provocando tra i soci sorrisi sfottenti. La prima massiccia operazione di polizia si è conclusa un mese fa. Su ordine della procura della Repubblica sono stati perquisiti e chiusi 30 circoli. Il quotidiano che si stampa a Cagliari esalta la brillante operazione, rimasticando il comunicato stampa della questura.

Contro di noi senza motivo
"Per stroncare la dilagante corruzione che trova un ambiente assai favorevole nei circoli giovanili, il procuratore della Repubblica ha disposto una serie di controlli e perquisizioni che hanno portato alla chiusura 30 clubs e alla identificazione (si legga schedatura - n.d.r.) di oltre 1.200 giovani, 300 dei quali, per la maggior parte ragazze, minorenni. A conclusione delle indagini, gli agenti della Mobile hanno trasmesso un dettagliato rapporto all'autorità giudiziaria, denunciando 12 persone per avere aperto pubblici esercizi senza la prescritta autorizzazione, per aver organizzato trattenimenti danzanti. Un altro giovane, invece, è stato deferito alla magistratura per aver riaperto il club senza l'autorizzazione del pretore. Ciò in quanto il circolo, lo Studio 21 di via San Domenico, era già stato precedentemente chiuso durante un altro controllo della polizia".
Giorgio, 18 anni, lavora dove capita, attualmente aiuto-carrozziere, e assiduo frequentatore dello Studio 21: "La polizia si accanisce contro noi giovani senza un motivo. In base alla legge non può farci un tubo, ballare non è mica un reato, e neppure farsi una pomiciata con la ragazza. Che gliene frega a loro? Forse ci sarà qualche figlia di poliziotto col prurito e va nei clubs per farselo passare...".
Nella boutique "2001" di via Garibaldi, commessi e clienti sono giovani habitués di club. Abbiamo tirato fuori l'art. 18 della Costituzione che garantisce ai "cittadini il diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale".
Non conoscono la Costituzione, conoscono i loro diritti. "Noi sappiamo che un circolo non è un pubblico esercizio, perciò non occorre licenza o autorizzazione. Ci mancherebbe altro! Va a finire che dobbiamo chiedere il permesso per andare al gabinetto...", dicono.
In effetti è scandaloso che sulla base di imputazioni fasulle si deferiscano cittadini alla magistratura. Non possono considerarsi "fini vietati dalla legge" ascoltare musica, discutere, ballare e fare l'amore con la ragazza. E diventa ridicolo, oltre che illegittimo, il sequestro del "materiale" trovato dalla polizia durante le perquisizioni e trasferito con burocratico zelo d'inventario al palazzo di Giustizia: si tratta di giradischi, dischi, amplificatori, lampadine colorate, posters di divi della canzone e altri "peccaminosi" reperti. Per evitare il ridicolo, la questura sostiene di aver ricevuto "numerosi esposti" da parte di molti genitori, preoccupati dal fatto che i loro ragazzi frequentano i circoli, rientrano tardi a casa e trascurano gli studi, e che in "quei luoghi equivoci e malsani" si avviano "sulla strada del vizio".

Andiamo a prender vento?
Detto senza perifrasi, significa che imparano a fare all'amore smettendo con le esercitazioni solitarie.
Nello stesso mese di marzo, la polizia effettua un secondo massiccio rastrellamento che si conclude con la chiusura di altri 27 circoli. La motivazione ufficiale, data alla stampa, è sempre la stessa: "Per prevenire la delinquenza minorile". Stavolta però si cerca un giustificazione più seria, si fa balenare il pericolo della droga e della prostituzione. Infatti - si sostiene - a Cagliari droga e prostituzione passano attraverso i clubs.
Qual'è la risposta dei giovani all'ondata moralizzatrice che vede congiunte procura, polizia, stampa e borghesia nella crociata contro i circoli? La prima più diffusa risposta dei giovani è quella divertita di chi ci passa su perché non ha nulla da perdere. Per la maggior parte, gli habitués dei clubs sono sottoproletari, vengono da esperienze di lavoro minorile, hanno fatto i garzoni e gli schiavetti dei bar e dei negozi già a10-12 anni. Anche ora che hanno trovato un lavoro più dignitoso rifiutano un inserimento in una società che già da piccoli li ha emarginati. Non cercano un inserimento in un gruppo politico giovanile, parlamentare o extra, dove dettano legge gli studenti e i figli di papà. La città non dà loro alcuna possibilità di trascorrere in gruppo il tempo libero. Cagliari è una città che non offre distrazioni. Sopperiscono da se stessi a una carenza di strutture socio-rocreative.
I soci del club di Piazza Martiri - uno dei più chic e ricercati della città - si sono riuniti per discutere con ABC. Per la circostanza sono convenuti anche numerosi soci di altri clubs e ne è venuto fuori una specie di "congresso di clubisti".
"Come e perché nasce un club è presto detto" - attacca un anziano di 25 anni. "Siamo un gruppo di amici scoglionati perché non sappiamo dove andare a sbattere la testa nelle ore in cui non lavoriamo. Che fai? Ti chiudi in un cinema o te ne stai a zonzo? Oppure ti chiudi in casa con i vecchi? O se anche hai la ragazza, dove te la porti, a prendere vento passeggiando in via Roma? Allora troviamo un buco da qualche parte, ce lo attrezziamo come piace a noi e ci facciamo i cavoli nostri senza rompere le scatole a nessuno".
Sono sorti così un centinaio di circoli, dei quali - mi si dice - almeno una cinquantina funzionano egregiamente. Cagliari è una città cresciuta a dismisura, in funzione delle industrie petrolchimiche e delle basi militari che circondano l'abitato. Da un lato, con la forte imigrazione e il pullulare di militari americani e tedeschi, c'é una spaventosa carenza di abitazioni, che sono tra le più salate d'Italia (oltre centomila lire, tre vani più servizi con riscaldamento); da un altro lato c'è abbondanza di vecchie costruzioni inabitabili, specialmente nella zona alta di Castello: gli antichi palazzi spagnoleschi nobiliari offrono cantine e sottani che i giovani, con qualche ritocco, trasformano in caves all'esistenzialista, in accoglienti dancings o discoteche, dove essi trovano una dimensione loro autentica e libera dagli schemi repressivi e ipocriti della società.

Chiuso cinque volte
Un altro "anziano" fa la storia del club di Piazza Martiri: "Il nostro è uno dei più vecchi, ha sei anni di vita, un vero record, ed è stato chiuso almeno cinque volte dalla polizia. Prima ne avevamo uno in Via Lanusei; questo va meglio, è più centrale e ci vengono più ragazze. Siamo una quarantina di soci, più le ragazze che vengono con il loro ragazzo o con amici o anche sole o in gruppo. Paghiamo per i locali tutto compreso 45 mila lire mensili e dovremmo pagare 2.500 lire a testa di quota mensile, dico dovremmo perché non sempre abbiamo i soldi per pagare, tant'è che siamo cinque mesi in arretrato col fitto. Il nostro scopo è di stare insieme a divertirci, ascoltare musica, chiacchierare, leggere e ballare. Non credo che ci sia niente di criminale in questo."

Trovano i pretesti più matti
L'ultima incursione della polizia risale a febbraio scorso. "Noi stavamo ascoltando musica e giocando a tombola, guarda che combinazione! Si sono presentati con un mandato di perquisizione. Chissà che bombe cercavano! Hanno perquisito, rovistato ma non hanno trovato nulla. Allora ci hanno chiesto se tutti i presenti erano soci. Abbiamo detto di sì. "E le ragazze?", hanno chiesto. Le ragazze non sono mai le stesse, vanno e vengono, non sono socie. E questo è stato il pretesto per farci chiudere.
Prima di andarsene hanno minacciato di denunciarci per sottrazione consensuale di minori, perché - hanno detto - ragazze inferiori ai 21 anni non possono entrare nei clubs senza l'autorizzazione scritta dei genitori. Roba da ridere...".
"Per farci chiudere trovano i pretesti più matti", dice un giovane di un club del Castello. "Da noi, durante l'ultima perquisizione hanno trovato una bottiglia vuota di liquore, che usavamo con la candela infilata sopra per ornamento. Qui voi spacciate liquori - ha detto un appuntato - senza la prescritta autorizzazione. Noi abbiamo fatto presente che si trattava di una bottiglia vuota. Ma loro sono intelligenti e hanno risposto che prima era piena. Con questa scusa ci hanno fatto chiudere. Dopo un paio di giorni abbiamo riaperto".
"In effetti, la polizia, per farci chiudere, trova sempre qualcosa che non è in regola", dice un altro socio. "Ma che cosa vuol dire essere in regola?".
"Vuol dire avere il permesso dalla questura. Ma a chiunque l'ha chiesta o la chiede per aprire un club la questura non rilascia mai autorizzazione. Quindi siamo sempre fuorilegge, perciò quando non si trovano altri pretesti, si tira fuori la barzelletta della autorizzazione".
Le ostilità nei confronti dei circoli giovanili - nell'attuale forma esasperata e puntigliosa - sono state aperte dal procuratore generale Cocco nella sua relazione alla inaugurazione dell'anno giudiziario in Sardegna. Il Cocco dopo aver rilevato (contorcendo i suoi stessi dati) un aumento della criminalità giovanile (che si riduce a furti di auto, moto e accessori); dopo aver dissertato sui reati di libertà sessuale, afferma "doversi riconoscere, sempre in tema di delinquenza minorile, che è assai deprecabile la crescente diffusione di circoli e club frequentati da giovanissimi, che assumono talvolta tendenze antisociali e di sovvertimento di quei più sani princìpi che costituivano un tempo uno dei più ambiti pregi della gente di Sardegna".
Quali siano "quei più sani princìpi" che verrebbero sovvertiti nei clubs non è chiaro.
"Veniamo al sodo - abbiamo chiesto un pò provocatoriamente al congresso dei clubisti di Piazza Martiti -: se come voi dite siete bravi ragazzi che si riuniscono tra loro per ascoltare musica, fare tombolate e parlare delle faccende vostre, come vi spiegate che la magistratura e la polizia mostrino tanto accanimento contro i vostri clubs, ritenuti anticamera di criminalità, luoghi di perdizione, ricettacoli di drogati e di donnacce?".

Magnaccia di alto bordo
Si è scatenato un putiferio.
Mario, 22 anni, commesso: "E' difficile capire il perché di questo accanimento contro di noi. I motivi possono essere tanti. A Cagliari c'è un ambiente di preti, contrario alle iniziative dei giovani, se escono dall'oratorio della parrocchia... Forse pensano che nei nostri clubs succedono fatti strani, orge, perversioni, ragazzine scannate... Nel nostro club le ragazze sono una quindicina, non sono bambine, la polizia pensa che qui vengono traviate, ce n'è qualcuna qui, si può interrogarla... non è vero, perché se vogliono fare l'amore possono farlo in auto o fuori, dove vogliono, non è necessario venire qui...".
Tony, 17 anni, studente: "Perché ce l'hanno coi clubs? Dicono perché i ragazzi rientrano tardi a casa e non studiano. Balle! Tutti i clubs chiudono alle otto e mezzo, massimo alle nove di sera, perché le ragazze specialmente a quell'ora devono rientrare in famiglia, se no sono guai coi genitori.
Dicono che i clubs corrompono le ragazze che poi finiscono sui marciapiedi di viale Trieste...
Lo interrompe un anziano che ha qualcosa da dire sulla prostituzione: "E' un altro giro, quello della prostituzione, una società organizzata col benestare delle autorità, magnaccia di alto bordo che hanno la villa nelle spiagge della Villasimius, guadagnano milioni... ma che si vede che noi siamo di quella razza!?".
Riprende Tony: "Ma quale prostituzione! Una ragazza che va a letto per soldi sì, è una puttana, ma, se fa l'amore per il suo gusto col suo ragazzo, non si può parlare di prostituzione... può far l'amore con chi vuole, sempre se c'è la simpatia, e non c'è niente di male. Per la gente arretrata e per la polizia o anche per il borghese questo è prostituzione. La nostra mentalità, almeno credo, nel nostro circolo, è questa: se tu hai una ragazza e ci vai a letto e poi lei va con un altro ragazzo e fa l'amore con lui, tu non te la prendi... Perché non lo dovrebbe fare? E' giusto che ci sia una parità anche in questo. Non tutti la pensano così, i giovani, molti sono gelosi della ragazza, ma la mentalità si sta evolvendo in questa direzione, magari non apertamente, ma sotto sotto si cominciano a vedere i primi frutti...".

La droga qui non passa
Da qualche mese si fa un gran parlare di droga, a Cagliari, e anche apertamente, sul quotidiano del capoluogo, la droga si lega ai clubs. Non c'è nulla - e non si è ancora capito quali meccansimi si mettano in moto - che faccia spavento o che mandi in bestia i moralisti di tutte le categorie più della droga. Cosa dicono i clubisti ?
"Sì, lo sappiamo, ne abbiamo discusso. Qui siamio molti, di diversi circoli e questa è l'occasione buona per una smentita, per far sapere la verità alla gente. Il club è uno dei pochi posti dove la droga non passa, non può passare anche perché siamo sorvegliati speciali della polizia, saremmo fessi a farci incastrare. Noi vogliamo divertirci, stare con le nostre ragazze, e basta. La droga può passare più facilmente nelle scuole o in altri ambienti, che non sono sorvegliati, qui no. Possiamo smentire... Come principio, la maggioranza di noi è contraria alla droga e se qualcuno la pensa così è libero, ma se viene qui a proporre una cosa del genere la maggioranza lo prende a calci... Non escludiamo che qualche ragazzo o ragazza che si droga sia passato di qui, ma questo non vuol dire nulla. Per essere sinceri c'è stato una volta un socio, non facciamo nomi, è venuto a proporci di fare una fumatina, ma nessuno ha accettato... Pensiamo che la droga è una cosa che non porta a niente, ammesso che non danneggi la salute, è un piacere breve, insignificante. Ci sono tanti altri modi per star bene...".
C'è tra loro un anarchico, morde il freno, vuol dire la sua: "Non stiamo dicendo nulla di concreto. Non è un caso che la polizia ce l'abia coi giovani dei clubs, c'è un motivo politico, perché noi giovani la pensiamo in modo diverso da loro, i nostri modi sono spregiudicati, come li chiamano loro, specialmente con le ragazze, soprattutto per le ragazze, ma essenzialmente per ragioni politiche, perché la maggior parte dei giovani dei clubs sono di sinistra, anche quando non fanno politica, e la polizia non è certo di sinistra, quindi riunendoci possiamo diventare un gruppo politico, fare manifestazioni e dare fastidio alla polizia. Per questo, ci fanno chiudere...".
Sulla scia dell'anarchico, interviene un altro clubista politicizzato, uno studente liceale di 17 anni: "Non credo che la polizia sia diventata l'esercito della salvezza, che viene a farci la predica in difesa della verginità delle ragazze; della donna, vergine o no, a quelli non gliene frega nulla... Credo che ci perseguitano perché sfuggiamo al controllo, non sanno cosa facciamo e quindi pensano chissà quali diavolerie rivoluzionarie si nascondono qui... Infatti, come si spiega che i cosidetti circoli politici, fiancheggiati dai partiti, non li chiudono? E che cosa fanno in quei circoli? Mica parlano di politica! Ballano e pomiciano tutto il giorno e forse lì fumano anche l'erba... Vedi il caso del Club 53 di via Barcellona, l'hanno chiuso e allora si sono associati a un'organizzazione politica.

E' una protesta sbagliata
Ora non lo toccano più, perché c'è dietro un partito, che è come un canale, dentro ci puoi navigare tranquillo perché si sa dove si va a finire. I nostri clubs non sono un canale e non si sa dove vanno a finire, perciò la polizia ci mette in allarme, vuole avere tutto sotto controllo, se no s'incazza...".
C'è una categoria di giovani, per lo più studenti di estrazione borghese e politicamente orientati a sinistra, che frequenatno abbastanza assiduamente i clubs perché vi trovano occasione per trascorrere qualche serata piacevole con la ragazza - senza pagare biglietto d'ingresso come in un dancing - o se non hanno ragazza hanno la possibilità di trovarne una. Questi giovani sono severi nel giudicare i clubs, che a parere loro nascono da un modo sbagliato di protestare.
Uno del "Manifesto": "Nei clubs si va da soli o in coppia o in gruppo per ballare e divertirsi senza pensare a nulla. Le ragazze che li frequentano sono moltissime, quasi tutte studentesse, perché sono gli unici locali dove si balli aperti nel pomeriggio, quando è permesso loro di uscire di casa. Le ragazze ci vanno o in gruppo o con il loro ragazzo, mai da sole se sono ragazze serie... Può darsi che il comportamento spregiudicato di queste ragazze sia una forma di protesta alla repressione della famiglia e della società, ma è una protesta sbagliata...".
Una studentessa dello scientifico, assidua dei clubs: "Se cerchi una mentalità aperta nei clubs non la trovi, tutta apparenza. Prima di tutto chi li organizza parte con l'idea di formare un posto dove si pomici, dove sia facile portare le ragazze a fare l'amore, si comincia con qualche puttanella e poi se ne trovano nuove. C'è chi va con la ragazza fissa, e quella guai a chi la tocca... Chi bolla le ragazze poi sono gli stessi soci che se ne vantano e lo dicono in giro; quando si sono serviti, la passano ad altri... Io ci vado solo col mio ragazzo, per ballare".
Abbiamo chiesto a un gruppo di giovani di "proletari autonomi", un gruppo libertario di Cagliari:
"Cosa pensate della chiusura di quasi tutti i clubs della città? Vi sentite interessati a questo problema?".
"Su questo problema si è sviluppato proprio in questi giorni un dibattito fra i compagni. La prima considerazione fatta è stata quella sull'ambiente... insomma il tipo di gente che frequenta i clubs. Si tratta per lo più di ambienti alquanto squallidi, frequentati da studenti qualunquisti alienati, che pensano solo a farsi la pomiciatina... il che, in poche parole, per diversi compagni significa: tutto questo non ci riguarda...".
"Avete quindi concluso che la questione non vi interessa...".
"Eh, no! Il fatto è che abbiamo concluso che non tutti i clubs sono ambienti piccoli-borghesi; ci sono anche diversi clubs frequentati da giovani proletari... ovviamente anche qui la discussione politica è alquanto carente, ma non manca del tutto. In secondo luogo ci vuole poco a rendersi conto del fatto che la repressione poliziesca dei clubs è un primo passo per arrivare alla soppressione dei circoli culturali e delle sedi politiche rivoluzionarie. Ecco quindi che la chiusura dei clubs rivela il suo aspetto politico: attacco alla libertà di riunione; attacco alla liberalizzazione dei costumi sessuali... Non dimentichiamoci che oltre allo sfruttamento e alla repressione economica e politica esiste anche una super reazione, in ritardo con la stessa evoluzione capitalistica, che si oppone alla libertà sessuale... preti, frati suore, militaristi, azione cattolica eccetera, tutti perfettamente inseriti nel sistema capitalista ma ancora più a destra del capitalismo, in materia sessuale.

Ragazze rimaste incinte
"In conclusione: anche se gli stessi ragazzi dei clubs non lo sanno, anche se molti di loro sono qualunquisti, in ogni caso il club rappresenta sempre un possibile luogo di incontro e di discussione, di dibattito delle idee e quindi di sovversione. Per questo i poliziotti reprimono i clubs, a meno che il gestore non sia un delatore della polizia o non faccia del club un dancing e basta. Per quanto riguarda poi tutte le storielle sulla droga, sulla prostituzione e sugli invertiti, non vale neanche la pena di parlarne".
Intanto la guerra ai clubs si è allargata, da Cagliari a Quartu, un grosso centro di circa 50 mila abitanti. Il pretesto ufficiale che ha dato l'avvio alle ostilità a Quartu sono alcune ragazze rimaste incinte. Pare che i tutori dell'ordine abbiano assodato che al momento del concepimento le sopraddette ragazze si trovassero in un circolo. "Le indagini sulla complessa vicenda - scrive il quotidiano di Cagliari - sono circondate dal massimo riserbo".

 

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Tratto da ABC settimanale del 01.06.1973

di Ugo Dessy

L'HASHISH FATTO IN CASA ERA UN OTTIMO PURGANTE

IMBARAZZANTE ESPERIENZA DI GIOVANI-BENE DI ORISTANO (SARDEGNA) ALLA RICERCA DI NUOVE SENSAZIONI.

Raccolta la "cannabis indicata" nei giardini di Arborea, l'hanno distillata artigianalmente. Il risultato è stato una forte purga.

CAGLIARI, maggio
Il "play-boy" Paolo Vassallo, gestore del "Number One" romano, è stato accusato nel processo in corso dal produttore cinematografico Torri di avere spacciato la droga anche nel "Number One" di Porto Cervo, la capitale della Costa Smeralda regno di Karin Alì Kan. Paolo Vassallo smentisce il Torri, e ha certamente le sue buone ragioni per farlo; resta di fatto che la jet society che si dà convegno nel favoloso regno sardo-ismailico di Karin pare non disdegni le eperienze hippies per vellicarsi le dannunziane "voglia inerti" durante i lunghi ozi estivi.

Sviluppo turistico
I tutori dell'ordine vigilano, giustamente preoccupati della sanità della stirpe. Ma le cattive abitudini, specialmente se giungono dall'alto, vengono rapidamente imitate. E così, la psicosi (o prurito che dir si voglia) della droga si è diffusa anche nella società bene di Oristano, una cittadina che ha bellissime spiagge, ottime prospettive di sviluppo turistico, ma tra vescovo e ras democristiani porta ancora i mutandoni e muore di noia.
Già da qualche tempo si andavano diffondendo voci su un presunto traffico di una non bene identificata droga. Le voci avevano la loro massima consistenza nell'ambiente più chic della cittadina, la via Dritta dove ritualmente si snoda la passeggiata serotina, dalla Torre di Mariano alla statua di Eleonora. Alcuni "giovani leoni" venivano guardati con sospetto perché, oltre tutto, apparivano più mosci e annebbiati del solito.
Per la verità, le voci avevano basi abbastanza logiche, ad analizzare deduttivamente i fatti. In primo luogo - senza scomodare la psicosi della droga - c'erano precedenti locali: il caso degli stupefacenti di San Vero Milis, un paesino vicino, che diversi anni prima era culminato con l'arresto di due professionisti. In secondo luogo c'era - e c'è - anche a Oristano una jet-society turistico balneare, non ancora giunta ai fasti di quella della Costa Smeralda, ma pur sempre alla moda; e moda vuole che un pizzico di droga elevi il tono e il prestigio.
E oltre ciò c'erano "misteriosi" spostamenti in auto - per lo più coppiette in spider e Mini - dalle marine brulle del Sinis alle pinete che costeggiano il mare di Arborea, e c'erano notturni convegni di "giovani leoni" in diverse imprecisate località balneari che si protraevano fino alle prime luci dell'alba. Elementi in avanzo per alimentare le voci e far tendere le orecchie ai tutori dell'ordine.
Il traffico - congetturavano i più sagaci - non poteva che correre lungo l'arco del golfo. Probabilmente, il panfilo contrabbandiere proveniente da Oriente attraccava nell'isola del Mal di Ventre, che dista poche miglia dalla costa, e da lì il carico veniva prelevato da potenti motoscafi che puntavano sulla marina di Arborea, quasi sicuramente nella zona sud che è paludosa e mefitica nonostante la bonifica di Mussolini, e quindi deserta.
Alcuni, però, si mostravano scettici. Dicevano: "Possibile che la facciano sotto il naso delle guardie di finanza? Ma se hanno la loro palazzina proprio affacciata sul golfo e hanno ricevuto di recente in dotazione potentissimi cannocchiali?".
La psicosi della droga dava ai molti un estro e una sagacia da FBI.
Replicavano: "Mica sono fessi, i contrabbandieri. Quelli, la droga la nascondono negli sci acquatici, e con la scusa di fare dello sport, va e vieni, ti trasportano qualche chilo di merce al giorno". E c'era anche chi faceva il conto dei milioni incassati - seduto al tavolino nel bar di Ibba - presupponendo tot lire al grammo.
Chissà perché tutti erano convinti che si trattasse di hashish. Lo si dava per scontato, che il traffico fosse di hashish. E quasi ci azzeccavano.
Infatti l'hashish si estrae dalla cannabis indica, di cui una varietà è diffusissima nei pubblici giardini, in particolare nella vicina Arborea che ne coltiva a foglie verdi e rossicce, con inflorescenze di vario colore, tutte, per altro, varietà innocue.
Che cosa era accaduto nella realtà? In omaggio alla migliore tradizione oristanese - che è l'autarchia economica di chi fino a pochi anni fa ricavava gli ami per la pesca degli spini di una pianta selvatica - un gruppo di intraprendenti "giovani-bene" aveva pensato di ricavarselo da sé, l'hashish. Precisamente estraendolo dalla cannabis indica sottratta ai giardini pubblici.

Vecchio alambicco
Il piano fu studiato e organizzato nei dettagli. Ognuno si assunse un compito preciso. Il figlio dell'avvocato mise a disposizione la villa isolata sulla spiaggia e un fornello a gas. Il figlio del farmacista fornì un vecchio alambicco per la distillazione del prodotto. Il figlio del commerciante mise a disposizione una damigiana di vernaccia vecchia per "tenere su" l'equipé durante le operazioni.
Un'universitaria sessualmente emancipata si assunse l'onere dei trasporti con la sua Mini giallo senape, e insieme al suo, come si dice partner, con veloci notturne puntate sui giardini della piazza di Arborea, in due o tre razzie riempì un sacco di cannabis indica, rizomi compresi.
Sulla importanza del rizoma, ai fini della estrazione dell'hashish, consultarono inutilmente l'enciclopedia medica del Casalini. L'hashish lo si reperisce solo nelle foglie o nella canna o nel rizoma? Decisero di mettere a bollire nel pentolone tutto quanto, e per rendere la droga più efficace ci aggiunsero una bustina di pepe di Cajenna, un bel pò di cannella (notoriamente afrodisiaca) e un litro di vernaccia.

Nessuna reazione
La fase della distillazione apparve subito la più delicata. Il tempo scorreva interminabile. L'essenza "paradisiaca" si raccoglieva goccia a goccia nel beccuccio e veniva religiosamente raccolta in una boccetta. Le imposte erano serrate per non lasciar filtrare luce all'esterno. Gli animi erano tesi e impazienti. Il figlio del commerciante faceva la guardia passeggiando fuori. La vernaccia scemava nella damigiana. La poltiglia gorgogliava nell'alambicco. Di fuori, la risacca si univa al gracidare delle rane della vicina palude.
A operazione ultimata decisero di provare tutti insieme. Si munirono ciascuno di un cucchiaino, dieci gocce a testa, e misero in bocca. La storsero tutti insieme. Il liquido, oltre che amaro, era - come ebbero a raccontare più tardi - schifoso.
Attesero una mezz'ora che facesse effetto. Niente. Nessuna reazione erotica. Nessuna allucinazione, né visiva né auditiva. Nessun paradiso con Urì. Soltanto lo stordimento per le abbondanti libagioni di vernaccia. Il primo a sentire "qualcosa" fu il figlio del farmacista. Accusò volgarissime fitte addominali e dovette correre alla toletta. Gli altri dovettero precipitarsi fuori...
I fatti sono veri. O almeno sono stati raccontati così dagli stessi protagonisti. I quali da questa esperienza hanno ricavato che gira e rigira la vernaccia resta a Oristano l'unica cara, provata e lecita "droga". E alla prima occasione, che di solito non fanno mai attendere, si sono ripromessi una solenne sbronza.

 

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