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Tratto da Alfa Sardigna, documenti Maggio 1977

Testimonianze di lotta popolare

Riportiamo in altra parte del giornale la cronaca dei recenti fatti di Cabras che riporta ala ribalta l'annosa questione degli stagni. Il feudo lagunare dei Carta si regge ormai in piedi soltanto con l'omertà o il disinteresse della classe politica e con la violenza delle guardie padronali. La popolazione di Cabras, in testa i pescatori, non desiste dalla lotta per la pubblicizzazione di queste acque, lotta che porta avanti ormai da quasi vent'anni con tenacia.
Lo scrittore Ugo Dessy, che ha vissuto a Cabras e ha partecipato alla lotta antifeudale, ha raccolto le testimonianze dei protagonisti nel saggio "La rivolta dei pescatori di Cabras", edito da Marsilio. Per gentile concessione dell'Editore, tralasciamo dal libro di Dessy uno dei tanti episodi di violenza commessi da servi e guardie del padronato contro i lavoratori degli stagni per intimidirli e fiaccarne la volontà di lotta.

"Nel mese di giugno (1962) i feudatari denunciano i pescatori delle paludi di aver sconfinato e pescato nelle loro acque. L'accusa è di furto; Il machiavellico giuridico prende corpo - La magistratura si presta al gioco - non si sa fino a che punto ingenuamente cominciano ad affluire a Cabras camion di carabinieri. I carabinieri del luogo, diretti da un certo maresciallo Serra indagano e preparano i verbali d'accusa.
"La notte del 25 giugno, i pescatori padronali guidati da valvassori servi di peschiera, preparano un posto di blocco lungo la strada che dalle paludi porta al paese; La loro intenzione è di aggredire i pescatori liberi, con lo specioso pretesto che il pesce che trasportano è stato pescato nelle acque feudali e quindi è refurtiva.
Le donne, saputo dell'agguato, corrono ad avvertire i loro uomini del pericolo; vengono intercettate, fermate dai padronali, percosse e svillaneggiate. I carabinieri - che sono ne pressi - non intervengono.
Alcune donne riescono ad eludere il blocco padronale, passando attraverso i giuncheti. I padronali, sfumato il fattore sorpresa, si spostano al primo ponte, vicino al paese, predisponendo un altro blocco. Vengono anche fermati diversi contadini che si recano al lavoro, perché ritenuti simpatizzanti dei pescatori liberi, onde evitare che possano dare l'allarme.
Quando i pescatori, che rientrano dalle paludi preceduti dal mezzo che trasporta il pesce, passano sul ponte vengono assaliti da due lati da un centinaio di padronali; Il mezzo viene danneggiato a sassate. Si accende una violenta mischia; le forze dell'ordine presenti nella zona non intervengono;
"Ero rimasta a prendere il fresco sull'uscio di casa fino a tardi; mi ero appena messa a letto, sarà stata mezzanotte, quando mi hanno bussato alla porta: "Alzati! Corri! alzati! Che ci sono i servi del padrone appostati all'uscita dalle paludi". Mi sono alzata in fretta e sono corsa fuori dove c'erano altre quattro mogli di pescatori".
E zia R. che racconta, seduta con le altre donne sul pavimento di terra battuta. C'era zia C. che si alza in piedi quando parla e zia M. moglie del presidente della cooperativa, alta snella nel suo abito nero, e altre. Ci sono tutte e quindici e le donne che ieri notte hanno affrontato lo scherno e le percosse della gentaglia padronale.
Zia R. è una donna piccola gracile, invecchiata anzi tempo. Si rimboccale maniche della blusa per mostrare i lividi delle botte. Riprende a dire: "Era mezzanotte, e siamo corse alle paludi ad avvertire i nostri uomini della imboscata. Arrivati al quinto ponte c'era uno sbarramento di pali, e loro c'erano, sulla strada che fermavano tutti, anche quelli che andavano a lavorare nel Sinis; I più erano sparsi nella palude, nascosti in mezzo ai giunchi. Si vedevano perché ogni tanto accendevano le pile, ed erano armati, chi di bastone che di roncola e chi di fucile. Quando ci hanno viste, ci hanno riconosciute subito. "No, voi non passate da qui ad avvertire nessuno, puttane che non siete altro!". Che ne hanno detto e fatto di tutti i colori, se ne sono approfittati perché eravamo sole, quei vigliacchi. Prendevano terra e ce la buttavano in faccia beffandoci: ci hanno preso in mezzo ruttando e scoreggiando come bestie per umiliarci, e ci dicevano: "dallo stagno già vi facciamo uscire noi, puttane!" Poi ci hanno picchiato e noi non potevamo fare nulla, in quindici contro tutti loro. Ci siamo difese come abbiamo potuto e siamo tornate indietro, pensando a come fare per avvertire i nostri uomini. Non sapevamo niente, e se passavamo così ignari avrebbero potuto circondarli e massacrarli senza neanche difendersi. Per fortuna è passata di lì la carretta di mio fratello B. che fa il contadino, ci sono saltata sopra e mi sono nascosta in mezzo ai sacchi. Quando la carretta è arrivata in mezzo allo sbarramento, i servi del padrone l'hanno fermato.
"Torna indietro - dicevano - non passa nessuno, stanotte. "Mio fratello ha risposto: "Matti siete? Cosa state dicendo? Non sapete che uno sbarramento così non lo può fare nessuno? Solo i banditi o possono fare. Lasciatemi passare in pace che io sto andando a lavorare la mia terra". E quelli niente: "Se perdi di lavorare ti paghiamo i danni noi". E mio fratello: "Altro che danni, mi pagate, pieni di merda che non siete altro! In galera vi mando! Alla fine è riuscito a passare, quasi di forza; però hanno guardato nella carretta per vedere se c'era gente, ma non mi hanno vista perché ero nascosta bene; I nostri uomini, quando mi hanno vista scendere dalla carretta, hanno detto: "E' una nostra donna, cosa sarà successo?".
"Io mi sono messa a piangere e ho raccontato tutto. Ma loro invece lo sapevano già, ed erano pronti".
La donna rivive quei momenti di tensione; nelle ultime parole c'è un tremito di voce che prelude al pianto. Un'altra compagna interviene subito, coprendo il silenzio con la sua testimonianza.
"Era quasi l'alba. Tutte quelle che non eravamo riuscite a forzare il blocco, prima siamo tornate in paese, poi ci siamo riunite tutte e abbiamo
ripreso la strada. Arrivate al primo ponte abbiamo intravisto i servi del padrone appostati e più in fondo i nostri che avanzavano con i loro attrezzi in mano, fiocine e pertiche. Davanti era il furgone di Mirai. I servi del padrone hanno circondato il furgone, tentando di rovesciarlo dal ponte.
Hanno fato in tempo soltanto a spaccare i vetri e a sfasciare uno sportello, quando sono arrivati i nostri uomini. Allora siamo corse anche noi nella mischia. Questa volta non ci hanno fatto quello che hanno voluto, quei mascalzoni! I più sono scappati come conigli, e i nostri uomini non erano neppure la metà di loro!".
La mattina, Mosé e gli altri sono riuniti nel magazzino di Mirai, per compilare la denuncia contro i servi e i mandati per il blocco, per la violenza subita in particolare dalle loro donne. Gli ha chiesto, scherzando:
Niente di rotto?" Ha risposto:
"Le ossa peste deve averle qualcuno di quei venduti...
Meno male che le donne sono riuscite ad avvertirci, diversamente poteva finire male, per noi.
E poi dicono che le donne devono restare in cucina! I giornali democratici dovrebbero scriverle, queste cose, in Italia. Dovrebbero sapere anche che i carabinieri erano stati avvertiti e non hanno mosso un dito. I carabinieri sono venuti da noi dopo che le donne sono state picchiate e offese e ci hanno detto: "State tranquilli, tornate pure in paese, tutto è a posto". E invece, i servi dei padroni erano ancora lì, e loro, poveretti, nemmeno li avevano visti".
Le donne sono nuovamente riunite. E' arrivato il segretario della camera del lavoro di Oristano. Gli stringono la mano, una ad una, gli danno del tu. Non si sono riunite soltanto per raccontare di fatti accaduti: si è sparsa la voce in paese che stasera i servi del padrone si riapposteranno, armati stavolta e decisi a sparare, per rifarsi dello stomaco di avantieri. Le donne hanno avvertito i carabinieri e i loro uomini nelle paludi. Ma non riescono a stare quiete e si sono date convegno qui, in casa di zia M. la moglie del presidente della cooperativa, per decidere insieme il da farsi.
"Quando mai stiamo qui?!
- dice zia R., guardandosi intorno angosciata - e se succede qualcosa agli uomini?
Quando mai stiamo qui, aspettando, con questo pensiero nella testa?...".
Sono tutte d'accordo: pronte a partire per le paludi. E sono appena le nove di sera.
Il segretario della camera del lavoro dice:
"No, non dovete andare. Così aggravate la situazione. State tranquille. I carabinieri di qui sono stati già avvertiti, e io avvertirò il comando dei carabinieri di Oristano: non possono prendersi la responsabilità di non intervenire, dopo ciò che è successo. Cercate di stare tranquille, stanotte.
Domattina all'alba i nostri uomini saranno tornati e non sarà accaduto nulla, vedrete".
Zia R., e le alter scuotono il capo, pure approvando il suggerimento.
"Sì, sì, hai ragione, sì... ma come facciamo noi a stare tranquille, in casa?".
So già che stanotte, come l'altra notte, nonostante sappiamo dei fucili che potranno sparare, andranno tutte e quindici dai loro uomini, per proteggerli.
I pescatori liberi, sporgono denuncia contro gli aggressori: così le loro donne e il proprietario del furgone danneggiato.
Circa due mesi dopo, in luglio, vengono arrestati i denunciati: il proprietario del furgone, Mirai, i presidenti delle cooperative Gran Torre e Tharros e altri pescatori, sotto l'accusa di furto continuato e aggravato di pesce ai danni dei feudatari. Tale accusa è una mostruosità giuridica: anche ammesso che i pescatori della palude abbiano sconfinato dalle acque in loro concessione, può configurarsi (come era da tempo avvenuto) un reato di pesca abusiva; Come si possono rubare dei esci, se sono liberi e si spostano liberamente dal mare allo stagno? La magistratura Oristanese non ha mai saputo rispondere agli inquietanti dubbi della opinione pubblica, che parlava di una connivenza coi feudatari.
Mosé si è dato alla latitanza. Mi dice:
"Questo foglietto che conservo è uno dei mandati di cattura.... ne manca un pezzo giù, non avevo cartine e l'ho usato per farmi una sigaretta....Leggilo tu che sai leggere....".
Leggo: "Il giudice istruttore del tribunale di Oristano; dottor Giulio Segneri, visti gli atti del procedimento e le conclusioni del P.M. a tenere degli artt. 251 e segg. C.P.P. ordina la cattura di Secchi Mosé, Secchi Simone, Atzori Salvatore, Mirai Manlio - impuntati - i primi cinque di furto
aggravato continuato ai sensi dell'artt. 81 CPV 110-112 N° 2,624,625 N°5 e 61 N° 5 e 7 CP per essersi in correità e in unione fra loro, e con altre quaranta persone riunite e con più azioni esecutive dello stesso disegno criminoso, impossessati al fine di trarne profitto di ingenti quantitativi di pesce che pescavano nello stagno di Cabras, sia nella fascia costiera, sia al largo delle rive, dal dicembre 1961 al 17 luglio 1962 a danno del proprietario dello stesso, Corrias Alfredo, Corrado e Carta dottor Efisio e più.....".
Per tutto luglio - conclude Dessy - continuano gli arresti e la ricerca dei pescatori lontani. Uno ad uno, (sono oltre quaranta i mandati di cattura), alla chetichella per evitare un tumulto popolare, si eliminano gli uomini di punta della resistenza antifeudale. Ad arrestare Simone Secchi sono andati ventiquattro carabinieri, poiché egli abita nel rione Veneziedda, dove abitano molti pescatori ed è più sentita la lotta per gli stagni.
Sessanta famiglie vivono nel terrore, senza lavoro, senza pane. Nessuno più osa mettere piede nella stessa fascia di palude che pure è costata tanti sacrifici per averla in concessione.

 

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