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Giornali / Riviste


Articoli scritti da Ugo Dessy per la rivista Alfa Sardigna nel corso di alcuni anni


NB: ogni articolo può essere scaricato, nel formato epub o pdf, indipendentemente dagli altri. I pulsanti per il download sono presenti sotto ogni articolo.
 

 



Tratto da Alfa Sardigna Cronache di comunità  Maggio 1977

Cabras: I feudatari imperversano ancora

In attesa che si pronunci la magistratura, la popolazione di Cabras si è già pronunciata: i due pescatori sono stati assassinati.
I pescatori Gioacchino Pinna di 33 anni e Giovanni Atzori di 32 vengono ritrovati il 17 gennaio nello stagno a circa cento metri dalla riva. La loro barca è sommersa, con la prua incagliata nel fondo melmoso. Gioacchino e Giovanni sono abili nuotatori, in quel tratto di stagno ci saranno sì e no da un metro e mezzo a due metri di acqua. Erano entrambi a pescare due giorni prima, il sabato sera, sul tardi. La loro morte viene fatta risalire dagli esperti alle prime luci di quella stessa notte di sabato, 15 gennaio.
Se si sofferma l'attenzione sul fatto che gli stagni di Cabras hanno fondali bassi, che difficilmente venti o buriane possono renderlo tempestoso (anzi, le anguille si pescano proprio nelle notti di buriana, quando le acque sommuovono il fondo melmoso) e che mai pescatori vi sono affogati, se ne deduce logicamente il dubbio che possa non trattarsi di una disgrazia, tanto più che Gioacchino conosceva da bambino lo stagno dove pescava da sempre e che ambedue erano esperti di nuoto.
Ma la popolazione di Cabras ha più precisi e fondati motivi per dubitare della tesi della disgrazia subito ventilata dalle forze dell'ordine, dagli inquirenti e dal patronato lagunare, tanto precisi e fondati da sostenere che i due giovani siano stati fatti fuori da chi poteva avere interesse a
farlo. Tradotto in parole semplici e chiare, soltanto i padroni degli stagni e i loro tirapiedi o come si chiamano lì" zaraccus e guardias". Certo, sono accuse, non dimostrate, almeno finora, nel senso che non si è ancora potuto dare un nome agli assassini. Ma è più che una convinzione una certezza che due giovani abili nuotatori non affoghino così, tutti e due in un bicchiere d'acqua.
Dice la gente: come mai, la barca che era di plastica, inaffondabile, è invece andata a finire infilata a testa in giù? Chi l'ha spinta e infilata così sul fondo? Non certo i due giovani, se fossero finiti in acqua a causa di un ribaltamento della stessa barca.
Ancora: i giorni precedenti, le forze dell'ordine, venatoria e servi dei padroni hanno intensificato le loro azioni di repressione, sequestrando natanti e attrezzi, minacciando, infierendo sui pescatori cosiddetti abusivi.
Gli animi non erano certo sereni; prima o poi gli scontri degenerano.
La gente continua: i corpi dei due "annegati" presentavano ferite e tracce di violenza. Non si sono certo accapigliati tra loro, ammazzandosi l'un l'altro.
Infine c'è la testimonianza di una famiglia che abita sulle rive dello stagno che assicura di aver sentito provenire dalle acque voci e urla come di persone che stessero litigando.
Al di là di quello che sarà il verdetto degli inquisitori, un fatto è certo: il feudo maledetto dei Carta, che tanti sacrifici è costato al paese di Cabras, ha fatto altre due vittime. E queste vittime sono, come sempre, due poveri lavoratori.

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Tratto da Alfa-Sardigna periodico mensile del maggio 1977

Liberiamo Pier Leone

In carcere è rimasto solamente lui: Pier Leone Porcu, militante anarchico è tutt'ora ristretto nelle carceri cagliaritane, in attesa che il giudice istruttore, dott. Caddeo chiuda l'istruttoria formale che vede più di venti giovani denunciati pere la manifestazione organizzata il novembre scorso dai Collettivi Studenteschi in segno di protesta contro l'accoltellamento dello studente A. Adamo e culminata con la rottura di alcune vetrine da parte di un gruppo di giovani staccatisi dal corteo. Dopo qualche settimana fioccano le denuncie e i mandati di cattura, eseguiti quasi tutti immediatamente.
Com'è usuale in questi casi, trattandosi di imputati per lo più incensurati, gli arrestati, tutti anarchici, vengono rimessi in libertà.Non tutti però. Lo strano è che Pier Leone Porcu, al quale vengono mossi gli stessi addebiti dei suoi compagni, subisce di fatto un trattamento diverso.
Ed è questo che ci fa pensare. Esistono forse due pesi e due misure? «La realtà - sostengono negli ambienti del movimento anarchico - è che P. Porcu, benché abbia a sua discolpa la precisa testimonianza di un giornalista, viene tenuto dentro solamente per le sue convinzioni politiche». Pare infatti che il Porcu si sia rifiutato categoricamente non solo di rispondere alle domande rivoltagli dal giudice, ma anche di riconoscere la stessa magistratura? D'altra parte, conoscendo la sua fede politica sarebbe stato strano aspettarsi un comportamento diverso.
Le nostre carceri sono gonfie, come la stessa magistratura asserisce, di migliaia di detenuti in attesa di giudizio che potrebbero essere messi in libertà senza pregiudicare in alcun modo l'accertamento della verità.
E questo devono aver pensato i giudici della sezione istruttoria d'Appello quando hanno deciso di mettere in libertà provvisoria i coimputati di P. Porcu. Ci pare logico, d'altra parte, il mantenimento in stato di detenzione del Porcu, il quale, in buona sostanza sembra che non debba rispondere di niente di più dei suoi compagni se non di una certa sua coerenza nel praticare le proprie idee. Intanto continua a svernare nelle patrie galere, mentre Sergio Col, altro giovane anarchico imputato degli stessi reati, è costretto a stare lontano da casa per evitare una lunga carcerazione preventiva.
In tutta sincerità non ci sentiamo di dargli torto, considerate le sue precedenti traversie giudiziarie, che vanno dalla sconcertante denuncia relativamente alla contestazione femminista di uno spogliarello al Teatro Alfieri (denuncia che ha colpito diversi altri esponenti della sinistra extraparlamentare) ai sei mesi trascorsi nel carcere di Buoncammino durante la montatura Pilia, per essere poi assolto, in sede processuale, con formula ampia. Che cosa accomuna questi due giovani, oltre al fatto di essere entrambi coinvolti nello stesso procedimento penale? «Solo le loro convinzioni politiche. Infatti il ripetersi di denuncie a carico dei due compagni e la loro strettissima sorveglianza da parte della polizia concretizzano l'intenzione di criminalizzarli e di fare di loro dei veri e propri pregiudicati politici da buttare in ogni calderone», cosi come si sono espresse alcune persone durante una manifestazione di solidarietà in favore dei due anarchici.
Non vorremmo che rientrassero dalla finestra quelle norme così tristemente in auge nel ventennio fascista, che calpestavano la libertà di pensiero politico e che la storia ha ampiamente condannato.

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Tratto da Alfa-Sardigna periodico mensile del maggio 1977

La democrazia dei carri armati

Tutto il mondo è paese - dice bene la gente. Dopo Budapest e altre viene Bologna. I carri armati: lì per salvare il socialismo; qui per salvare la democrazia.
Un socialismo fasullo - gridavano scandalizzati i corifei della civiltà democratica occidentale - ma che razza di socialismo e quale libertà c'é a Budapest se per contenere e imbavagliare il popolo si usano i carri armati?
Gridavano, e spargevano fiumi di lacrime per la povera gente di Ungheria oppressa da un potere tiranno e liberticida.
Una democrazia fasulla - grideranno certamente ora i corifei della civiltà socialista orientale - ma che razza di democrazia c'é a Bologna, se per contenere e imbavagliare il popolo si usano i carri armati? Grideranno, e spargeranno fiumi di lacrime per la povera gente d'Italia oppressa e umiliata da un potere tiranno e liberticida.
Seppure farsisticamente, le rappresentanze di ambedue i poteri egemonici che appestano l'umanità dicono la verità. Perché i due poteri non sono che due facce dello stesso potere. La sostanza del potere é una sola, é fascismo cioè oppressione, violenza e sfruttamento. Il potere é in pratica lo strumento essenziale per lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Che non può concretarsi e perpetuarsi senza l'oppressione delle leggi, senza la violenza della repressione armata.
Le teorie liberali del Locke e comunistiche dei Marx crollano nei loro assunti libertari davanti ai fatti - il popolo ha una propria idea di libertà e dell'ordine economico e sociale che non torna ne può tornare mai giusto con teorie che pretendono di avere scoperto la verità e che questa verità impongono con il potere, con la violenza dei carri armati.
La verità, anche le più credibili, se portate su un piano di assoluto categorico per salvarsi dalla spietata verifica della storia, dei fatti, finiscono per diventare intoccabili assurde divinità - per le quali qualunque criterio contro l'umanità è dichiarata legittima.
Ricordiamo le giustificazioni dell'uso dei carri armati a Budapest contro il popolo insofferente alla tirannia del socialismo: si trattava di teppisti di criminali comuni, tutta la gente che si dava ad atti di vandalismo sfasciando negozi, caserme, palazzi di rappresentanza del potere.
Sono le stesse precise giustificazioni del ministro della repressione Kossiga e di chi lo manovra: i giovani di Bologna, e di tutta l'Italia, insofferenti ad un potere fascista, ladro e assassino, sono bollati tout court come teppaglia sovversiva.
Ricordiamo i disperati appelli della radio di Budapest in mano ai giovani in rivolta, quando arrivati i carri armati dovettero arrendersi alla violenza del più forte, le ultime parole di condanna contro gli scherani del sistema che già abbattevano le porte e si apprestavano a devastare, a percuotere, ad arrestare… Radio Alice alle 11 di sera del 12 marzo è stata soppressa nello stesso modo: «Le forze dell'ordine, mitra alla mano, dopo aver sfondato la porta, hanno interrotto le trasmissioni…».
Sappiamo che cosa si nasconde dietro le divinità che di volta in volta prendono il nome di democrazia e di socialismo: sfruttamento, rapina, privilegi, stragi, appiattimento dei cervelli.
Il popolo ha il diritto e il dovere di scendere in piazza a manifestare liberamente - come gli pare - i propri convincimenti, le proprie idee. Se è vero che democrazia e socialismo si fondano sulla libertà del popolo. La libertà del popolo è precisamente quella del popolo e non di coloro che hanno gli strumenti del potere. Tra la consorteria al potere e il popolo non ce né può essere mai identità di interessi e quindi di idee. Sono due forze storiche in conflitto su due posizioni inconciliabili. O l'una o l'altro devono sparire.
E' chiaro che é la consorteria al potere che deve essere spazzata via, che deve scomparire. Questa, senza il popolo non esisterebbe, non avrebbe le basi materiali per l'organizzazione e il funzionamento della macchina di sfruttamento che produce privilegi.
E' il popolo che obiettivamente, storicamente e logicamente é la forza vincente. Spazzata via la consorteria al potere, senza sfruttatori e oppressori, i popoli, tutti gli uomini della terra, liberi, potranno realizzarsi, essere felici, crescere e progredire secondo natura umana.
E a questo punto, dobbiamo chiederci se la nostra ideologia libertaria che propone la non violenza come metodo di lotta politica, non debba, in particolari situazioni storiche, quando il popolo usa per tentare di liberarsi della oppressione la violenza come estrema ratio, non debba considerare che é la scelta del popolo quella giusta. Dobbiamo riflettere sul fatto che in taluni momenti storici la non violenza di chi sta a guardare mentre il popolo si batte opponendo la violenza del proprio corpo alla violenza dei carri armati, può essere complicità - se non vigliaccheria.

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Tratto da Alfa Sardigna Maggio 1977

Sella del diavolo: fa i missili, ma non il turismo

Quanti cagliaritani anni or sono, vedendo crescere quella enorme montagna di terra grigiastra sul fianco della Sella del Diavolo, e il velocissimo andare e venire dei Caterpillar, avevano pensato ad una nuova iniziativa turistico-speculativa di qualche spregiudicato imprenditore straniero. Qualcuno pensò ad insediamenti alberghieri, villaggi turistici, zone residenziali, in ogni caso la gente vedeva di buon occhio la possibile trasformazione della zona che avrebbe a loro giudizio migliorato le condizioni economiche della provincia. non mancavano di certo i soliti guastafeste che ponevano dei dubbi sulla eventualità di un siffatto programma, asserivano infatti che mai gli uomini politici sardi avevano goduto fama di buoni governanti. Ed infatti così è stato, a distanza di 15 o20 anni tutto è rimasto come prima, o meglio dal ventre della Sella del Diavolo i caterpillar hanno continuato ad estrarre terra e gli insediamenti turistici rimanevano soltanto un sogno nella mente dei cagliaritani. La fantasia popolare incominciò a creare intorno a questo bellissimo promontorio un aria di mistero, non si parla più di insediamenti turistici bensì di fantomatiche basi missilistiche o di una base per sommergibili nucleari, insomma la gente si avvicinava alla verità.
Ci fu una estate che il sonno dei cagliaritani, che abitualmente passavano l'estate al Poetto, fu turbato da due motopompe che funzionavano 24 ore su 24. Non ci furono più dubbi sull'uso che si poteva fare di quella enorme quantità di acqua aspirata dal mare. Poteva solo servire per fare la  prova  di tenuta di possibili serbatoi adibiti al carburante.
Certo questa storia è frutto della fantasia popolare non manca del solito riscontro nella realtà, infatti basterebbe considerare la situazione generale delle coste sarde, ormai  ridotte a centri operativi o da asettici centri turistici. Sempre frutto della fantasia popolare è la possibilità che questi centri turistici un domani possano servire ad alloggi per militari americani (N.A.T.O.) in caso di conflitto. Ed ecco il solito riscontro, nel fatto che tutte le basi e centri operativi distano poche miglia dai centri turistici.


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Tratto da Alfa Sardigna del Maggio 1977

Radioattività alla Maddalena? La militarizzazione della Sardegna

La graduale liberazione dei popoli nord-africani dal colonialismo ha coinciso con l'insediamento e l'allargamento delle basi e delle strutture militari della NATO in Sardegna, in un crescendo che non cessa. Una fase di rilievo, in questa escalation della militarizzazione è stato Decimomannu, diventato la più grande base aerea americana del Mediterraneo dopo lo smantellamento della base di WHEELUS FIELD in Libia, da cui gli yankee furono cacciati nel 1970. Ultima fase è stata la recente installazione (1972) a La Maddalena di una base nucleare di servizio, di mantenimento e di manutenzione per sommergibili a propulsione e ad armamento nucleari.
Una delle caratteristiche delle potenze imperialiste è la promozione di stati satelliti, la ricerca o la creazione di regimi politici "sicuri" che garantiscano basi militari "sicure". I regimi che danno maggiore "sicurezza" agli yankee sono quelli fascisti e quelli clericali. Tutti gli stati del Sud Europa sono di fatto asserviti alla potenza USA: Spagna, Portogallo,Grecia, Turchia, secondo un asse che passa per la Sardegna, considerata un'appendice semi- deserta dell'Italia, paese satellite con regime "sicuro".
La Sardegna diventa così preminentemente "un'area di servizi militari". Se è vero che gran parte delle forze armate di terra italiane sono dislocate nel Friuli, è anche vero che nessuna regione come la Sardegna ha visto interdire praticamente a ogni attività civile zone tanto vaste e a visto sorgere così preoccupanti impianti di armamenti non convenzionali. Contro i 50000 ettari sottratti al Friuli dai militari, stanno i 145000 ettari nella sola zona del Salto di Quirra, interdetti a ogni attività civile durante le lunghe esercitazioni missilistiche dei poligoni di CAPO SAN LORENZO di PERDASDEFOGU.
 Tale situazione pesa ovviamente nella già precaria economia dell'Isola.
Dall'aeroporto NATO di DECIMOMANNU, che ospita cento caccia-bombardieri al mese, alla penisola di CAPO FRASCA poligono di esercitazioni al tiro per i detti caccia-bombardieri, situate ambedue queste basi in zone densamente popolate; dal CAUC  di CAPO TEULADA al Centro di Addestramento per unità Corazzate, dove compiono le "grandi manovre" con combinazioni aria-terra mezzi corazzati e truppe da sbarco delle varie flotte della NATO, alla intera regione del SALTO DI QUIRRA, dove vengono sperimentati i prototipi di missili di varie nazionalità, dai giganteschi depositi di carburante situati nei pressi di Cagliari, all'isola di TAVOLARA, base e rifugio di sommergibili Polaris; delle polveriere di SERRENTI e di PRATOSARDO, ai poligoni di CALAMOSCA e di PRATOBELLO; delle rampe missilistiche del LIMBARA fino alla base nucleare di LA MADDALENA per la manutenzione di sommergibili d'attacco; sulle coste e nell'interno, il militarismo imperialista ha intessuto una infernale tela di ragno, sottraendo ai sardi la loro terra, il loro mare,il loro cielo, il loro patrimonio naturale, riducendoli alla miseria, costringendoli a quello che è il più drammatico esodo della storia dell'isola.
Un ulteriore cenno va dato all'ultimo, recente insediamento militare americano a LA MADDALENA, che importa immediati e terrificanti pericoli di inquinamento radioattivo.
L'operazione, decisa direttamente dal Pentagono, è iniziata con il trasferimento della Howard W. Gilmore, dalla base di KEY WEST, in Florida alla base di LA MADDALENA. La  Howard W. Gilmore, che si sloca 9734 tonnellate (18000 a pieno carico) ha un equipaggio di 882 marinai e tecnici, di cui 35 ufficiali. Non si tratta di una nave qualunque: è un'officina galleggiante con attacco fisso, studiata come appoggio per sommergibili di attacco. Da alcuni anni è stata adottata per assolvere i servizi logistici di manutenzione e di riparazione di sommergibili a propulsione e ad armamento nucleari. E' dotata di complesse attrezzature per riparazioni ed equipaggiata con parti di ricambio elettroniche e nucleari. Possiede infine, un non meno complesso sistema di comunicazioni radio via satellite.
Mi sono dilungato nel fornire alcune delle caratteristiche della Gilmore, perché si comprenda meglio quale mostruoso e terrificante pericolo di contaminazione sia ancorata alla nostra isola.
Non esistono in tutto il bacino del Mediterraneo altre basi del genere.
Nessuno dei paesi satellite degli USA - neppure la Spagna di Franco e la Grecia dei colonnelli - ha voluto prendersi la responsabilità di ospitare nel proprio territorio una nave come la Gilmore.
Soltanto il governo Italiano, che ritroviamo protagonista di anno in anno, nella vendita della Sardegna e dei sardi al militarismo yankee.
La decisione dei generali del dipartimento americano della difesa di spostare la base nucleare dalla Florida in Sardegna viene motivata "dalla necessità di far fronte al rafforzamento della flotta sovietica nel Mediterraneo: i sommergibili americani di attacco a propulsione e ad armamento nucleari dislocati nel Mediterraneo dovevano fino a ieri affrontare lunghi viaggi fino alla base scozzese di HOLY-LOCH fino alle basi statunitensi nell'atlantico, ogni volta che necessitavano di riparazioni o rifornimenti.....".
Queste sono le motivazioni di comodo dei "signori della guerra".
 La vera motivazione bisogna ricercarla nelle norme di sicurezza stabilite a suo tempo dalla stessa Commissione per l'Energia Atomica, norme tendenti ad evitare il pericolo di contaminazioni radioattive nei pressi di regioni densamente popolate.
Con il progressivo aumento delle basi con armamenti nucleari, risulta sempre più difficile trovare "zone desertiche" o "scarsamente popolate" dove installare basi "sporche", che producono inquinamenti di carattere radioattivo. Si è quindi pensato alla Sardegna, che nella testa dei generali del Pentagono è evidentemente "zona desertica" e si è colto (o si è prodotto) il momento politico favorevole: la presenza di Andreotti a capo del governo. (La stessa motivazione verrà data nella scelta degli impianti petrolchimici nel piano coloniale di industrializzazione riservato all'isola: industrie "sporche" con altissimi costi di impianto a spese dello Stato; che occupano pochissime unità lavorative che degradano l'ambiente fino a creare il deserto).
E' un'utilizzazione colonialista che non esito a definire criminale. E' un atto di banditismo davanti al quale impallidisce qualunque fatto criminoso voglia addebitarsi ai "banditi" barbaricini. E oltre le prepotenze e le rapine, il popolo sardo deve subire la beffa, quando i militari dichiarano che l'isola di LA MADDALENA per il suo relativo isolamento e la sua distanza da grossi centri abitati sembrerebbe che soddisfi le norme di sicurezza stabilite dalla Commissione per l'Energia Atomica. L'isola di LA MADDALENA è densamente popolata, come tutta ala costa nord- orientale, dove, tra gli altri importanti concentramenti turistici, c'è la Costa Smeralda. E le assicurazioni di fonte militare sulla "sicurezza" della base, come si conciliano col fatto che l'altra consimile base, dislocata nell'Atlantico, in scozia, in una zona più scarsamente popolata della Sardegna nord-orientale, è oggetto di annose controversie e polemiche su rilevati inquinamenti radioattivi? E' abbastanza ovvio che se a LA Maddalena l'officina galleggiante GILMORE sostituisce, ripara e quindi manipola contenitori con materiale radioattivo, il pericolo di inquinamento è reale.
Siamo ormai arrivati, in Sardegna, al punto in cui non bastano le interpellanze, le denunce, le proteste. Bisogna mobilitare nella lotta antimilitarista le masse popolari. Abbiamo un diritto che è ala di sopra di ogni "ragion di stato", ed è un diritto alla vita e al lavoro, nella nostra
terra. Nessuno può toglierci questo diritto. E quando  i governanti non sono capaci di garantire o, non vogliono garantire a un popolo la sua sopravvivenza, è lo stesso popolo che deve levarsi e prendere nelle sue mani la responsabilità del proprio destino. I fatti di Orgosolo del 69 sono un esempio vittorioso di sollevazione antimilitarista di una intera comunità.
Soltanto se i Sardi sapranno unirsi e ripetere l'esperienza di Orgosolo riusciranno ad allontanare dalla loro terra questo nuovo e più terrificante pericolo.
COMITATO INTERNAZIONALE CENTRO DI FASCISMO NEL MEDITERRANEO.

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Tratto da Alfa Sardigna, documenti Maggio 1977

Testimonianze di lotta popolare

Riportiamo in altra parte del giornale la cronaca dei recenti fatti di Cabras che riporta ala ribalta l'annosa questione degli stagni. Il feudo lagunare dei Carta si regge ormai in piedi soltanto con l'omertà o il disinteresse della classe politica e con la violenza delle guardie padronali. La popolazione di Cabras, in testa i pescatori, non desiste dalla lotta per la pubblicizzazione di queste acque, lotta che porta avanti ormai da quasi vent'anni con tenacia.
Lo scrittore Ugo Dessy, che ha vissuto a Cabras e ha partecipato alla lotta antifeudale, ha raccolto le testimonianze dei protagonisti nel saggio "La rivolta dei pescatori di Cabras", edito da Marsilio. Per gentile concessione dell'Editore, tralasciamo dal libro di Dessy uno dei tanti episodi di violenza commessi da servi e guardie del padronato contro i lavoratori degli stagni per intimidirli e fiaccarne la volontà di lotta.

"Nel mese di giugno (1962) i feudatari denunciano i pescatori delle paludi di aver sconfinato e pescato nelle loro acque. L'accusa è di furto; Il machiavellico giuridico prende corpo - La magistratura si presta al gioco - non si sa fino a che punto ingenuamente cominciano ad affluire a Cabras camion di carabinieri. I carabinieri del luogo, diretti da un certo maresciallo Serra indagano e preparano i verbali d'accusa.
"La notte del 25 giugno, i pescatori padronali guidati da valvassori servi di peschiera, preparano un posto di blocco lungo la strada che dalle paludi porta al paese; La loro intenzione è di aggredire i pescatori liberi, con lo specioso pretesto che il pesce che trasportano è stato pescato nelle acque feudali e quindi è refurtiva.
Le donne, saputo dell'agguato, corrono ad avvertire i loro uomini del pericolo; vengono intercettate, fermate dai padronali, percosse e svillaneggiate. I carabinieri - che sono ne pressi - non intervengono.
Alcune donne riescono ad eludere il blocco padronale, passando attraverso i giuncheti. I padronali, sfumato il fattore sorpresa, si spostano al primo ponte, vicino al paese, predisponendo un altro blocco. Vengono anche fermati diversi contadini che si recano al lavoro, perché ritenuti simpatizzanti dei pescatori liberi, onde evitare che possano dare l'allarme.
Quando i pescatori, che rientrano dalle paludi preceduti dal mezzo che trasporta il pesce, passano sul ponte vengono assaliti da due lati da un centinaio di padronali; Il mezzo viene danneggiato a sassate. Si accende una violenta mischia; le forze dell'ordine presenti nella zona non intervengono;
"Ero rimasta a prendere il fresco sull'uscio di casa fino a tardi; mi ero appena messa a letto, sarà stata mezzanotte, quando mi hanno bussato alla porta: "Alzati! Corri! alzati! Che ci sono i servi del padrone appostati all'uscita dalle paludi". Mi sono alzata in fretta e sono corsa fuori dove c'erano altre quattro mogli di pescatori".
E zia R. che racconta, seduta con le altre donne sul pavimento di terra battuta. C'era zia C. che si alza in piedi quando parla e zia M. moglie del presidente della cooperativa, alta snella nel suo abito nero, e altre. Ci sono tutte e quindici e le donne che ieri notte hanno affrontato lo scherno e le percosse della gentaglia padronale.
Zia R. è una donna piccola gracile, invecchiata anzi tempo. Si rimboccale maniche della blusa per mostrare i lividi delle botte. Riprende a dire: "Era mezzanotte, e siamo corse alle paludi ad avvertire i nostri uomini della imboscata. Arrivati al quinto ponte c'era uno sbarramento di pali, e loro c'erano, sulla strada che fermavano tutti, anche quelli che andavano a lavorare nel Sinis; I più erano sparsi nella palude, nascosti in mezzo ai giunchi. Si vedevano perché ogni tanto accendevano le pile, ed erano armati, chi di bastone che di roncola e chi di fucile. Quando ci hanno viste, ci hanno riconosciute subito. "No, voi non passate da qui ad avvertire nessuno, puttane che non siete altro!". Che ne hanno detto e fatto di tutti i colori, se ne sono approfittati perché eravamo sole, quei vigliacchi. Prendevano terra e ce la buttavano in faccia beffandoci: ci hanno preso in mezzo ruttando e scoreggiando come bestie per umiliarci, e ci dicevano: "dallo stagno già vi facciamo uscire noi, puttane!" Poi ci hanno picchiato e noi non potevamo fare nulla, in quindici contro tutti loro. Ci siamo difese come abbiamo potuto e siamo tornate indietro, pensando a come fare per avvertire i nostri uomini. Non sapevamo niente, e se passavamo così ignari avrebbero potuto circondarli e massacrarli senza neanche difendersi. Per fortuna è passata di lì la carretta di mio fratello B. che fa il contadino, ci sono saltata sopra e mi sono nascosta in mezzo ai sacchi. Quando la carretta è arrivata in mezzo allo sbarramento, i servi del padrone l'hanno fermato.
"Torna indietro - dicevano - non passa nessuno, stanotte. "Mio fratello ha risposto: "Matti siete? Cosa state dicendo? Non sapete che uno sbarramento così non lo può fare nessuno? Solo i banditi o possono fare. Lasciatemi passare in pace che io sto andando a lavorare la mia terra". E quelli niente: "Se perdi di lavorare ti paghiamo i danni noi". E mio fratello: "Altro che danni, mi pagate, pieni di merda che non siete altro! In galera vi mando! Alla fine è riuscito a passare, quasi di forza; però hanno guardato nella carretta per vedere se c'era gente, ma non mi hanno vista perché ero nascosta bene; I nostri uomini, quando mi hanno vista scendere dalla carretta, hanno detto: "E' una nostra donna, cosa sarà successo?".
"Io mi sono messa a piangere e ho raccontato tutto. Ma loro invece lo sapevano già, ed erano pronti".
La donna rivive quei momenti di tensione; nelle ultime parole c'è un tremito di voce che prelude al pianto. Un'altra compagna interviene subito, coprendo il silenzio con la sua testimonianza.
"Era quasi l'alba. Tutte quelle che non eravamo riuscite a forzare il blocco, prima siamo tornate in paese, poi ci siamo riunite tutte e abbiamo
ripreso la strada. Arrivate al primo ponte abbiamo intravisto i servi del padrone appostati e più in fondo i nostri che avanzavano con i loro attrezzi in mano, fiocine e pertiche. Davanti era il furgone di Mirai. I servi del padrone hanno circondato il furgone, tentando di rovesciarlo dal ponte.
Hanno fato in tempo soltanto a spaccare i vetri e a sfasciare uno sportello, quando sono arrivati i nostri uomini. Allora siamo corse anche noi nella mischia. Questa volta non ci hanno fatto quello che hanno voluto, quei mascalzoni! I più sono scappati come conigli, e i nostri uomini non erano neppure la metà di loro!".
La mattina, Mosé e gli altri sono riuniti nel magazzino di Mirai, per compilare la denuncia contro i servi e i mandati per il blocco, per la violenza subita in particolare dalle loro donne. Gli ha chiesto, scherzando:
Niente di rotto?" Ha risposto:
"Le ossa peste deve averle qualcuno di quei venduti...
Meno male che le donne sono riuscite ad avvertirci, diversamente poteva finire male, per noi.
E poi dicono che le donne devono restare in cucina! I giornali democratici dovrebbero scriverle, queste cose, in Italia. Dovrebbero sapere anche che i carabinieri erano stati avvertiti e non hanno mosso un dito. I carabinieri sono venuti da noi dopo che le donne sono state picchiate e offese e ci hanno detto: "State tranquilli, tornate pure in paese, tutto è a posto". E invece, i servi dei padroni erano ancora lì, e loro, poveretti, nemmeno li avevano visti".
Le donne sono nuovamente riunite. E' arrivato il segretario della camera del lavoro di Oristano. Gli stringono la mano, una ad una, gli danno del tu. Non si sono riunite soltanto per raccontare di fatti accaduti: si è sparsa la voce in paese che stasera i servi del padrone si riapposteranno, armati stavolta e decisi a sparare, per rifarsi dello stomaco di avantieri. Le donne hanno avvertito i carabinieri e i loro uomini nelle paludi. Ma non riescono a stare quiete e si sono date convegno qui, in casa di zia M. la moglie del presidente della cooperativa, per decidere insieme il da farsi.
"Quando mai stiamo qui?!
- dice zia R., guardandosi intorno angosciata - e se succede qualcosa agli uomini?
Quando mai stiamo qui, aspettando, con questo pensiero nella testa?...".
Sono tutte d'accordo: pronte a partire per le paludi. E sono appena le nove di sera.
Il segretario della camera del lavoro dice:
"No, non dovete andare. Così aggravate la situazione. State tranquille. I carabinieri di qui sono stati già avvertiti, e io avvertirò il comando dei carabinieri di Oristano: non possono prendersi la responsabilità di non intervenire, dopo ciò che è successo. Cercate di stare tranquille, stanotte.
Domattina all'alba i nostri uomini saranno tornati e non sarà accaduto nulla, vedrete".
Zia R., e le alter scuotono il capo, pure approvando il suggerimento.
"Sì, sì, hai ragione, sì... ma come facciamo noi a stare tranquille, in casa?".
So già che stanotte, come l'altra notte, nonostante sappiamo dei fucili che potranno sparare, andranno tutte e quindici dai loro uomini, per proteggerli.
I pescatori liberi, sporgono denuncia contro gli aggressori: così le loro donne e il proprietario del furgone danneggiato.
Circa due mesi dopo, in luglio, vengono arrestati i denunciati: il proprietario del furgone, Mirai, i presidenti delle cooperative Gran Torre e Tharros e altri pescatori, sotto l'accusa di furto continuato e aggravato di pesce ai danni dei feudatari. Tale accusa è una mostruosità giuridica: anche ammesso che i pescatori della palude abbiano sconfinato dalle acque in loro concessione, può configurarsi (come era da tempo avvenuto) un reato di pesca abusiva; Come si possono rubare dei esci, se sono liberi e si spostano liberamente dal mare allo stagno? La magistratura Oristanese non ha mai saputo rispondere agli inquietanti dubbi della opinione pubblica, che parlava di una connivenza coi feudatari.
Mosé si è dato alla latitanza. Mi dice:
"Questo foglietto che conservo è uno dei mandati di cattura.... ne manca un pezzo giù, non avevo cartine e l'ho usato per farmi una sigaretta....Leggilo tu che sai leggere....".
Leggo: "Il giudice istruttore del tribunale di Oristano; dottor Giulio Segneri, visti gli atti del procedimento e le conclusioni del P.M. a tenere degli artt. 251 e segg. C.P.P. ordina la cattura di Secchi Mosé, Secchi Simone, Atzori Salvatore, Mirai Manlio - impuntati - i primi cinque di furto
aggravato continuato ai sensi dell'artt. 81 CPV 110-112 N° 2,624,625 N°5 e 61 N° 5 e 7 CP per essersi in correità e in unione fra loro, e con altre quaranta persone riunite e con più azioni esecutive dello stesso disegno criminoso, impossessati al fine di trarne profitto di ingenti quantitativi di pesce che pescavano nello stagno di Cabras, sia nella fascia costiera, sia al largo delle rive, dal dicembre 1961 al 17 luglio 1962 a danno del proprietario dello stesso, Corrias Alfredo, Corrado e Carta dottor Efisio e più.....".
Per tutto luglio - conclude Dessy - continuano gli arresti e la ricerca dei pescatori lontani. Uno ad uno, (sono oltre quaranta i mandati di cattura), alla chetichella per evitare un tumulto popolare, si eliminano gli uomini di punta della resistenza antifeudale. Ad arrestare Simone Secchi sono andati ventiquattro carabinieri, poiché egli abita nel rione Veneziedda, dove abitano molti pescatori ed è più sentita la lotta per gli stagni.
Sessanta famiglie vivono nel terrore, senza lavoro, senza pane. Nessuno più osa mettere piede nella stessa fascia di palude che pure è costata tanti sacrifici per averla in concessione.

 

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