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Articoli scritti da Ugo Dessy per Mondo Giovanenel corso di alcuni anni

e pubblicato nell'Almanacco della Sardegna del 1971

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Almanacco della Sardegna - 1971
Associazione Stampa Sarda

(tratto da "Mondo Giovane" n°.9-10 sett.-ott. 1971)

SALVIAMO GLI UOMINI PER SALVARE LA NATURA

di Ugo Dessy

Il problema della conservazione e della difesa della natura è diventato il Leitmotiv dell'ultimo scorcio del secolo ventesimo, e probabilmente continuerà ad esserlo anche nel ventunesimo - sempre che l'umanità abbia a trovare in futuro l'aria sufficiente per ossigenarsi il cervello. Un problema di per sé chiaro e semplice e allo stesso tempo irrisolvibile.
Gli uomini - o chi per essi - sono andati costruendosi un tipo di civiltà che si sviluppa a scapito della natura; il progresso umano sembrerebbe cioè andare di pari passo con la distruzione del patrimonio naturale e quindi dello stesso uomo che ne è parte e che della natura ha bisogno per vivere.
Ci troviamo davanti ad un formidabile rompicapo: se vogliamo mangiare dobbiamo sorbirci l'inquinamento e tutti i veleni e i condizionamenti della civiltà industriale; se vogliamo conservare il patrimonio naturale e una certa autonomia e dignità dobbiamo crepare di fame. Sul piano ideologico questo rompicapo sta già creando una confusione del diavolo: non si capisce più chi siano i conservatori e chi i progressisti. Infatti, vediamo certi capitalisti e intellettuali di indiscussa fede rivoluzionaria battersi insieme in difesa della natura minacciata e vediamo altri capitalisti a braccetto con i leader dei popoli ex coloniali promuovere l'industrializzazione delle aree sottosviluppate per migliorarne il tenore di vita, seppure ciò comporterà anche lì la distruzione del patrimonio naturale, su cui poi altri capitalisti-Cassandre spargeranno fiumi di lacrime. La Sardegna - Regione autonoma - è una di queste aree che ha imboccato la via della industrializzazione per uscire dalla sua millenaria arretratezza. Con quali risultati dirò più avanti, brevemente.
Ci si chiede se l'umanità, davanti alla minaccia della propria distruzione, non si decida a modificare le attuali strutture dell'attuale sistema per aprisi finalmente una strada nuova, dove coincida il progresso umano con la conservazione dell'equilibrio naturale. Purtroppo è utopia una nuova società che non sacrifichi su alcun altare i valori e le esigenze naturali dell'uomo. Utopia non perché una tale società non possa organizzarsi ed esistere, ma perché nella sua grande maggioranza l'umanità è assente o è incapace o è incatenata: a decidere del presente e del futuro di tutti sono i pochi, gli eletti, i privilegiati - ovunque, nel mondo.
Io ho fede nell'uomo, nella sua capacità di redenzione: egli ha in sé ogni seme di progresso. Ma non basta la fede. L'uomo delle aree industriali è ridotto ad un automa, vive condizionato dagli impulsi che gli manda la centrale del sistema consumistico. L'uomo delle aree sottosviluppate è ridotto ad animale famelico che vive nel continuo assillo del cibo per sfamare sé stesso e i propri figli. L'uomo, nei due diversi poli, non si trova quindi nella condizione ideale per recepire e portare avanti il discorso sull'ecologia. Neppure quando stesse per crollargli addosso il mondo intero.
Un circolo chiuso, purtroppo. Uno dei tanti che sembrerebbero creati apposta dai pochi che detengono il potere per mantenere le grandi masse popolari in uno stato di perenne incapacità e irresponsabilità. Credo che anche in questo caso valga il principio secondo il quale senza le masse popolari coscienti e responsabili non esiste vero progresso. In termini politici, voglio dire che tutti gli uomini devono essere partecipi del loro destino partecipando concretamente al potere.
Ho ricevuto in questi ultimi mesi numerosi e gentili inviti a collaborare e a sostenere organizzazioni ed enti che vanno sorgendo come funghi in difesa della natura. Sono certamente iniziative utili: è giusto difendere anche un solo albero minacciato dalla scure di un boscaiolo o anche un solo passero minacciato dal fucile di un cacciatore. Ma non mi basta difendere l'albero e l'uccellino. Non mi basta denunciare all'opinione pubblica, e se possibile al magistrato, i danni che provocano gli scarichi inquinanti di una fabbrica. Non mi basta denunciare la dissennata utilizzazione di antiparassitari che modificano l'equilibrio biologico e provocano irreparabili danni alla flora e alla fauna batterica e quindi all'agricoltura. Penso anche a quell'animale chiamato uomo: bruciato dal napalm, chiuso a imputridire nelle galere, gettato a morire di fame tra pietre sterili o isterilito sotto colate di cemento, sfruttato o umiliato. E' vero che gli uomini hanno usato ed usano lo sterminio o l'addomesticamento per dominare il regno della natura; ma è anche vero che i pochi che detengono il potere usano gli stessi metodi per dominare molti - loro simili.
Quando si cominciò a parlare qualche anno fa di "Piano Mansholt" e di "Progetto 80" saltò fuori l'idea del Parco di Gennargentu. Con gli altri intellettuali sardi ho espresso la mia opinione negativa sull'idea di un tale parco. E non perché non trovi utili i parchi e necessaria la protezione in essi della natura e delle specie animali e vegetali. Tutt'altro! Il mondo dovrebbe essere pieno di parchi. Ma prima o insieme a questi devono sorgere i parchi per gli uomini, dove essi possano vivere nel migliore dei modi e felici il più possibile. L'opposizione delle popolazioni di Orgosolo e di altri paesi della Barbagia al Parco del Gennargentu è sufficientemente ragionevole nella sua motivazione: Salviamo coi mufloni i pastori sardi.
Per salvare i pastori e i contadini sardi si è invece deciso di portare nell'isola le industrie. Per stimolare i capitalisti lo Stato e la Regione hanno varato immediatamente le leggi sulle incentivazioni. Ci sono piovute addosso le industrie che costano di più, che impiegano meno manodopera e che producono più danni nell'ambiente. Non hanno salvato né il pastore né il contadino e neppure il muflone.
Anche la Sardegna, nel giro di pochi anni, sarà contaminata dai veleni della civiltà industriale. "La natura serba intatto il suggello della prima creazione", scrivono i pennaioli sui depliant turistici decantando l'isola "oasi del Mediterraneo".
La realtà è ben altra. Già l'80% delle acque riceve sostanze inquinanti che i concentramenti petrolchimici e industriali in genere scaricano senza un efficace impianto depuratore. Già il mare in vasti tratti di costa è inquinato: quest'anno molti turisti si sono abbronzati più che di sole di catrame, e si sono registrati numerosi casi di tifo, di epatite virale, di gastroenterite. Già il patrimonio ittico è seriamente minacciato; nei pescosissimi stagni di Santa Gilla (Cagliari), di Cabras e Santa Giusta (Oristano) e di Tortolì (Nuoro) lo stesso pstrimonio si va paurosamente estinguendo a causa degli inquinamenti prodotti da scarichi industriali e fecali con elementi non bio-degradabili.
La Sardegna poteva essere l'oasi dell'Europa, il polmone di un continente soffocato, inaridito, corrotto. Poteva essere, per le masse lavoratrici ridotte ad automi dal processo produzione-consumo, una clinica riumanizzante: un luogo dove l'uomo ritrova la propria dimensione naturale. Poteva essere. Forse è troppo tardi. E l'umanità avrebbe perso così una delle ultime occasioni per conservarsi una via di salvezza davanti al rullo compressore della civiltà delle macchine.
Scrive Alfredo Todisco sul "Corriere della Sera" qualche mese fa: "Di fronte al frenetico sviluppo industriale moderno, la natura si restringe come la pelle di zigrino della favola. Diventa un bene sempre più scarso, mentre la domanda di ambiente fisico vivibile, non contaminato, aumenta in proporzione all'aumentare del reddito e del tempo libero di moltitudini sempre più fitte e provate dai flagelli dell'inquinamento di ogni tipo: atmosferico, idrico, marino, metropolitano, acustico, estetico. Siamo giunti, cioè, ad un tornante della storia in cui la natura emerge come una nuova preziosa irriproducibile materia prima, che in prospettiva non può aumentare il suo valore... La Sardegna non solo conserva uno dei paesaggi più eletti al mondo del capitale natura; ma si trova alle frange di un continente sempre più industrializzato e denaturato che comincia a porre in cima ai suoi bisogni proprio ciò che l'isola può offrire in modo privilegiato... La Sardegna, avviandosi a costi pazzeschi sulla via di uno sviluppo industriale, anche a causa della limitatezza del suo mercato interno, non potrà mai raggiungere uno stadio autoproduttivo da reggere al triangolo, rimarrà sempre in posizione subalterna. Rischia però di sommergere in pochi lustri sotto a una mediocre coltre di cemento, di ferro, di petrolio, un capitale ambientale unico al mondo, più redditizio alla lunga di quello industriale, e di distruggere insieme le sue tradizioni arcaiche, i suoi caratteri di popolo, i suoi millenari valori culturali...".
Il discorso di Todisco è semplice e pieno di buonsenso, e da quando ho cominciato a pensare lo sto facendo e rifacendo, perché giunga alle orecchie della classe dirigente della mia isola. Già sfogliando il primo stralcio del Piano di Rinascita apparivano chiare le scelte politiche che condizionavano il programma di sviluppo. Il settore del turismo veniva accantonato. Il settore dell'Agricoltura, in particolare l'allevalento degli ovini, appena toccato da interventi che ne avrebbero aggravato la crisi. Trascurato il settore della pesca. Tutte le carte venivano puntate sulle industrie. Allettato dalle incentivazioni sbarca in Sardegna il capitale: quello pubblico, l'ENI con una quota di capitale nella SARAS, e più avanti in proprio; quello privato con Moratti, proprietario della SARAS e del quotidiano di Cagliari, Rovelli, proprietario della SIR, vice presidente della Rumianca e padrone del quotidiano di Sassari; quello straniero, presente inizialmente con la ESSO Standard.
Accennavo agli incentivi. Lo Stato interviene a favore delle imprese private nel settore con leggi dette di "assistenza finanziaria". Lo spirito delle leggi vorrebbe favorire le piccole imprese. Nasce il caso clamoroso della SIR di Portotorres: per beneficiare dei contributi che spettano alle piccole e medie aziende, Rovelli crea 55 società, ognuna delle quali ha investimenti che non devono superare i 6 miliardi di lire.
Una pioggia di miliardi sulla Sardegna che non tocca i sardi. Per il quinquennio 66/70 era previsto un incremento dell'occupazione di 57.000 unità: i nuovi insediamenti industriali hanno assorbito soltanto 7-8.000 unità. Il livello dell'occupazione nel settore industriale nel '70 è sceso al di sotto del livello del '64 con una diminuzione di circa 120.000 unità. Il "famoso" polo di Ottana che si pone l'obiettivo di occupare 12 mila dipendenti, dovrebbe avere attualmente 1200 operai per la sistemazione degli impianti: ce ne sono soltanto 250. I costi per ogni posto lavoro nelle nuove industrie si aggirano sui 100-200 milioni. Poco arrosto e molto fumo - un fumo non bio-degradabile, maledettamente inquinante, che finirà per mandarci in malora anche quell'unico capitale che avevamo: la natura.
Sarei ingiusto se dicessi che sono le industrie le uniche responsabili dell'inquinamento e del depauperamento del patrimonio naturale. Va dato a Cesare quel che è di Cesare. Tra i peggiori inquinatori sono da elencarsi i responsabili del governo regionale, la cui competenza può essere misurata da ciò che fanno. La storia della campagna di deferulizzazione nell'isola è esemplare e vale la pena raccontarla per sommi capi.
La ferula è una pianta delle ombrellifere molto diffusa nell'isola. Gli ovini, da che mondo è mondo, se ne pascono. I pastori dicono che non fa male al bestiame, purché non se ne abusi: infatti, dopo una giornata di pascolo in zona ricca di ferule, il gregge viene spostato in altra parte che ne è priva. Il pastore usa anche recidere la ferula e appenderla per somministrarla secca nei momenti di scarsità di pascolo. Non esistono studi seri che accertano la composizione chimica della ferula. L'unico studio è quello di un vecchio farmacista sassarese che ritiene la ferula un ottimo pascolo per la presenza in essa di sostanze alcaline, stimolatrici della digestione.
Orbene: qualche anno fa - non si capisce da parte di quali esperti- alla Regione si è scoperto che la ferula è nociva per le pecore e che a questa pianta devono attribuirsi le morìe. Detto fatto, furono varate leggi per contributi per morìe da ferula e per la campagna di deferulizzazione della Sardegna. Per la deferulizzazione sono stati adottati alcuni metodi senza alcun risultato, con la spesa di circa 1 miliardo e mezzo in quattro anni. Si è passati quindi alla lotta tipo Vietnam, con l'uso di potentissimi diserbanti che ovviamente distruggono ferula e tutto il resto. A questo punto, gli americani, che sono fra i più grossi importatori del nostro formaggio, lamentano la presenza di sostanze tossiche nel prodotto caseario.
Altra storia esemplare sul tema inquinamento da politici: il pinus radiata. La cartiera di Arbatax, un vasto complesso che inquina le acque delle coste centro-orientali, importa il legname per la lavorazione della carta. Bisogna impiantare alberi in Sardegna, così non andiamo a comprare fuori. Giusto. La Regione - sensibile - incentiva coi contributi tali impianti. Ad impiantare alberi non sono però i contadini sardi, ma la stessa cartiera, che prende in affitto i terreni per venti anni, pagandoli naturalmente una miseria e prendendosi i contributi. Che cosa decide di impiantare? Alberi propri dell'ambiente? Alberi che comunque non producano danni e squilibri? Quel che conta sono i profitti, e si sceglie il pinus radiata. Cresce rapidamente e in dieci anni è pronto al taglio. I botanici avvertono che il pinus radiata isterilisce il terreno in cui cresce per almeno due o tre secoli. Quando trascorsi i venti anni sarà scaduto il contratto d'affitto, il proprietario si vedrà restituire un pezzo di deserto, dove non crescerà neppure la ferula.
Ho appena sfiorato l'argomento. L'ingordigia di profitto da parte del capitale, l'incompetenza se non la malafede dei politici, la presunzione dei tecnici che si chiudono nella loro torre d'avorio invece di uscire all'aperto e battagliare. E l'ignoranza e il bisogno delle masse, dei contadini che danno fuoco alle stoppie "per arricchire il terreno da semina", dei pastori che bruciano il bosco per aprirsi pascoli. Quando il Padre Eterno creò la natura e su questa mise l'uomo a regnare commise uno sproposito: mai regno fu messo in mani più presuntuose e crudeli.

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