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Indice articoli


Presentazione e piano dell'opera

Questo libro è il primo di un'opera dedicata alla Sardegna, che raccoglierà sistematicamente un vasto materiale di testimonianze, di studi, di memorie su aspetti di una cultura sommersa, su persone fatti cose di un mondo che scompare. L'opera, progettata in sei volumi, si intitolerà SU TEMPUS CHI PASSAT - quasi a scandire l'umano dramma esistenziale nel tempo che passa, nel mistero del palpito effimero: il caduco che si ripete eternamente nell'infinito pulsare della vita cosmica.


Questo, per grandi linee, il piano dell'opera:
Volume primo - S'annu de su messaju / L'anno del contadino.
Le stagioni, i mesi, i giorni. Il ciclo produttivo della terra. Usi e costumi. Racconti in lingua sarda con traduzione a fronte. In appendice: Dicius e frastimus / Detti e invettive. La questione del bilinguismo. Sintesi cronologica della storia della Sardegna.
Volume secondo - Sa mexina / La medicina. Is ominis de mexina / I guaritori. Medicina e magia. S'argia, la tarantola: il mitico ragno socializzatore. S'imbrusciadura: un singolare rito terapeutico. Chiesa e stregoneria.
Volume terzo - Ainas e fainas / Strumenti e opere. Arti e mestieri: della terra, dell'allevamento, della pesca, delle arti, delle scienze, del commercio, dell'industria, della burocrazia, delle donne. Attività singolari.
Volume quarto - Is festas, sa poesia, su binu / Le feste, la poesia, il vino. Feste e leggende. Il carnevale. Sagre e feste rituali. Riti funebri. La poesia.
Volume quinto - Piccioccus de crobi / Il mondo del fanciullo.
Su traballu, su giogu, is gioghittus / Il lavoro, il gioco, i giocattoli. Testimonianze sul lavoro minorile. I bambini parlano dei problemi del mondo dell'adulto. In appendice: la scheda illustrata come attività espressiva, nell'educazione del fanciullo.
Ciascun volume sarà corredato di un glossario dei termini sardi più significativi, relativi agli argomenti trattati.
Volume sesto - Dizionario storico, geografico, etnologico, linguistico - Sardo / Italiano.


Tengo a precisare che il mio lavoro non vuole essere un saggio specialistico, esaustivo e neppure un contributo ai tanti polpettoni folclorici che dalla metà del secolo scorso la cultura ufficiale ha sfornato in funzione del colonialismo. Se per il potere vale la regola del conoscere per dominare, dominare per sfruttare; qui, si vuole conoscere per capire, capire per amare.
E' superfluo dire che rifiuto le definizioni correnti di cultura egemone e cultura subalterna: nel senso che rifiuto, anche nell'uso dei termini, la giustificazione e la conservazione delle cause economico-politiche che sono all'origine della disuguaglianza tra popoli di cultura diversa - con tutto il ciarpame di pregiudizi razzistici e di pseudoscientificità, tendenti in ultima analisi a dimostrare la superiorità o l'inferiorità di una cultura rispetto a un'altra.
Così come non esistono di per sé economie sottosviluppate ma paesi sfruttati; così pure non esistono culture arretrate ma popoli la cui libertà di esprimersi e di crescere è soffocata dalla colonizzazione: la supremazia di un paese sull'altro non è data da valori culturali, ma esclusivamente da un maggior grado di "civiltà" nella tecnologia: cioè a dire nella produzione delle armi e nell'uso della violenza.
La cultura trova, qui, il suo più alto valore in tutto ciò che, in qualunque forma e con qualunque mezzo, esprime la vita e la esalta, stimola e favorisce la libera crescita e la realizzazione autentica dell'uomo, che affratella, dà pace e felicità.
E' da considerare incultura (da qualunque potere sia illuminata) tutto ciò che, in qualunque forma e con qualunque mezzo, disprezza e nega la vita, comprime e reprime la naturale crescita umana producendo mostruose devianze, che divide e genera violenza rendendo l'uomo insicuro, miserabile, infelice.

In particolare nelle testimonianze e nei racconti, ho usato - fin dove mi è stato possibile o meglio fintanto che ne sono stato capace - la stessa lingua, gli stessi moduli espressivi, la stessa verve della gente che testimonia o di cui si parla: la stessa gente che è la protagonista e alla quale è dedicato il mio lavoro.
Ho evitato interpretazioni mie personali, se non quelle elementari che si ritrovano più o meno esplicite nelle stesse cose o nei fatti testimoniati. D'altro canto, le analisi e le interpretazioni del sociale, fatte nell'euforia di una bettola o davanti al fuoco di un caminetto non sono meno serie o valide di quelle accademiche.
Gli strumenti del mio lavoro di ricercatore e di scrittore, così come di ogni altra mia attività creativa, sono rivolti alla liberazione del mio popolo, e della mia in esso. Si tratta, in pratica, di strumenti conoscitivi ed espressivi propri della cultura del mio popolo - strumenti con i quali mi realizzo non soltanto in termini strettamente culturali, quali il sociale e il politico, ma anche e specialmente in termini affettivi. Voglio dire che concepisco questo mio lavoro semplicemente come un modo, a me congeniale, di instaurare rapporti con i miei simili.
Fatti, testimonianze, documenti, personaggi appartengono soprattutto al mondo dei Campidani, di cultura prevalentemente contadina, che si esprime in lingua sarda-campidanese.

Ugo Dessy

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