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Lamentazione per la cavalla morta

Immobilità, silenzio, pensieri che lacerano come aculei velenosi di pruno.
Divinità che non ha affetti, né pietà, né carezza per la gente curva da millenni a scavare pane fra zolle di pietra.
Ci sono ombre di pietra nera, in una stanza nera;  ombre di pietra nera disposte in cerchio per comunicarsi, dissolvendoli nel simbolo dell'infinito, dolore e pena.
Un cerchio di magia che non può compiere il prodigio di liberare l'uomo; una povera magia che può soltanto comunicare, distribuire, a tutti gli uomini fratelli, il dolore e la pena di ciascuno d'essi.
Che altro può fare, l'uomo, se non chinare la testa, accucciarsi per terra?  Di giorno, dal cielo pieno di luce piove fuoco sui lombi accasciati.
Di notte, piovono brine affilate sulle spalle:  le nuvole hanno nascosto dentro di loro le guglie dei monti per sbriciolarle come vetro e scagliarne i frammenti sulla terra.
Intorno al focolare spento, fra i quattro muri neri di fumo e di buio, siedono sul pavimento zia Rita e zio Luisu con le figlie e le donne del vicinato.  Portano lo scialle nero che le ricopre intere.  Balugina a tratti dal viso nascosto il bianco iridato di occhi senza lacrime.
«Bella come un fiore era.  Docile come un'agnella era.  Forte come una quercia era».
Che altro può fare, l'uomo, se non ricordare ciò che è stato?  La carne si è inaridita a gettar sangue e pianto;  come un frutto spremuto e rinsecchito al sole, si è fatta;  dura come pietra, si è fatta. E ancora capace di soffrire.
Terra madre, apri il tuo grembo oscuro, perché l'uomo non veda più, perché l'uomo non senta più, perché l'uomo non parli più…  Apriti perché possa scivolare dentro di te come il lombrico nel suo buco;  fai che gli occhi, le orecchie, la bocca si riempiano di te…
«Aveva tre anni appena, aveva.  Il conforto della nostra casa era.  La consolazione della nostra vita era».
Mare, mantello azzurro che il vento scuote schioccando in mille increspature grigie, adunghia roccia su roccia, pietra su pietra, sabbia su sabbia…  copri col tuo infinito liquido e scioglila la paura del giorno e della notte…  sciogli come sale questo duro lungo andare di anni…
«In tutta la Jara non ne nascerà un'altra più bella».
Il sudore si spargeva in una pioggia di stille iridescenti sul fuoco delle aie.  Volavano cascate di farfalle gialle e i grani duri si ammucchiavano formando colli alti fino a nascondere il sole.  Dita amorose venivano nella notte ad accarezzare il palpito dei semi scorrenti come un fiume vivo nel colmare i sacchi.
«Chi trebbierà il nostro grano, ora?»
Nella cucina s'è fatto ancora più buio.  Un chiarore rossastro traluce appena dalle imposte socchiuse.
«Il 28 agosto era partito Luisu a prendere il bene nostro.  A quest'ora, era tornato…  Lucida come uno specchio la stalla, pronta per riceverla…  d'oro e d'argento le briglie nuove».
Accoccolato, nascosto, Luisu geme.
«La malasorte mia…  Una regina sembrava, quella sera.  Aveva nitrito di gioia, entrando nella stalla.  Come creatura umana era, che la parola solo le mancava…  Nessuno meglio di lei sapeva scendere dai monti senza sentiero.  Nessuno meglio di lei sapeva spietrare un campo».
Quante stille di sudore, quanti chicchi di grano, quanti colpi di zappa, quante bracciate d'erba, quanti passi sui viottoli, quanti fasci di legna, quanti strappi nelle vesti e nelle carni, quanti attimi di attesa, lunghi come anni, per vedere arrivare quel giorno…
«Tre giorni con le doglie era.  E me lo diceva con gli occhi di aiutarla, la creatura…  Oh, l'acqua santa spruzzata e il Cuore di Gesù benedetto sulla sua fronte!…  Tremava di freddo, si lamentava, povera creatura».
«Come poteva saperlo, quel giorno?  Come poteva saperlo, lei, il suo destino?»
«Non c'era carro più bello per la festa grande di santo Isidoro…  Gerani e menta e basilico e fiori di oleandro rossi nei finimenti;  rami di alloro e di palma attorno alle sponde…»
Un giorno di rumore, di danze, di mandorle, di miele, di pane dolce, di vestito nuovo e diverso, di sorriso.  Una sera di vino e di liberazione, di carne e di rosmarino, di luce di petardi, di canti, di scoppi sotto il freddo di stelle lontane.  Ore costate l'eterno di un anno - ore che volgono il ricordo di una vita lunga - ore che segnano il tempo dei secoli e la paura della morte.
«Come sicura nel suo trotto leggero, tornando nel buio sonno rotto dalla luce dei canti!»
«Non ci sarà più festa per lei.  Non ci sarà più festa per noi.  Come potevamo, noi, come poteva, lei, sapere il destino?»
Le donne accovacciate nere immobili paiono ombre di pietra.
Gli uomini, nel cortile, stanno attorno alla cavalla stecchita stesa sopra un saccone.
Il carretto, sotto la tettoia, ha i finimenti inutili gettati sulle stanghe alte.
«Neanche da macellare è buona…»  Dice uno.
E un altro, scrutando il cielo che si è fatto terso, senza un filo di vento, senza uno straccio di nuvola, osserva:  «Stanotte farà brina, farà…».
 

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