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Clara la pazza

Clara la pazza ha appiccato il fuoco alla legnaia e c'è salita sopra.
Zio Anselmo è corso al campanile di chiesa, appena visto il chiarore dell'incendio levarsi come un sole alto fra le case; ma la voce s'è sparsa più rapidamente dei rintocchi e la gente è arrivata portando forconi, funi e secchi.
La legna arde crepitando; il fumo denso rossastro sale nel cielo senza vento; Clara la pazza si vede solo a tratti; urla parole incomprensibili con bocca spalancata e occhi spiritati; si agita e si contorce come presa da una frenetica danza; si piega ora a destra ora a sinistra, per scuotersi poi in avanti e in dietro, rigida come un burattino.
I pozzi sono pochi e lontani.  L'acqua dei secchi e dei barattoli sulla legnaia è come uno sputo sui carboni di un braciere: soffia e sfrigola in una nube di vapore.
Alcune donne hanno dato mano a lunghe pertiche che infiggono nelle fiamme grigie di fumo, nel tentativo di buttarla giù, seppure ha potuto resistere viva tanto a lungo, danzando in quell'inferno.
"L'inferno l'ha partorita; l'inferno se la riprende."  Borbottano rosse in viso, continuando a spingere senza convinzione le pertiche che bruciano anch'esse.

Nessuno, in paese, sa da dove sia giunta Clara la pazza.  L'aveva incontrata, molti anni prima, un contadino.
Era ancora fanciulla, allora.  Vagava fra i giunchi e le erbe delle paludi, come un animale smarrito.  Proprio come un animale era, che non sapeva pronunciare altro se non "Uh uh" con, la sua gola gozzuta.
L'uomo aveva preso dalla bisaccia una fetta di pane e lei lo aveva divorato famelica, accucciandosi per terra.  Poi lui l'aveva portata dietro il muretto di una baracca e lei lo aveva seguito, tendendo ancora la mano alla bisaccia, mugolando "Uh uh", in tono di supplica.
Clara la matta aveva visto il sole ruotare come una girandola nell'azzurro sbavato; con la schiena sulla terra aveva sentito un grosso peso premere fino a farla sprofondare come un sasso nella melma; poi la faccia dell'uomo ansimante le aveva nascosto il sole.
Prima di andarsene egli le aveva messo in mano un'altra fetta di pane. 
Adesso non sentiva più nel ventre il grido della fame, ma quello nuovo, più cupo, della paura.
Era rimasta dietro il muro a mugolare, a guardare affascinata il ruotare del sole e della propria angoscia.
In paese si era sparsa la voce che una cagna, figlia del diavolo lussurioso, tentava gli uomini soli nei sentieri, tra le macchie del cisto, nelle gole dei monti, apparendo improvvisa come un fantasma.  Prendeva per mano gli uomini che diventavano deboli a quel contatto.  Saltava come una capra, scoprendosi impudica il grembo, mugolando bavosa "Uh uh", accennando alla bisaccia.  Avuta la fetta di pane, la teneva stretta al petto con le mani, e si sdraiava immobile a guardare il riverbero della luce sulle pareti di granito costellato di piccoli specchi.
Qualche volta, nelle notti chiare di luna, appariva nei pressi del paese. 
Frugava nei letamai, negli ovili.  Le donne si facevano il segno della croce, prima di lanciarle un sasso.
Gli uomini nascondevano come una vergogna l'averla incontrata.  Eppure, nelle lunghe giornate trascorse solitarie tra cielo e terra, masticando il pane e il formaggio, appoggiati al tronco di un ulivo, sentivano un che di dolce nel pensare di vedere apparire la sua testa arruffata, i suoi occhi spalancati, la sua bocca larga carnosa che altro non poteva dire se non "Uh uh".  E mettevano da parte una grossa fetta di pane e un pezzetto di formaggio.  Sentivano la durezza della solitudine sciogliersi, quando le accarezzavano la schiena o le scuotevano la testa ricciuta o al contatto della piccola mano che li guidava verso un anfratto.  Ma la notte, accanto al focolare vedevano la sua immagine formarsi immobile fra le fiamme, apparire da sotto le braci dalla cintola in su, come anima del purgatorio. 
Recitavano allora un Atto di Dolore, ripromettendosi di confessarsi al prete, alla prima domenica.
Clara la pazza vagava da molti anni per le campagne e sui monti; nessuno sapeva dove riparasse il suo sonno nelle gelide notti d'inverno.
Per quasi tutta una stagione, nei primi anni del suo apparire, aveva abitato una tettoia diroccata fuori paese, giù verso la radura e il ruscello di don Peppe.
Si rintanava in quell'angolo protetto, quando sui picchi di granito i demoni giocavano a fare rotolare i fulmini come valanghe luminose, quando il vento gelato filtrava nei tetti e nei muri infilandosi come spina in una veste dalla trama logora. 
Allora la si sentiva uggiolare e ululare, Clara la pazza, quella strana creatura scaturita dall'inferno per dannare gli uomini.
Quasi una stagione era rimasta in quel covo.  Fino a quando la gente scoprì la sparizione dei pani e il furtivo uscire notturno dei ragazzi, a frotte per farsi compagnia e coraggio, per andare ad accoccolarsi a turno fra i sassi e le ortiche, accanto al demonio, dopo aver deposto in un canto il pane benedetto.
S'erano passata la voce, le donne, ed erano corse armate di pertiche per strappare i loro ragazzi alla tentatrice e per ricacciarla lontano sui monti.  Avevano lasciato le fanciulle tremanti di freddo e di paura a dire gli scongiuri e a custodire le culle; ed erano corse tutte, imprecando.
"I ragazzi no; loro sono innocenti, non si sanno difendere, loro.  Che ritorni all'inferno, da dove è venuta, quella strega!".
Qualcuna aveva staccato il crocifisso dal muro di casa e lo brandiva alto, agitandolo, per atterrire il maligno.
Non erano riuscite ad agguantarla, la strega, perché correva come una capra, a balzelloni, portando fra le braccia e il petto quanti pani più poteva.
L'avevano rincorsa con i sassi e con urla per una buona mezz'ora su fino alle rocce.  Dopo avevano dato fuoco a ciò che restava della tettoia e diroccato quanto restava del muretto di pietre.
Per molto tempo non la rividero più, neanche i pastori che salivano ogni mattina a portare il latte dagli ovili con i bidoni dentro le bisacce in groppa agli asini.
Ritornò con il bel tempo, macilenta e triste, mugolando più aspro il suo "Uh uh".
Gli uomini le avevano presto perdonato quel suo abominevole aver tentato l'innocenza dei ragazzi; avevano dimenticato gli scongiuri delle donne e gli ammonimenti del prete, creature deboli, ripresi dalla follia della solitudine che fa il cuore duro come il vetro e come il vetro lo fa fragile.
 Avevano ripreso presto l'abitudine di conservare in fondo alla bisaccia una larga fetta di pane e di attendere con dolce batticuore il suo "Uh uh" improvviso dietro un cespuglio di lentischio.
"Anche un diavolo - se gli angeli non osano mettere piede fra gli uomini - anche un diavolo può lenire l'infinita pena di chi è solo."  Aveva concluso il suo lungo vegliare il prete, una notte in cui la grandine e il vento avevano pianto e urlato sui tetti.

Clara la pazza è adesso risprofondata nell'inferno: i pali della legnaia hanno ceduto; fuoco e fiamme sono precipitati di schianto con un crepitante esplodere di scintille che ha fatto indietreggiare tutti.
Rientrano cupi alle loro case, coi secchi e i forconi inutili, dicendosi "buonanotte" sugli usci socchiusi.
Le donne sospirano di sollievo e di pena, pensando sgomente al mistero del bene e del male, stringendosi ai loro uomini come impaurite d'essere vive.
E gli uomini non avranno altro che il suono della loro voce, ora: il ritmo di una nenia triste che scivola sul silenzio ondoso dei colli o s'avvolge alle scure guglie dei monti o si adagia sulla breve vallata, dove, nelle notti serene, balugina sinuoso il ruscello, simile ad un argenteo sbavare di lumaca.
 

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