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7. Capo Frasca

Da una dichiarazione del comando supremo della NATO, rilasciata nel quartier generale a Parigi, nel 1963:
“In Sardegna esiste da tre anni un poligono di collaudo per le armi dell'alleanza… L'Italia funge semplicemente da Paese ospite dell'impianto.”
Il riferimento ad «armi missilistiche» è chiaro: nel poligono di Salto di Quirra si collaudano i prototipi, nel poligono di Capo Frasca si esperimentano sui bersagli.
La base NATO di Capo Frasca, al limite nord della provincia di Cagliari, occupa tutta la penisola dell'arco sud del golfo di Oristano.
La regione Oristanese - più nota come Campidano di Arborea - conosce un periodo di sviluppo con la colonizzazione dei fenici prima e dei romani, poi, che edificano la città marittima di Tharros nella penisola del Sinis e bonificano e coltivano il vasto e fertile entroterra. Quindi, il medioevo e la decadenza. Infine lo spopolamento a causa delle frequenti scorrerie di pirati barbareschi. Vi si formano paludi e acquitrini. La zona diviene il regno della malaria.
Fino al 1926 il fascismo vede la Sardegna esclusivamente in funzione di serbatoio di ascari, rispolverando il mito della «fierezza» della gente sarda e dell'«eroismo» della Brigata Sassari («fierezza» ed «eroismo» che di volta in volta vengono attribuiti a qualunque regione, suscitando perfino una gerarchia di «fierezza» e di «eroismo» tra le diverse comunità - e ci sono i poveri che finiscono per crederci, come alle maggiori doti taumaturgiche del proprio santo).
Il ruolo dell'isola cambia quando viene varata la campagna delle grandi bonifiche del regime, e al disegno dell'imperialismo fascista occorrono territori malsani e spopolati da «redimere» per trapiantarci prolifiche colonie umane, bovine e suine.
La Sardegna è tra le regioni più povere e più spopolate d'Italia, ma è «ricca» di zone acquitrinose e spopolate e possiede tante altre «qualità» da farne una colonia ideale. Qui, Mussolini farà le prove di quella che sarà la grande avventura in Africa Orientale: dal Veneto verranno trapiantate nella pianura Arborense alcune migliaia di famiglie di «coloni» («sardignoli» e «abissini», più avanti, finiranno per confondersi nel pregiudizio razzistico diffuso nel continente, e molti «coloni» sbarcati in Sardegna sono convinti d'essere in Africa).
Mussolini aveva detto testualmente:
“Hanno diritto all'impero i popoli fecondi, quelli che hanno l'orgoglio [probabilmente intendeva dire l'uccello , emblema del fascismo] e la volontà di propagare la loro razza sulla faccia della terra.”
Doveva essere un chiodo fisso, quello dell'orgoglio di moltiplicare, se nei libri di scuola si erudivano perfino i pupi di terza elementare:
“La potenza non si ottiene con le sole armi; la ricchezza non si può raggiungere col solo possesso dei beni. Che vale avere fucili, cannoni, navi, aeroplani, se non vi sono uomini sufficienti ed atti a farne uso?… Perciò Mussolini VUOLE che la popolazione aumenti sempre, e la VUOLE sana, robusta, temprata alle fatiche. Non c'è nulla che Lo allieti quanto la vista di una famiglia numerosa… di uno stuolo di bambini paffutelli che si baloccano al sole, di una squadra di Balilla intenti ad esercitarsi militarmente… Non c'è bambino, si può dire col musetto ancora imbrodolato di latte materno che non aspiri ad indossare la camicia nera, ad imbracciare ed adoperare un moschetto. Solo per questa felicità, i bimbi d'Italia vorrebbero crescere più presto (Testo Unico, 1940 – XVIII E: F:, a cura di A: Petrucci).
Non vi è dubbio che le teorie politiche ispirate al militarismo, elaborate dal fascismo e applicate alla cultura, giocano al buon senso scherzi come questi, e altri anche più spassosi.
Sfruttando un progetto di bonifica di cui era stato ideatore il deputato socialista Felice Porcella, Mussolini si getta a capofitto nell'opera di «redenzione» delle fasce paludose della pianura di Arborea. Il mandato pionieristico viene affidato agli stessi capitalisti che hanno le mani in pasta nelle miniere, nelle banche, nella Società Elettrica Sarda, nelle Ferrovie Complementari e nelle industrie alimentari che rapinano i prodotti del lavoro del contadino e del pastore. Lo Stato fascista incentiva il capitale con contributi straordinari a fondo perduto (col sistema dei progetti «pompati», superano il 100% dei costi reali); dal canto loro, i capitalisti fanno fare la bonifica ai braccianti sardi, attingendo a buon mercato nel serbatoio dei morti di fame.
Un'impresa faraonica: aprire canali a mare, livellare - senza mezzi meccanici, con pala e piccone - una superficie vasta venti chilometri per dieci, infestata da ogni specie di insetto ematofago, funestata dalla malaria.
Alla massa dei braccianti sardi viene assicurato che a bonifica ultimata, essi e le loro famiglie, ne godranno i benefici: le terre bonificate verranno lottizzate e assegnate ad essi che le coltiveranno in qualità di mezzadri. Intanto bisogna rimboccarsi le maniche, per mostrare al Duce di «quale tempra è fatta la razza indomita dei sardi».
L'organizzazione del lavoro - come vuole lo spirito della nuova Italia - è di tipo squisitamente militare: le «legioni del lavoro», dopo aver sfacchinato per tutta la settimana dall'alba al tramonto, il sabato sera devono diventare «quadrate» compiendo le prescritte esercitazioni belliche nell'apposito campo GIL, davanti alla tribuna su cui siedono i dirigenti in camicia nera e le loro signore in camicia bianca.
A bonifica finita i braccianti sardi vengono licenziati. A Mussolinia (così viene battezzato il nuovo comune rurale, nel 1929) vengono trapiantate tante famiglie venete, con aggiunta di romagnole, quante ne bastano per creare un allevamento razionale - gente laboriosa sobria religiosa, che faccia figli sì ma copulando senza compiacimenti plurocraticoborghesi, nell'interesse dello Stato fascista e dei padroni della bonifica.
In Mussolini, sotto sotto, riaffiorano certi umori proletari. Non si fida del tutto dei capitalisti della Società Bonifiche Sarde che gli fanno vedere tutto rosa e gli leccano il culo per ottenere sempre nuovi contributi. Così, oltre le sue periodiche visite-scampagnate di cui profitta per portarsi a letto la contadinotta nella villa del presidente, pensa di affidare un reportage a un giornalista di provata fede fascista, un certo Stanis Ruinas.
Il Ruinas fa un Viaggio per le città di Mussolini (edito da Bompiani nel 1939), annotando diligentemente tutto ciò che può far felice il Duce. Eccone alcuni stralci:
Siamo nell'Oristanese, tra Capo San Marco e Capo Frasca (già allora «zona militare»):
“Quattro cannoni puntano le bocche verso il mare per la difesa antiaerea. Li vigila un guardiano che alloggia tutto l'anno in una capanna tra queste due solitudini di terra e d'acqua… Ogni tanto il guardiano unge la bocca ai cannoni e la DICAT spara contro aeroplani che volteggiano per le esercitazioni… E' un veneto, e il figlio ha sposato una sarda, che si presenta scalza e sorridente. Ecco il primo incontro con un incrocio indigeno-continentale. Pare che questi incroci riescano assai bene…” (Stanis Ruinas, “Viaggio per le città di Mussolini”, Milano, Bompiani, 1939, pag. 85).
Contemporaneamente il fascismo rurale ha promosso anche l'incrocio di maiali sardi con maiali veneti per migliorarne il rendimento complessivo: i sardi avevano troppa carne e i veneti troppo lardo.
“Ecco una famiglia di romagnoli di Cesena. Li sorprendiamo, due fratelli con le mogli e sei bambini… Chi fa gli onori della stalla è il più piccolo, un ragazzino di cinque anni con un viso di mela ingambalato fino al ginocchio… Lavorano tutti… Il più piccolo accompagna fuori le bestie e le guarda, assieme ad altri due bimbetti poco più grandi… «Son come tanti figli - dice una delle due spose accennando alla stalla - danno dolori e noie come loro [bambini] e anche soddisfazioni…»” (Stanis Ruinas, “Viaggio per le città di Mussolini”, Milano, Bompiani, 1939, pag. 67)..
“Vi sono famiglie che formano colonie da sole. Una, veneta, conta 33 membri, 21 bambini sotto i 12 anni… [l'autore si sbrodola, pensando alla gioia di Mussolini!]. Una vera nidiata occhicerula e bionda che ci sciama attorno… Col numero dei bambini è cresciuto in proporzione quello delle bestie. La stalla ne allinea su due fronti una quarantina”. (Stanis Ruinas, “Viaggio per le città di Mussolini”, Milano, Bompiani, 1939, pag. 65).
Altra visita ad altra prolifica famiglia:
“Giovani e bimbi, mucche e vitelli formano una famiglia sola legata da vivi interessi ed affetti. Incontro in questa casa il primo vecchio, sopra la settantina. Secco come un querciolo, lavora come gli altri…” (Stanis Ruinas, “Viaggio per le città di Mussolini”, Milano, Bompiani, 1939, pag. 67).
E c'è da scommettere che copula pure, come gli altri, per contribuire come meglio può a ingravidare le femmine dell'allevamento.
Al di sopra dei comuni problemi di allevamento stanno i «condottieri» - gli eletti, gli «eroi», che compiono «gesta prodigiose», che incarnano le virtù più eccelse della razza latina, e naturalmente portano i gradi del comando. Ma gli «eroi», nonostante tutto sono creature mortali; anzi, più dei comuni mortali risultano soggetti alle infezioni microbiche. Si ha il caso di fierissimi condottieri di eserciti che usciti indenni dal grandinare della mitraglia, arrivati in questa «redenta» zona della Sardegna si beccano il Plasmodium soccombendo alla malaria.
Disgraziatamente, gli «eroi» di Mussolini, che alternavano nella colonizzazione il comando delle legioni col comando delle masse bracciantili, non conoscevano il DDT. La malaria restava un grosso handicap, peggio dei banditi barbaricini, specialmente lungo la fascia costiera dell'Oristanese: luogo ideale per costruirvi basi militari e poligoni di tiro.
Durante la seconda carneficina mondiale, in Sardegna ne uccise più l'Anophele che il nemico. «271 tedeschi morirono in Sardegna, sebbene su quest'isola non si sia svolta lacuna battaglia. Essi morirono per la malaria o precipitarono dagli aerei…», scrive nel 1964 «Der Tagespiegel» di Berlino.
Che i tedeschi e in genere i popoli anglossassoni fossero particolarmente sensibili agli attacchi degli insetti ematofagi è confermato da molti episodi di cronaca. Ma gli americani conoscono il DDt. Coi sottoprodotti dell'industria petrolchimica possono produrne tanto da sterminare tutte le Anophele dell'universo. Nel giro di poche settimane, la Fondazione Rockfeller, con vero spirito umanitario, senza chiedere una sola lira ai popoli sotto sviluppati e infestati dalla malaria, promuove e realizza nell'area del Mediterraneo la radicale disinfestazione delle zone colpite (poco conta se il DDt è tossico e distrugge la fauna microbica necessaria all'equilibrio dell'ambiente). Queste zone sono di rilevante importanza strategica nel disegno egemonico dell'imperialismo yankee e sono destinate a diventare basi NATO. La Sardegna è la «privilegiata» tra queste zone.
Nella vasta fascia paludosa, dove Mussolini portatore di valori «combatentistici» aveva iniziato la «bonifica integrale», insediandovi prolifiche colonie di umani, di bovini e di suini, al fine di produrre carne da cannone e carne da scatolette, la Fondazione Rockfeller debella il millenario morbo della malaria rendendo asettico l'ambiente, per insediarvi colonie di operatori e di tecnici della guerra nucleare. A Capo Frasca - di fronte a Mussolinia - sorge oggi una delle più efficienti basi militari della NATO.
La base consta principalmente di un poligono di tiro dove si esercitano quasi quotidianamente i cento bombardieri supersonici di stanza nell'aeroporto di Decimomannu. Vi si compiono periodicamente anche «esercitazioni combinate». Comprende diversi eliporti, impianti radar e centri di sussistenza - alcuni ubicati a Torre Grande, località balneare che fa parte del territorio metropolitano della città di Oristano.
Il territorio occupato dalla base comprende una penisola vasta circa 50 chilometri quadrati ed interessa direttamente cinque comuni: Terralba, San Nicolò d'Arcidano, Arbus, Guspini e Arborea, con una popolazione di oltre 50.000 abitanti.
Di recente, alcuni impianti radar e logisti sono stati spostati nella località turistica di Torre Grande. Ciò significa il graduale allargamento della base e il contemporaneo decadimento della nascente industria turistica nella zona nord del golfo.
A sud si è già creato il deserto. L'installazione della base NATO ha segnato la fine del paese che le stava più vicino, Sant'Antonio di Santadi. Il paese era ubicato in una felice posizione geografica: davanti il pescoso golfo oristanese e alle spalle un entroterra fertile per l'allevamento del bestiame. La base NATO lo ha chiuso e soffocato. Ai danni si aggiungono le beffe: i contadini espropriati non sono stati ancora indennizzati. Tutti gli abitanti di Sant'Antonio sono emigrati. Qualcuno, prima di andarsene, ha scritto sul muro di casa: militari truffatori e ladri.
Capo Frasca è ora chiusa, recintata da cavalli di Frisia. Non molti anni fa le meravigliose spiagge erano popolate di villeggianti; sui monti pascolavano innumerevoli greggi; il mare, da un lato all'altro della penisola, era punteggiato dalle barche dei pescatori. Adesso ci sono i militari della NATO con i loro ordigni di guerra. Non sappiamo neppure se esiste ancora Capo Frasca. Gli aerei a reazione lo usano per le esercitazioni di tiro. Bombe e missili. Si esercitano dapprima sulle pietre della Sardegna…
Un argomento comune alla borghesia «compradora» a favore della militarizzazione del'isola (finché non vengono toccati i suoi interessi) è, grosso modo, questo:
“Noi diamo in affitto agli alleati americani la parte improduttiva o di scarsa rilevanza economica del nostro territorio; in cambio riceviamo dollari sonanti che si traducono in opere pubbliche e quindi in benessere per le nostre popolazioni”.
Per quanto concerne il settore del turismo (quello più macroscopicamente soffocato dalle servitù militari) la stessa borghesia «compradora» al potere affaccia questa singolare tesi:
“Non è poi un gran male la presenza di zone militari lungo le coste sarde, perché limita la speculazione degli operatori economici del continente che hanno in pochi anni comprato e recintato tutte le spiagge aperte. Quelle soggette a vincoli militari restano bene o male proprietà comune e prima o poi potranno essere utilizzate dai rispettivi proprietari.
Non vale neppure la pena di confutare fole di questo genere, secondo le quali con appropriate leggi si difende e si tutela dalle speculazioni il patrimonio naturale comune, ma congelandolo nel frigorifero militare.
Nessuno mette in dubbio che lo Stato italiano riceva un mucchio di dollari per concedere alla NATO la penisola di Capo Frasca. Può anche darsi però - e con dati di fatto - che nessun vantaggio ne traggono i paesi della zona, e che anzi gliene vengono danni pesanti e micidiali pericoli.
“Oristano, 27 gennaio 1970. La questione dell'assenza di comprensori turistici da Capo Teulada a Capo Frasca, di cui il nostro giornale si è recentemente occupato in una corrispondenza da Iglesias, tocca molto da vicino l'Oristanese nelle sue prospettive di crescita economica e civile…
Se diamo uno sguardo ai vari insediamenti turistici lungo le coste sarde rileviamo facilmente che ci sono dei vuoti. Il vuoto più largo è appunto questo, che da Oristano, da Capo Frasca va verso l'Iglesiente fino a Capo Teulada. E naturalmente vien fatto di chiedersi il perché di tale vuoto, tanto più inspiegabile in quanto sotto il profilo paesaggistico, della bellezza delle spiagge, della facilità di accesso al mare si tratta di una zona privilegiata… Una risposta c'è, a nostro avviso, e bisogna andare a cercarla proprio dove comincia e dove finisce l'off-limits per il turismo: a Capo Frasca e a Capo Teulada.
A capo Frasca, lungo tutta la penisola, fino alle propaggini del Monte Arcuentu c'è un poligono di tiro per aerei della NATO, diversi eliporti, importanti radar e altre installazioni militari di natura non facilmente precisabile. A Teulada, in una delle superfici più vaste fra quante in Sardegna sono state espropriate per esercitazioni militari, è situato il campo di addestramento per unità corazzate…
Quale sia la natura, in che modo crescano e quali incidenze comportino le basi militari moderne (ben diverse dalle torri pisane e dai tradizionali bastoni fortificati) si può ben dire anche senza essere esperti. In particolare i poligoni di tiro per aerei e i campi di addestramento per unità corazzate, abbisognano oltre le basi fisse delle servitù territoriali vere e proprie, di vaste zone libere, possibilmente disabitate…
E per la verità, la questione delle basi militari come remore dello sviluppo economico dell'isola, in particolare per il settore del turismo, per quel che ne sappiamo, i nostri uomini politici e i nostri amministratori non se la sono mai posta… (“La Nuova Sardegna”, 28 gennaio 1970).
Senza fermarci al dato particolare della situazione socio-economica di questa zona, indichiamo alcuni aspetti caratteristici del sottosviluppo delle comunità oristanesi:
- mancano in tutti i paesi i più elementari servizi igienico-sanitari (ospedali, ambulatori, mattatoi, servizi di nettezza urbana, fognature, sistemazione degli ovili fuori dagli abitanti, ecc.);
- a causa dello stato di abbandono in cui versano le popolazioni, nell'estate del 1967 è scoppiata un'epidemia di colera infantile (una decina di morti e un centinaio di bimbi gravemente colpiti) che ha messo a nudo una drammatica situazione di arretratezza civile;
- l'agricoltura che pure vi ha grandi potenziali risorse è in crisi per mancanza di industrie che ne valorizzino i prodotti;
- la pesca è ancora esercitata a livello artigianale, senza attrezzi e strumenti idonei - sono ancora numerosi i pescatori che usano le bombe, che usano il barchino di falasco, il succo della euforbia e altri metodi che gli etnologi riscontrano (sempre meno) soltanto tra i popoli primitivi della Polinesia;
- la pesca degli stagni è organizzata su schemi feudali che risalgono alla Spagna del XV secolo;
- le scuole sono tra le più arretrate dell'isola, mancano gli edifici scolastici; le percentuali di analfabetismo si aggirano ancora sul 25% della popolazione; l'evasione dall'obbligo scolastico, a causa del lavoro minorile, raggiunge punte elevate specie fra i ceti contadini;
- a oltre 10 anni dalla formulazione del Piano di rinascita, l'Oristanese non ha ancora realizzato il suo «nucleo industriale» né il porto di cui necessita insieme al decentramento amministrativo e politico per svincolarsi dalla tutela di Cagliari. Né ha ottenuto la riattivazione dell'aeroporto di Fenosu (che funzionava invece benissimo come base di bombardieri tedeschi, insieme a quelli vicinissimi a nord e a sud, di sa Zeppara e di Milis, durante la seconda carneficina mondiale). Un aeroporto, quello di Fenosu che potrebbe essere facilmente utilizzato per il traffico civile. Di una «rispolverata» all'aeroporto di Fenosu, ma in chiave NATO, se ne va riparlando in relazione allo sgombero degli USA dalla Libia e alla loro necessità di trovare altrove basi sostitutive.
Di quando in quando si odono cupi boati e fragorose esplosioni. Sono «i rompitori di scatole della NATO» come li ha battezzati la gente, che a cavallo dei loro micidiali e rumorosi reattori sfrecciano sopra i tetti degli abitanti. Ci sono state continue lamentele da parte degli abitanti di Oristano, Terralba, Santa Giusta, Marrubiu e Arborea - e paesi più vicini e più colpiti dalla peste militare.
Le amministrazioni comunali sono impotenti davanti allo strapotere dei generali, che fanno il comodo loro. Fino al punto di appropriarsi delle strade.
“Non bastava l'esproprio di almeno 2.000 ettari di buon terreno produttivo e di decine di chilometri di spiagge che ha svalorizzato una vasta zona turistica: questi signori della guerra, col beneplacito della Regione, hanno sistemato la vecchia strada comunale di penetrazione agraria e a lavori ultimati se ne sono impadroniti, sbarrandola con cartelli di divieto di transito e di proprietà privata. Si tratta per la precisione della strada che parte dalla statale 126 appena fuori dell'abitato di Arcidano, e che appartiene per i primi chilometri a questo comune, per altri tre chilometri circa a Guspini e per il resto ad Arbus e a Sant'Antonio di Santadi.
Vi sono state inizialmente scaramucce tra i contadini dei tre comuni (che si vedevano sbarrata una strada che essi ed i loro antenati avevano sempre usato per raggiungere i loro fondi) e i militari della NATO. I comuni hanno energicamente protestato presso l'assessorato competente. I cartelli e i divieti sono rimasti.
Ma la gente del luogo non ama - come suol dirsi - farsi mettere i piedi sul collo; perciò ha ripreso a transitare sulla strada rubata. Purtroppo, l'ignaro visitatore, il turista non conoscendo l'illegittimità dei cartelli fa marcia indietro. Il danno che ne riceve il turismo è rilevante: Porto Palma ed altre numerose spiagge che da tempi immemori erano meta di villeggianti, si vedono precluso ogni sviluppo… (“Sardegna Oggi”, 1° gennaio 1964).
Della base NATO di Capo Frasca si è parlato poco o niente sulla stampa. E' vero che gli aviatori tedeschi che vi si esercitano in bombardamenti e nei tiri di missili sono «i più bravi della NATO», perciò finora - salvo qualche rara volta - i loro ordigni sperimentali sono caduti «al posto giusto». E stando così le cose, sui giornali la questione non fa notizia.
Per mancanza di gruppi organizzati che dibattano il problema a livello di massa, le popolazioni della zona ignorano in gran parte sotto quali terribili pericoli vivano. Le federazioni e le sezioni dei partiti di sinistra, qui non trovano il tempo per parlare all'elettorato di basi militari, perché non porta voti ed è rischioso. D'altro canto la gente, qui, dopo secoli di malaria, di epidemie di colera, di feudatari che detengono il monopolio della economia, di clericalizzazione integrale, ha bisogno di sollecitazioni violente per reagire. E quando reagisce è soltanto un attimo d'ira violentissima: il tumulto.
Da un anno a questa parte, il quotidiano sassarese «La Nuova Sardegna» comincia a dedicare alcuni servizi sulle ripercussioni negative della base di Capo Frasca sull'economia dell'Oristanese. Gli operatori economici premono per lo svincolo di alcune fasce litorali della Sardegna sud-occidentale - finora bloccate dal demanio marittimo e dalle autorità militari e pervicacemente negate a una loro utilizzazione turistica.

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