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All'attenzione del lettore

QUALI BANDITI? svolge una tesi stimolante nella storiografia moderna, una tesi comune e diffusa nella visione e valutazione che da sempre la gente sarda ha e dà della propria storia; la tesi cioè che la definizione di “bandito”, data in specie al pastore barbaricino che infrange o rifiuta la legge dell'invasore, estensibile a tutto il popolo sardo, è sostanzialmente mossa dal razzismo (che è alla base di ogni oppressione culturale e di ogni sfruttamento economico), e che non è difficile ribaltare l'accusa tracciando un parallelo tra i crimini attribuiti ai Sardi e quelli attribuibili ai colonizzatori: davanti ai crimini perpetrati dai “civilizzatori” impallidiscono anche quelli più efferati che dalla storia fatta dai vincitori vengono addebitati ai vinti.
E' stato scritto: “Liquidare ogni attività economica autonoma e non integrabile; disgregare l'unità comunitaria e rompere l'equilibrio sociale fomentando conflitti di interesse fra i diversi ceti; soffocare la cultura indigena; dichiarare falsi e bugiardi gli dei, e barbari gli usi e i costumi dei popoli da assoggettare; stroncare ed eliminare con le galere e con le forche ogni opposizione: queste le regole di ogni colonizzazione, pre o post-capitalistica”.
Più specificamente, da parte di tutti i colonizzatori, è invalsa la regola di definire la lotta sociale, nei suoi aspetti di opposizione e di rivolta, come fenomeno di banditismo, come espressione barbarica di gratuita violenza contro gli ordinamenti cosiddetti civili imposti dal dominatore. Il banditismo - la criminalizzazione della volontà di riscatto del popolo - diventa così fenomeno di inciviltà, di delinquenza comune, di barbarie, da combattere e da estirpare con ogni mezzo - senza neppure fare salve quelle parvenze di garanzie che uno stato di diritto dichiara di applicare a ogni cittadino, qualunque sia il misfatto di cui viene accusato. Non a caso, nella lunga lotta contro il banditismo, dai Romani, agli Spagnoli, ai Piemontesi, per stroncare la volontà di opposizione del popolo, leggi e armi “speciali” (non contemplate nella norma giuridica di quei paesi civili) vengono “normalmente” e “ininterrottamente” usate contro intere comunità: la tortura, l'incendio, la spoliazione, l'incentivazione della delazione, l'assassinio sono “atti di ordinaria amministrazione” della giustizia.
Sta di fatto che il colonizzato, in qualunque modo o forma tenti di opporsi, è sempre un criminale. E se è sardo pastore, egli è più precisamente un bandito barbaricino. Assai più pericoloso, per la sicurezza dello stato dei padroni, delle Bierre, perché culturalmente “indecifrabile”; espressione anomala di un popolo senza storia.

Ugo Dessy
Cagliari, marzo 1984

Riproduciamo qui di seguito una lettera inviata al “Messaggero sardo”, giugno 1980, dalla quale Dessy prende spunto per andare oltre l'“olimpo” della cultura ufficiale e calarsi sempre di più nella cultura sarda.


Caro Dessy,
io e la mia compagna abbiamo letto il tuo libro Quali banditi?. Siamo rimasti entusiasti! Se in Italia ci fossero meno ignoranza, meno razzismo, il tuo magnifico libro contribuirebbe a far meditare molti benpensanti…
Caro Dessy, scusa la confidenza, vorremmo conoscerti di persona per ringraziarti di esistere. Io sono un sardo in “esilio” da venti anni per la pagnotta… molto, ma molto dura! Spero di tornare a morire nella mia terra con dignità.
Un abbraccio e tanti ringraziamenti per il tuo gradito riscontro.

Antonio Scanu
Leda Ecchi


Cari Antonio e Leda,
soltanto oggi ho ricevuto la vostra cara lettera, inviatami presso il periodico “Il Messaggero sardo”, e scusandomi dell'involontario ritardo mi sembra corretto rispondervi attraverso lo stesso periodico, che voi evidentemente conoscete.
La vostra valutazione del mio saggio “Quali banditi?” conta per me molto più della più ambita recessione, mi incoraggia a continuare nel mio lavoro di scrittore e mi ripaga delle amarezze dei tanti ostracismi che i miei scritti subiscono per le mie scelte ideologiche di libertario.
Ma è logico che ciò accada: non dovete meravigliarvene, come non me ne meraviglio io - la mia è una scelta cosciente e so bene quale scotto devo pagare. Ci sono intellettuali che servono i padroni e condividono con questi potere e privilegi; e ci sono intellettuali espressi dal popolo e condividono con questo oppressione e sfruttamento. E' un dato di fatto che nel potere, e nei privilegi che comporta, non c'è posto per l'intellettuale del popolo. La misura della validità rivoluzionaria di uno scrittore è sempre inversamente proporzionale al successo che il sistema gli riserva nell'Olimpo della cultura ufficiale.
Vorrei anche io conoscervi di persona. So che in diverse città del continente emigrati sardi hanno costituito centri di cultura. Tempo fa, alcuni amici del “Circolo Sardegna” di Bologna mi invitarono a partecipare a un dibattito sul tema del “nuovo corso del banditismo sardo”, cui avrebbero invitato anche Giorgio Bocca - ma l'iniziativa venne rinviata. Penso che una buona occasione per conoscerci potrebbe essere quella di organizzare nella vostra città o in altre dei dibattiti su questioni che interessano la nostra terra e il nostro popolo. Dal canto mio vi garantisco con la mia presenza la massima collaborazione a tali iniziative.
Ricambio l'abbraccio con amore fraterno.

Ugo Dessy

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