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Capitolo II - Il ventilato nuovo corso del banditismo

“Egregio Direttore
vogliamo esprimere il nostro giudizio su di alcuni abitanti della Repubblica Italiana: i Sardi.
Sono solo degli sporchi assassini, esseri inferiori, sporchi, crudeli, senza alcun rispetto della dignità umana. E' risaputo che sono dediti a rapporti sessuali con le pecore.
Sono emigrati nella stupenda Toscana dalla loro schifosa regione, ed anche qui hanno compiuto l'unica azione che sanno compiere: rapire, massacrare e poi dare i cadaveri dei rapiti in pasto ai maiali.
Il problema della Sardegna potrebbe essere risolto in due modi: o buttandoci sopra una bomba atomica, o dandogli la loro maledetta autonomia, così si levano per sempre dai piedi e smetteranno di ammazzare gli italiani ed appestare col loro fetore la Penisola.
Precisiamo che non siamo i soliti fascisti, ma un gruppo di compagni militanti.

MORTE AI SARDI”

Questo il testo di una lettera firmata da alcuni “compagni militanti” pubblicata non molto tempo fa da una rivista del continente che non vale la pena nominare. Anni fa Ricciardetto (alias Augusto Guerriero) scriveva su “Epoca” che per eliminare i banditi barbaricini si sarebbe dovuto usare una “bella ventata di gas asfissianti”. Le tecniche di sterminio si aggiornano: i compagni toscani invocano ora per i Sardi la bomba atomica. Ma i conti non tornano: una bomba A è insufficiente; bisogna usare quella all'idrogeno. Wilhelm Reich sapeva quel che diceva quando definiva un certo comunismo “fascismo rosso”.
Mossa dai settori più oltranzisti del potere, è in atto da oltre due anni una ennesima campagna contro il pastore sardo, raggiungendo in Toscana la fase della maggiore virulenza.
In termini più o meno espliciti e sfacciati, si sostiene che i sequestri di persona a scopo estorsivo che avvengono nel Nord-Italia, e in particolare in Toscana, sono “per lo più” opera di Sardi - anzi di una “anonima sequestri sarda”. I Sardi, esiliati nel Continente, non avrebbero perso né il pelo né il vizio. Il “pelo” sarebbe quello della loro rozzezza di pecorari. Il “vizio” sarebbe quello di delinquere specialmente sequestrando possidenti - evidentemente per accumulare ingenti capitali (3 miliardi, si dice, con il solo sequestro dei tre fanciulli tedeschi).
Da tali affermazioni, apparentemente fondate su riscontri obiettivi, e apparentemente ristrette all'ambito della criminalità, prende corpo e si diffonde, nella opinione pubblica del Continente, un insieme di pregiudizi razzistici e di intolleranza che offende il popolo sardo e non contribuisce certo ad affratellare le genti di cultura diversa.
Se si vuol parlare di “vizi” difficili da perdere (cambiare il pelo è diventato segno di civiltà), non c'è alcuno più lupo del potere. Infatti, di qualunque colore si ammanti, il potere non ha perso il suo vizio capitale, ormai storico, di criminalizzare, mediante orchestrate campagne diffamatorie, le minoranze etniche “resistenti”, le categorie sociali emarginate, i portatori di cultura e di idee eretiche, non fagocitabili, per poter colpire in effetti il movimento di opposizione popolare.
La caccia al pastore sardo ha sempre coinciso con periodi di crisi del sistema, con periodi di svolte autoritaristiche del potere, con periodi di ristabilizzazione economica e di tensioni sociali. Oggi come ieri, dunque, è chiaro che la riesumazione di un fenomeno “tipico” di banditismo sardo, presentato in modo emotivo e in termini razzistici, ha lo scopo di distogliere l'attenzione della gente da altri fenomeni di banditismo, ha lo scopo di dare in pasto alla rabbia popolare un capro espiatorio.
E' veramente sconsolante che il sistema trovi sempre, anche tra i Sardi, utili idioti per alimentare la favola del banditismo barbaricino, della atavica specifica tendenza criminale di quel popolo. Le dissertazioni storicistiche sociologiche criminologiche, nonché le mitizzazioni, hanno contribuito non poco a dare corpo a un fantasma - creato e agitato per giustificare le rapine, le stragi dei banditi della colonizzazione. E non senza ironia, Graziano Mesina soleva dire che il pastore latitante è il coperchio buono per coprire tutte le pentole.
Se criminologici e sociologi vogliono veramente trovare fenomeni di criminalità da studiare, è sufficiente che rivolgano l'attenzione a ciò che avviene a livello di potere economico e politico. Per ciò che fa e per ciò che non fa, la classe al potere può essere storicamente definita “una cosca di criminali mafiosi”. Non c'è crimine che la classe al potere non abbia commesso o che non abbia l'ardire di commettere per conservare i propri privilegi: dal furto alla rapina, dall'assassinio alla strage, dalla estorsione al sequestro di persona, dal plagio alla tortura. Dagli atti del potere si può ricavarne una enciclopedia del crimine.
E' davanti agli occhi di tutti la situazione di marasma, di corruzione, di incapacità, di ladroneria, di omertà. Una situazione avvilente, di paralisi delle istituzioni a tutti i livelli, di degradazione di ogni valore morale e civile, di inflazione, di disoccupazione, di miseria, di caos. E sappiano tutti - noi popolo, noi gente comune - quanta rabbia, quanto disgusto ci sia dentro di noi per questa situazione.
Ed è proprio in situazioni come questa attuale che si rispolvera la favola del banditismo sardo, della “specifica” criminalità del pastore barbaricino.
Un reato “specifico” della criminalità pastorale sarebbe quello del sequestro di persona a scopo estorsivo. Si tratta di una affermazione infondata, che tradisce un animus razzista: i Sardi, quando delinquono, sono delinquenti esattamente come lo sono gli abitanti della Toscana e di ogni altra regione. Si sequestrano possidenti dove ci sono possidenti. La “specificità” di un reato non è da correlare all'uomo in quanto tale, ma alle strutture economiche sociali e giuridiche di una data società. Tutto qui. Le dissertazioni pseudoscientifiche sul “gene criminale” tipico del Barbaricino, di cui cianciava il Niceforo, di cui continuano a cianciare in termini ammodernati certi criminologi, sono solenni baggianate.
Semmai - come è stato autorevolmente dimostrato - la rapina e il sequestro di persona sono reati tipici del capitalista, in quanto concorrono alla accumulazione di capitale. Lo afferma, tra gli altri, il sociologi Roberto Guiducci.

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