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Capitolo V - La questione del bilinguismo

Il primo atto politico di un certo rilievo per l'affermazione del bilinguismo è del 16 gennaio 1978, con l'inizio della raccolta delle firme per la presentazione di una legge regionale.
L'iniziativa è preceduta da un lungo e pesante dibattito sui concetti di colonia, di nazione, di cultura - che si trascinava da anni ed è riesploso con vivacità in questi ultimi anni con la scoperta dei radicali dell'art. 6 della Costituzione.
Le linee ideologico-politiche del dibattito sono contradditorie, spesso tra loro inconciliabili. Si configura infatti un "fronte anticolonialista" composito e disarticolato, che ha come base comune una idealistica difesa dei valori culturali del popolo sardo.
All'interno di questo "fronte" si distinguono diverse componenti:
1) Componente borghese, di intellettuali e politici su posizioni riformistiche. Gli intellettuali, epigoni del più gretto provincialismo, disquisiscono finemente nella terza pagina dell'Unione, alla ricerca di una effimera notorietà. I politici, che si collocano sia nella DC che nel PSDAZ, intendono la scelta "sardista" come strumentale ed elettoralistica.
2) Componente sardista dissidente (i cosiddetti indipendentisti) che tende a raccogliere l'eredità del primo partito sardo d'azione come movimento di liberazione popolare prettamente contadino, "non contaminato - come specificava Emilio Lussu - dal marxismo, né dai movimenti culturali sorti in Italia nel dopoguerra, ivi compresa Rivoluzione liberale di Gobetti - e neppure da Gramsci".
3) Componente marxista-leninista (stalinista). Ho aggiunto tra parentesi il terzo termine per il frequente ricorrere nel suo interno alle opinioni di Stalin a sostegno dell'asserita o dubitata esistenza di una "nazionalità" sarda.
4) Componente radicale. Bisogna dare atto ai radicali di aver riproposto in chiave concreta, di attuazione, l'art. 6 della Costituzione, ingrossando il loro "pacchetto" di principi nella lotta per i diritti civili.
5) Componente che fa capo a Democrazia Proletaria che ha capito di poter esistere in Sardegna soltanto in chiave sardista. Ma se la scelta di cavalcare l'idea di una nazionalità sarda può apparire squisitamente politica, bisogna dire che i suoi dirigenti sono sinceramente e autenticamente legati alle esigenze di liberazione e di crescita culturale del popolo sardo.
6) Componente che fa capo a Nazione sarda, una rivista che per altro ha vissuto stentatamente senza raccogliere consensi popolari. Si tratta di un gruppo di intellettuali radicati nella cultura sarda, che se uscissero da certi velleitarismi accademici, potrebbero meglio animare il movimento anticolonialista.
7) Componente denominata SARDINNA E LIBERTADE, che si dichiara l'unica autentica rappresentante delle istanze indipendentiste del popolo sardo. Parlerò più avanti di SARDINNA LIBERTADE in relazione al tentativo in atto di criminalizzare gli uomini di punta del movimento politico culturale per l'indipendenza della Sardegna.
Tutte le componenti di questo eterogeneo fronte sardista (a cui si è aggiunto di recente il PSDAZ convertitosi all'indipendentismo) sono d'accordo su un punto: l'introduzione del bilinguismo con il riconoscimento legale della lingua sarda.
Personalmente non credo che sia questo il punto su cui i Sardi devono battersi unitariamente. Il riconoscimento (legalizzazione) da parte dello stato italiano (fatta l'ipotesi che venga concesso) significa l'istituzionalizzazione della attuale posizione subalterna della lingua sarda; significa la modificazione della lingua del popolo in lingua ufficiale, di potere: una modificazione che la corromperebbe vuotandola di tutti i contenuti rivoluzionari che le sono propri in quanto patrimonio di un popolo oppresso. La lingua sarda, inserita come appendice ripetitiva e folclorica della lingua italiana nelle istituzioni del sistema (parlamento regionale, scuola, partiti, municipi, tribunali, burocrazia in generale) non modificherebbe la sostanza e i fini oppressivi e violenti di quelle stesse istituzioni, ma ne diverrebbe essa stessa complice. Il popolo - che oggi questa lingua parla esprimendo la propria autenticità - finirebbe per rifiutare la sua stessa lingua diventata espressione di un potere che aborre. In verità, così come sono contrapposte e inconciliabili la realtà dell'oppresso e quella dell'oppressore, anche le loro lingue, le loro culture, i loro fini sono contrapposti e inconciliabili. In parole semplici: che differenza fa per il contadino, per il pastore essere sfruttato da un potere che si esprime in lingua sarda anziché in lingua italiana o in tutte due le lingue insieme?
Riappropriarci della nostra lingua e della nostra cultura deve significare riappropriarci della nostra terra, del nostro patrimonio naturale, delle nostre strutture economiche, dei nostri istituti sociali, in una parola della libertà di essere ciò che siamo e ciò che vogliamo essere.
Ma non basta che si voglia imporre con la legge, istituzionalizzandogliela, la propria lingua ai Sardi. Ora gli si vuole imporre anche l'uso corretto della grafia di questa stessa lingua.
Con tutto il rispetto dovuto allo spirito di iniziativa della Giunta regionale, l'idea di voler affidare a una équipe di esperti la stesura di una sorta di mappa delle diverse grafie del sardo, da cui ricavare la lingua unica corretta, ricorda Concili di altri tempi, con esperti teologici chiamati a dissertare e a decidere sulla forma più ortodossa della tonsura. "E se alcuno dirà non essere la scrittura della Lingua Unificata per volontà della Autorità Costituita l'unica graficamente corretta e l'unica legittima espressione pubblicamente consentita, SIA SCOMUNICATO" - sarà questa la sostanza finale dell'operazione; giusta la formula rituale conciliare, ripetuta a conclusione di ogni affermazione di ortodossia.
E' probabile, con i tempi di marasma che corrono, che il gruppetto di esperti linguistici, chiamati dalla Giunta regionale a dare vita a una "costituente" della "unificazione delle lingue sarde scritte", non si rendano conto della enormità di una simile impresa.
Il fatto è che esiste una lingua sarda parlata, articolata in diverse varianti, che è viva - finché vivrà un popolo sardo. Ed è anche vero che, per diverse ragioni, non esiste consolidata nell'uso una lingua sarda scritta - se non, finora, come tentativo inautentico, direi politico-folclorico, di espressione poetica, letteraria e giornalistica.
La corretta grafia di una lingua non può essere inventata a tavolino: una lingua parlata diventa scritta quando la si scrive. Quando nella sua crescita culturale il popolo sardo maturerà l'esigenza di esprimere per iscritto idee e sentimenti, allora nascerà ed emergerà un modello di lingua scritta - cui, chi vorrà, potrà rifarsi; poiché il principio di libertà di espressione riferito ai contenuti si estende anche alla forma e ai mezzi.
Mi sembra semmai corretto stimolare, anche incentivandola - come da qualche parte si sta già facendo - una produzione letteraria e pubblicistica in lingua sarda, campidanese o logudorese, con o senza kappa. (Anche se sono contrario alle "incentivazioni" dall'alto della crescita umana, che producono sempre effetti snaturanti - tal quale l'uso degli estrogeni nello sviluppo dei polli da allevamento).
Forse c'è ancora chi in buona fede non si rende conto che una cosa è la lingua parlata dal popolo, che sacrifica la vita lavorando, e ben altra cosa è la lingua "sarda" parlata o scritta dalla borghesia compradora - politica, intellettuale o mercantile che sia – che la utilizza per farsi bella (e sardista) agli occhi della gente sarda e ottenere consensi nella loro arrampicata al potere. Questi signori, che si sono scoperti oggi, in età di climaterio, la vocazione anti-colonialista e nazionalitaria, che si arrabattano a parlare e a scrivere in una lingua che non è la loro, che vivono in lussuose ville e storcono il naso all'odore di un ovile, questi signori, in qualunque idioma si esprimano, parlano sempre la stessa lingua: la lingua del potere.
E dunque, l'operazione promossa dalla Giunta non ha lo scopo di unificare nella grafica le diverse parlate popolari, ma di modificare e legalizzare la lingua del popolo per asservirla, correlarla, alla lingua del potere.
I potenti di ieri, gli "Unti del Signore", frastornavano e truffavano le plebi prostrate dallo sfruttamento, dalla fame, dalle epidemie, fanatizzandole, deviandone la carica di rivolta con Sante Crociate e Cacce alle Streghe e agli Untori. E quando le plebi avevano l'elementare coscienza di lamentarsi, essi, i potenti, tuonavano scandalizzati: "Ma come? Non abbiamo ancora risolto il problema dell'esistenza di Dio, e voi volete mangiare?!".
Così oggi. Alla gente sarda, travagliata come non mai da una crisi economica senza sbocchi, afflitta dalla selvaggia rapina del suo patrimonio, devastata desertificata la sua terra da militari, petrolieri, siccità, incendi e allucinanti morbi radioattivi, alla gente sarda, oggi, i potenti ripetono la solfa di sempre; "Ma come? Non abbiamo ancora risolto il problema della Unificazione grafica di tutte le parlate sarde, e voi volete l'indipendenza?".



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