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Orazione funebre per Pasquale Pau

Requiem per un bandito

Pasquale Pau è morto. Ora custodisce pingue gregge nei verdi pascoli della prateria celeste che il Dio dei pastori riserva ai buoni - Così canta la nenia delle prefiche attorno al suo letto funebre.
Pasquale Pau, il latitante, é morto. Accudiva al pasto dei maiali, nel campicello preso in affitto di recente. Una morte straordinaria, per un bandito. Non la morte violenta dell'assassino che sfida la legge dell'umana fratellanza, ma la morte assurda, senza un perché.
É vero, molti sono i banditi in questa terra senza pace e senza giustizia. Anche Pasquale Pau era un bandito. Un bandito senza mitra, senza sequestri, senza taglia. Un bandito-uomo-pastore. E non é morto da bandito. E' morto da uomo. Accudiva al suo gregge, si abbeverava all'unica fonte di vita che esile sgorga da questa terra avara.
Pasquale Pau è morto. A quarantasette anni sognava ancora il sogno dei giovani. Un sogno assurdo, sulle pietre di questa isola: avere una donna e figli, gregge e pascolo, un tetto e un giaciglio. É caduto con il suo sogno assurdo - né, forse, sulla terra che avida ha bevuto il suo sangue altro potrà germogliare che spini velenosi.
"Mio figlio dovrà sapere il nome di chi gli ha ucciso il padre!" - ha gridato l'ira della sua donna. Le donne gravide, in questa terra, ingoiano una scheggia di granito, per dare al nascituro un cuore che regga il dramma della vita. Angela Marras, la compagna di Pasquale Pau, ha ingoiato tutto il piombo della sua morte, per dare un cuore all'orfano che dovrà nascere.
É vero, ci sono molti banditi in Sardegna. La nostra é una società piena di banditi. Anzi, é una società di banditi. Banditi malvagi e sanguinari; banditi onesti e pacifici. Banditi che rubano miliardi e banditi che hanno in tasca duemila lire. Pasquale Pau era un bandito con duemila lire in tasca.
Chi lo ha ucciso non potrà che avere l'esile conforto di avere ubbidito. Il dovere disumano di chi esegue la sentenza di condanna a morte di un innocente - il cui sangue ricade su tutti i grandi della terra.
Pasquale Pau é morto. Di lui nessuno, a voce alta, potrà mai dire altro che parole buone. Sentiva i piccoli grandi problemi della sua gente, la disperazione del povero che ha smarrito un agnello. Conosceva dentro di sé la sua gente, i drammi antichi della sua gente, si era fatto generoso dispensatore di minuta giustizia: rendeva il maltolto, riparava il torto, pacificava gli animi che il dramma delle pietre sterili e deserte e della solitudine rende aspri e taglienti come schegge di selce.
Meritava il canto di un poeta, Pasquale Pau, il bandito d'onore. Non può averlo, un poeta che canti la sua vita e pianga la sua morte, in una società che altro non sa esprimere se non l'offerta dell'imbonitore nel mercato.
Pasquale Pau é morto. Lavorando, amando, sperando. L'uomo che é nato sulle pietre, nudo e solo, non può credere nella giustizia venuta da un mondo verde di pascoli. Eppure, egli ha voluto credere in quella giustizia: credeva che un giorno lo avrebbero dichiarato uomo senza colpa. Pensava al suo vicino processo d'appello, quando é caduto - intanto espiava la colpa d'essere nato pastore.
La nenia delle prefiche canta attorno al suo letto funebre: - Ora custodisce pingue gregge nei verdi pascoli della prateria celeste, che il Dio dei pastori riserva ai buoni".

 

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