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Indice articoli


APPENDICE I


DICIUS E FRASTIMUS / DETTI E INVETTIVE

1 - IL CONCETTO DI GIUSTIZIA

Il concetto di giustizia - nei detti, nei proverbi, negli scongiuri, nelle maledizioni, nelle invettive.

1 - Mezzu terra senza pane che terra senza justizia. Dicono i pastori nella loro lingua, il logudorese. E nella lingua campidanese, i contadini esprimono lo stesso concetto con il detto: Mellus chi manchit su pani che sa giustizia.
Meglio una terra senza pane che senza giustizia; è meglio che manchi il pane che la giustizia. Nel sardo, come in ogni popolo oppresso, è grande il bisogno di giustizia, di un mondo dove gli uomini siano uguali e non più divisi in sfruttatori e sfruttati.
Alcuni anni fa, un procuratore generale di cui non vale la pena ricordare il nome, nella tradizionale relazione annuale sullo stato della giustizia in Sardegna, citò questo detto a sostegno della sua ovvia richiesta di una maggiore efficienza e di un maggior rigore dell'apparato giudiziario e repressivo: più polizia e più galera - secondo lui - chiedevano dunque i sardi per amore della giustizia. Una sfrontata e provocatoria citazione o la più crassa ignoranza del concetto che i sardi hanno dell'amministrazione della giustizia.

2 - An chi ti currat sa giustizia!, Che ti possa rincorrere la giustizia!, è forse la peggiore invettiva che si lanci al nostro nemico, al quale non si può augurare di peggio che finire nelle mani della giustizia.

3 - An chi ti pregonit sa giustizia!, Che tu possa esser chiamato a comparire davanti alla giustizia! Anche l'essere soltanto pregonau, chiamato in giudizio, è grave iattura. Come la precedente e come quella che segue è diffusissima nel popolo.

4 - An chi ti currat su Buginu!, Che ti possa rincorrere il Bogino! - Bogino Gian Battista Lorenzo è ministro sabaudo per la Sardegna dal 1750 al 1773. Uomo di punta della nascente borghesia piemontese, statista liberale a casa sua, in colonia diventa un arrogante boia. Bogino è infatti sinonimo di boia, o anche di diavolo scatenato, nella parlata popolare.

5 - Meda leis, pobulu miseru (o anche Leges meda, pobulu miseru). Molte leggi, misero popolo. A valutare dalla quantità di leggi esistenti e da quelle che quotidianamente si fanno, il nostro è certamente il popolo più misero del mondo.

6 - Acciottau siast! - Che tu sia flagellato! Da acciottu, frusta usata per le pubbliche punizioni ai malfattori.

7 – Fai’ che sa giustizia de Serramanna. Far come si fece giustizia a Serramanna, paese del Campidano di Cagliari, dove nel periodo sabaudo si impiccarono in una sola volta 35 cittadini. Significa "far giustizia sommaria".

8 - A su nemicu parare, a sa giustissa fughire. Davanti al nemico opporsi, davanti alla giustizia fuggire. Un nemico come la giustizia dello stato non si può combattere lealmente, da uomo a uomo, ma con le sue stesse armi: il sotterfugio e l'inganno.

9 - Abba seberat lana. Il tempo è galantuomo e fa giustizia.

1O - In sa zustissia, finas chie binchet perdet. Nei processi giudiziari, anche chi vince perde. Perciò si dice: Zustissia, allargu dae mene!, Lontano da me, la giustizia!

11 - Dae sa zustissia non has a tenner mai pasu! - Non avrai mai pace dalla giustizia!

12 - Essida sa lege agattadu s'ingannu. Fatta la legge scoperto l'inganno. La legge è fatta per i fessi; i furbi trovano sempre il modo per eluderla.

13 - Iscuru a chie chircat meighina dae zustissia! Misero colui che cerca rimedio nella giustizia! Iscuru chie provat sa zustissia! Misero colui che cade nelle grinfie della giustizia! Iscura sa domo chi b'intrat zustissia! Misera la casa dove entra la giustizia!

14 - Non dies segretu a femina ne fide a zustissia. Non confidare segreto a una donna e non dar fede alla giustizia.

15 - Pustis de sa giustissia benit sa morte. Se incappi nella giustizia non ne esci più se non da morto.

16 - Sa chi si che mandigat tottu est sa zustissia! Ciò che si divora tutto è la giustizia! Tra carte bollate e avvocati chi si avventura in tribunale ne esce povero in canna.

17 - Sa zustissa ora pro ora est che i sa morte. La giustizia ti uccide lentamente. Sa zustissia est tantu fina chi dae domo ch'ocat braja e chisina! La giustizia è tanto sottile da distruggere e gli uomini e le cose. Sa zustissia a chie non bochit vituperat! E quando non ti uccide, ti infama, ti distrugge in tutti i sensi. Perciò: Sa zustissia fuela comente su dimoniu a s'abba santa, fuggila come il diavolo l'acqua santa. An chi ti sperdat sa giustizia! conclude l'invettiva in campidanese, coronando i detti in logudorese: Che la giustizia possa distruggerti!

18 - Zustissia b'happet ma in domo non colet! - Ci sia sì la giustizia, ma che non entri in casa! E più o meno esprimendo lo stesso concetto dispregiativo e ironico: Zustissia benzat ma a mimme non tocchet!, Giustizia venga ma non mi tocchi. E ancora: Giustissia ma no a domo! Giustizia, ma non in casa.

19 - Zustissia noba ferramenta acuta. Giustizia nuova più efferate torture. Anche: Zustissia noba iscuru chie la provat. Giustizia nuova misero chi la prova. L'esperienza parla chiaro: ogni volta che la giustizia dello stato si rinnova è per meglio opprimere e sfruttare il popolo.

2O - Pro su poburu non b'hat zustissia. Per il povero non c'è giustizia. Infatti, quella dello stato, è la giustizia dei padroni. Perciò: Mezzus zustissia de domo chi non zustissia anzena. Meglio la giustizia della propria comunità che la giustizia straniera.

21 - Pro che rugher in manos de sa zustissia mezzus mortu! Meglio morto che cadere nelle mani della giustizia!

22 - "Santu Yubanne est cras / Santu Yubanne de Deus / Zustissia dae Deus / bi falet a sa terra / chi no codiet nemancu / chisina in su fuchile / a chie 'nde hat curpa e causa!" San Giovanni è domani, San Giovanni di Dio / Giustizia da Dio / discenda sulla terra / che non lasci neppure / cenere nel focolare / a chi ne ha colpa e causa! (Grazia Deledda sostiene che questa terribile imprecazione in versi venne pronunciata in tribunale, davanti alla Corte di Nuoro, da una donna condannata a "trent'anni di ergastolo per un delitto misterioso".

23 - Avogadu ambisugu paret: sutzat su samben chene ossu toccare. L'avvocato è come la sanguisuga: succhia il sangue senza toccare l'osso. Un popolo che ha della giustizia dello stato l'opinione che abbiamo visto, non può non vedere con disprezzo la figura dell'avvocato, ingranaggio di una macchina nata per opprimere, reprimere, distruggere ogni atto, ogni volontà di riscatto del popolo. Quelli che seguono sono alcuni detti che suonano poco lusinghieri per le sanguisughe.

24 - Abogau e magasineri depint essiri improsadoris. Avvocati e bettolai devono essere adulatori. E anche bugiardi. Infatti: Avocadu faularzu avocadu binchidori. Vince le cause l'avvocato che dice più bugie.

25 - S'avogau difendet sas persones cando v'hat porcheddos e anzones! L'avvocato difende le persone che possiedono porchetti e agnelli, cioè chi possiede. In ogni caso, mettersi nelle mani di un avvocato, significa rovinarsi economicamente: S'avvocatu ispotzat sos vios su preiteru sos mortos. L'avvocato spoglia i vivi e il prete i morti. E anche: Sos avvogados lassan su perdidore nudu e su binchidore in camisa. Lasciano il perdente nudo e il vincitore in camicia.

26 - Mezzus manibale onestu chi abbocau tramposu. Meglio manovale onesto che avvocato imbroglione.

Esiste una legge comunitaria antichissima che, anche se non scritta è rigorosamente rispettata dalla gente. Fondamenti di questa legge sono il rifiuto del potere e della proprietà privata; la vendetta come forma naturale di giustizia, che si rifà alla legge del taglione, se si tratta di offesa grave; la fede nella parola data senza giuramenti: l'uomo non è un uomo se non parla, come direbbero gli indiani dei fumetti, "con lingua diritta e non biforcuta"; la libertà a ogni costo. I detti che seguono confermano questi fondamenti.

27 - Furat chi furat in domu (o secondo un'altra variante in bidda). Ruba chi ruba in casa (o in paese).

28 - Qui non trabagliat non mandigat. Chi non lavora non mangia.

29 - Chie cumandat fachet leze! Chi comanda fa legge!

3O - Sas paghes postas in sos runaghes non s'iscontzant mai. Le pacificazioni effettuate secondo la legge comunitaria non si rompono mai.

31 - Su cumannare non lu creas arte bona. Il comando, il potere non è cosa buona.

32 - Su malu partidore faghet sa zente ograna. L'ingiusta divisione fa la gente invidiosa. Su zustu a chie toccat! Il giusto a chi spetta, ossia a ciascuno il suo secondo giustizia.

33 - Su sambene innossente iscramat sette bortas sa die. Il sangue innocente grida (vendetta) sette volte ogni giorno. Samben cramat samben! Sangue chiede sangue! Chie de ferru ferit de ferru perit. Chi di spada ferisce di spada perisce. Marranu non battit pena! E' legittimo uccidere per grave oltraggio. E' meglio chiarito nel successivo detto: Si mi naras marranu ti bocco! Se mi dici marrano ti uccido!

34 - S'ispia est pius mala de su ladru. La spia è peggiore del ladro. A s'ispione non li mancat sa paga sua. La spia ha sempre quel che si merita.

35 - Sa minestra si pappad prus frida che callenti. La minestra si mangia sovente più fredda che calda. Cioè a dire che la vendetta arriva sempre, anche se lenta. Ribadiscono questo concetto i seguenti detti: Buccone frittu est pius saboriu. Boccone freddo è più saporito: ironicamente, la vendetta che giunge più lenta è più pesante. Chie dat gustu ispettat chena. Chi ha dato pranzo si aspetti cena. E infine, categorico: Sa paca benit semper! La paga, la vendetta, arriva sempre!

36 - Chi mandigat pilu cacat lana. Chi mangia pelo caca lana. Da ciò che fai si capisce chi sei.

37 - Briga de frades briga de canes. Lite tra fratelli lite da cani.

38 - A su zuramentone nessunu li dat fide. Allo spergiuro (o meglio: a chi giura di continuo) nessuno dà fede. Sa giura est pro coberrer sa fura. Il giuramento serve a coprire il furto. Ne zuramentu de ladrone ne lagrimas de bagassa. Giuramento di ladrone e lacrime di bagascia non hanno valore.

39 - Mezzus mortu che in galera. Meglio morto che in galera. Mezzus cantare a pei in campu chi non a pei in tzella. Meglio cantare in campagna che in cella, meglio bandito che recluso.

4O - Mezzus suare in pes chi fagher sa fine de sos rees. Meglio sudare ai piedi, faticare, che fare la fine dei re, essere fatto fuori.

2 - COME SONO VISTI GLI ALTRI

DICIUS / Proverbi


Sui paesi (come sono visti gli altri).

1 - Milis po arangiu e Crabas po pisci. Milis ricca di aranci e Cabras di pesci. Questo detto viene usato frequentemente anche al rovescio: Milis po pisci e Crabas po aranzu, facendo intendere che a Milis, ricca di aranceti, è più facile trovare pesci al mercato che arance; così a Cabras, ricca di pescosi stagni, si trovano in vendita più arance che pesci. Cabras e Milis sono due grossi paesi in provincia di Oristano, distanti tra loro circa venti chilometri.

2 - An chi ti scurighit a Sorgono - Che ti si faccia buio a Sorgono. Cioè il paese di Sorgono sarebbe così poco ospitale che l'arrivarvi di notte è considerato un malaugurio.

3 - Fai cumenti faint in Bosa: candu proit lassant proi. Fare come si fa a Bosa: quando piove lasciano che piova. La logica dei bosani è dunque lapalissiana.

4 - Bonu a Sestu, malu totu su restu. Buono Sestu, male tutto il resto. Detto coniato probabilmente dagli stessi abitanti di Sestu.

5 - Ci dda furriat a sa cabesusesa. Girarla alla cabesusesa, in modo violento. Su cabesusu (letteralmente: il Capo di Sopra) è il termine con cui i contadini dei Campidani chiamano le Barbagie, e cabesusesus sono i pastori che vi abitano.

6 - A Oristani cincu soddus cincu panis; a Casteddu unu soddu unu panixeddu. A Oristano cinque soldi cinque pani; a Cagliari un soldo un panino. Nella grande città il pane costa di più e se ne mangia di meno.

7 - A Seui passa e fui. A Seui passa e fuggi. Seui, altro paese giudicato poco ospitale.

8 - Saddoresu pappa fa. Sanlurese mangia fave. Sanluri, grosso paese agricolo in provincia di Cagliari, è produttore e consumatore di leguminose. Si raccontano storielle e aneddoti riguardanti il contadino sanlurese, scarpe grosse cervello fino. Sulla linea del Bertoldo di G. C. Croce, con la sua elementare astuzia contadina, riesce sempre a prevalere sul cittadino, che cerca di metterlo in difficoltà o di imbrogliarlo. A proposito del detto che vuole gli abitanti di Sanluri grandi mangiatori di fave, si racconta che un giorno uno di questi volesse, per una volta almeno, pranzare come sentiva dire che mangiava il re, facendosi preparare e servire dieci pietanze. Ovviamente, ciascuna pietanza consisteva in fave cucinate in modo diverso. Alla quinta portata - dice il racconto - il sanlurese si arrese esclamando: "Ite dimoniu de scraxiu hant a teni is gurreis, po arribai a si pappai finzas a dexi platus?" (Che diavolo di stomaco avranno mai i re, per riuscire a mangiarsi dieci piatti?)

9 - Arburesu macu. Arburese matto. Gli abitanti di Arbus, ma anche di altri paesi, sono giudicati un po' tocchi in virtù di pregiudizi. Si conosce anche il detto Scherzu de arburesu, equivalente a scherzo da frate, scherzo pesante.

1O - Sassaresu impicca babbus. Sassarese impicca babbi. Nel senso che gli abitanti di Sassari sarebbero poco rispettosi dell'autorità costituita. Molto probabilmente il detto deve avere avuto origine dalla adesione della città alle idee giacobine. Un detto da rivedere dopo Antonio Segni e Enrico Berlinguer (e Cossiga?), due notabili sassaresi, per niente impicca babbus.

11 - Fai a s'aritzesa. Fare all'aritzese, come quelli di Aritzo: ciascuno paga per sé, alla romana.

12 - Puntu sias che orgiu de Baronia. Che tu sia bacato come l'orzo della Baronia (una regione dell'isola dove si produce poco e cattivo orzo).

13 - Sa manu che sa de su milesu (portis), ca contàt s'arangiu cun is peis. Che tu abbia le mani come quelle del milese, che contava le arance con i piedi. Di fatto è unu frastimu, una invettiva, dove il paese di Milis entra per il fatto che ci sono le arance e uno che le vende in giro per il mondo, anche se tanto malandato da dover usare i piedi per contare i frutti.

14 - A su crabarissu ddi podis fueddai de sa mellus cosa: de Deus, de filosofia... T'hat a rispondi sempiri: mrinca tua a Issu! buffa! - Al cabrarese puoi parlare della miglior cosa: di Dio, di filosofia... Ti risponderà sempre: fallo fottere! bevi! - E' la definizione che di se stessi danno gli abitanti di Cabras, paese famoso in Sardegna per i suoi stagni un tempo ricchissimi di muggini, cefali e anguille e per le lotte antifeudali portate avanti dai suoi pescatori. La definizione vorrebbe accreditare un'immagine del cabrarese peone fatalista ed è stata certamente coniata dal padronato dello stesso paese.

3 - IL LECITO E L'ILLECITO

Sulla morale (ciò che dobbiamo fare o non dobbiamo fare).

1 - Cun santus e cun macus non toccat a brullai. Con santi e con matti non bisogna scherzare.

2 - Impara s'arti e ponìdda a una parti. Impara l'arte e mettila da parte.

3 - Sa scova si pigat de su furrungoni. La scopa la si va a prendere dall'angolo. Si dice di una fanciulla che deve essere modesta e umile e non mettersi in mostra se vuole trovare marito. L'accostamento della donna alla scopa - anche se questa ha l'importante funzione di mantenere pulita la casa - non è attualmente gradito dalle nuove generazioni sarde.

4 - Chi non scidi fai, non scidi cumandai. Chi non sa fare non sa comandare.

5 - Su chi non scidi est cumenti a su chi non bidi. Colui che non sa è come colui che non vede.

6 - Chi non arriscat non piscat. Chi non rischia non pesca. Ha lo stesso significato di Chi non risica non rosica.

7 - Chi prus scidi nudda scidi. Chi più sa nulla sa. E' detto per persona che fa sfoggio di erudizione.

8 - Chi dispreziat appreziat. Chi disprezza apprezza. Ha lo stesso significato di Chi disprezza compra. Si dice di ragazzo che critica una ragazza, che in cuor suo desidera e finirà con il prendersela. In moglie, naturalmente, ché nelle massime la gente di ogni paese è perbene.

9 - Chi prus burdellat prus tenit rexioni. Chi più baccaglia più ha ragione. Dappertutto.

1O - Chi a binti non scit e a trinta non tenit, poburu mannu morit. Colui che a venti (anni) non sa e a trenta non possiede, da grande muore in miseria. A meno che non vinca al totocalcio o non diventi ministro.

11 - Chi cantat in mesa, non tenit firmesa / chi cantat in lettu o est macu o est fettu. Chi canta a tavola, non ha serietà / chi canta a letto o è matto o è bacato. E' una filastrocca che si recita ai fanciulli perché stiano composti a tavola e dormano quando vanno a letto.

12 - Sa preiza est sa mamma de sa poburesa, su traballu est su babbu de sa ricchesa. L'ozio è la madre della povertà; il lavoro è il padre della ricchezza. Si noti che sa preiza è femminile e su traballu è maschile: la prima è di segno negativo e il secondo è di segno positivo. Ma si noti anche che in italiano sa preiza si dice l'ozio, che è maschile: tuttavia è la madre di ogni vizio.

13 - Balit prus su geniu de sa bellesa. Vale più la simpatia della bellezza.

14 - Riu mudu, tragadori. Ruscello tranquillo, impetuoso. Le acque chete sono infide. Dello stesso significato: Ispina sutt' 'e ludu. Spina nascosta sotto il fango, che ti coglie di sorpresa, chi ti tradisce. Anche: Tira sa perda e cuat sa manu. Tira il sasso e nasconde la mano.

15 - Truncu bogat astua. Dal tronco vengono fuori i ceppi. Se son rose fioriranno.

16 - Brulla brullendi si narant is beridadis. Scherza scherzando si dicono le verità.

17 - In domu de su frau schidonis de linna. In casa del fabbro spiedi di legno. Si dice con sorpresa a chi produce una data cosa e ne è sprovvisto. Il suo profondo significato è che il lavoratore produce per gli altri, non per sé.

18 - Est preghendi 'e si morri po si pasiai. Aspetta di morire per potersi riposare. Si dice di persona molto laboriosa.

19 - Curruxu 'e molenti, fueddu de bagassa non arziant a celu. Raglio d'asino e parola di bagascia non arrivano in cielo. Il senso è chiaro: Ciò che viene dal basso, dallo spregevole, non giunge, non può contaminare chi è in alto.

2O - Pezza chi non coit, lassadda coi. Carne che non cuoce, lasciala cuocere. Non star dietro le cose che non puoi fare; o anche: lascia che l'acqua scorra in discesa. Se detto per persona significa anche Lassaddu cantai, Lascialo cantare, lascia che cuoccia nel suo brodo.

21 - Cuaddu friau sa sedda ddi pitziat. Cavallo guidalescato, piagato dai finimenti, la sella gli brucia. Equivale a Chi è scottato teme il fuoco. Si dice come di un giusto timore, di cautela con cui bisogna accingersi a rifar qualcosa che ha avuto esito negativo e doloroso.

22 - Pilloni chi non biccat hat giai biccau. Uccello che non becca ha già beccato. Usato per persona che si siede a tavola e non mangia, pur essendo in salute.

23 - Saccu sbuidu non abarrat strentaxu. Sacco vuoto non resta in piedi. Si dice per convincere a mangiare chi è inappetente o anche chi non mangia per timidezza. Se poi l'ospite, preso l'abbrivio finisce con il mangiare, si esclama: Non di bollu non di bollu, ghettaminceddu a su cuguddu!, Non ne voglio non ne voglio, mettimelo nel cappuccio! (Il riferimento è ai frati questuanti, i quali non toccavano le offerte con mano ma le ricevevano nel cappuccio capiente del loro saio.)

24 - Fai che Fulanu, chi si pappat una pabassa in quattru mossius. Fare come Fulano, che si mangiava l'uva passa in quattro morsi. Si dice di persona oltre modo inappetente o anche manierosa.

25 - Dogna musca ddi parit unu boi. Ogni mosca gli sembra un bue. Fifone.

26 - Parit faendi brabaristas de santu. Sembra che stia facendo ciglia di santo. E' intento a compiere un lavoro molto delicato. Si dice ironicamente di chi compie un lavoro normale con eccessiva cura e pignoleria. Con simile significato si dice anche: Est pettinendi sa coa a su pisittu! Sta pettinando la coda al gatto!

27 - In tempus de figu, foras amigu. In tempo di fichi, non si conoscono amici. Detto per chi è egoista.

28 - Arrid de is carrus furriaus. Ride dei carri rovesciati. Ride delle disgrazie altrui.

29 - Faid: bistu su carru e setziu! Fa: visto il carro vi monta sopra. Equivale a: è una persona che se la sa cavare. E' un detto tratto da una storiella che ha per protagonisti un signore e un contadino. Il primo parla in termini lusinghieri del proprio figlio, che studia e trae dalla scuola un ottimo profitto, che viene valutato molto intelligente. Al che, il contadino per vantare il proprio figlio e dimostrarne l'intelligenza, esclama: "Eh, fillu miu, po intelligenza! Fait bistu su carru e setziu! " (Eh, anche mio figlio, per intelligenza! Fa, visto un carro ci si siede sopra!) - A piedi, quindi non ci va mai.

3O - De su traballu non si 'n di tenit contu ne in terra ne in celu. Il (valore del) lavoro non viene riconosciuto né in terra né in cielo.

31 - Is terras de su Paba. Le terre del Papa. Cioè sono terre di nessuno. Si usa rispondere così a qualcuno che fa osservare che si stanno raccogliendo frutti nelle terre del prossimo. Vi è nella ironia della battuta un chiaro rifiuto della proprietà privata.

32 - 'n di furat sa terra cun is peis! Ruba la terra con i piedi. Si dice scherzosamente a chi si imbratta di terra le scarpe e ha nomea di persona che gira per la campagna, e non lassat ne birdi ne siccau, non lascia né verde né secco, porta via tutto.

33 - Parit unu gattu pappendi prumoni. Sembra un gatto che mangi polmone, cioè che brontola su ciò che mangia.

34 - Coia e compera in bidda tua. Sposati e compra nel tuo paese. Un invito all'endogamia e alla autarchia.

35 - S'omini si misurat a oras, sa terra a pramus! L'uomo si misura a ore, la terra a palmi!
Ho chiesto allo stesso che me l'ha fatto conoscere, un pastore sui cinquant'anni, il significato di questo detto. Egli ha risposto: "Qualche volta non li sappiamo apprezzare. Ma se noi approfondiamo, secondo le risultanze, i proverbi derivano tutti da una precisa realtà. Per esempio si dice: S'omini est a oras e sa terra est a pramus (l'uomo è a ore e la terra è a palmi). Perché si dice così? L'uomo in certi momenti ragiona in un modo, in altri momenti in un altro. Allora vuol dire che s'omini est a oras...Sa terra est a pramus. Cosa vuol dire? Che ogni sito dà i suoi prodotti, ogni sito dà i suoi frutti, una può essere adatta alla vigna e una a pascolo..."
Nell'uso più frequente, il detto significa che l'uomo non si misura con il metro, come i terreni, ma per le sue qualità egli va valutato.

36 - Centu concas e centu berritas. Cento teste e cento berritas. Uno dei proverbi più diffusi in Sardegna. I ceti dominanti, uomini politici o di cultura, lo interpretano in un senso negativo: ogni sardo vuol fare di testa sua, perciò i sardi non sono uniti, sono anarcoidi. Costoro auspicano "centu concas con una sola berrita", tutte le teste dentro un solo berretto. Il loro berretto, naturalmente. Lo stesso detto è facilmente interpretabile in un senso positivo, e cioè è bene che ogni testa abbia una propria berrita, un modo proprio di pensare. Si può essere uniti anche se con diverse idee in testa.

4 - DICIUS / Proverbi in logudorese

Di vario genere, in logudorese.
Quelli che seguono sono alcuni dei tanti proverbi e detti sardi, di vario genere, in uso tra i sardi parlanti logudorese.

1 - A chie non buffat binu, Deus non li dat abba. A colui che non beve vino, Dio non gli dà acqua. Di uguale significato: Chie non bibet binu, Deus lu castigat a sidiu. Colui che non beve vino viene castigato da Dio con la sete.

2 - Binu malu e pane tostu duran meda. Vino cattivo e pane duro durano a lungo.

3 - Chie morit cottu morit santu. Chi muore cotto (nel senso di sbronzo) muore santo. Ne esiste una variante, più diffusa, che suona: A chini morit coddendi morit santu. Chi muore chiavando muore santo. Per chiudere con il tema sul vino, che ha numerosissimi detti, uno in lingua campidanese: Su binu a is cristianus e s'aqua a is floris! Il vino ai cristiani e l'acqua ai fiori! Che a sua volta viene spiegato dal detto: Su binu ponet sambene! Il vino produce sangue!

4 - A precare a cresia. A pregare in chiesa. Si dice spesso di persona che riceve qualcosa in offerta e rifiuta per complimento.

5 - Chentu biddas e chentu faeddos. Cento paesi e cento lingue. Fa il paio con l'usatissimo "Centu concas e centu berritas" che abbiamo già visto.

6 - Cando si faeddat si abbaidat sa zente in cara. Quando si parla si guarda la gente in faccia.

7 - Chie narat troppu pensat pagu. Chi dice troppo pensa poco. Si associa all'altro detto: Chie faeddat pagu no offendet a niunu. Chi parla poco non offende nessuno.

8 - Chie narat cantu ischit perdet cantu hat. Chi dice ciò che sa perde ciò che ha. E' diffusissimo in diverse varianti e sta a ribadire un'etica radicata nel sardo: farsi i fatti suoi, evitare "collaborazioni" con la giustizia, anche per evitare giuste rappresaglie. Per tutti valga questo detto, molto esplicito: Cussu chi bides e chi intendes siat che preda in fundu a poju. Ciò che vedi o che senti sia come sasso in fondo al lago. A chi ha la lingua facile si suggerisce, in tutte le varianti della lingua sarda: "Ponidinche sa limba in culu!" Mettiti la lingua in culo!

9 - Chie non dat non leat. Chi non dà non riceve. Dare e leare faghet amare. Dare e ricevere è la base dell'amare.

1O - Qui cheret sorte la devet quircare. Chi vuole successo se lo deve guadagnare.

11 - Qui non trabagliat in juventude pianghet in sa bezzesa. Chi non lavora in gioventù piange nella vecchiaia.

12 - Ischire limbazos est sabidoria. Conoscere (diverse) lingue è saggezza. Ricorda l'ungherese: Tante lingue tu parli, tanti uomini sei.

13 - Sa domo est pittica ma su coro est mannu! La casa è piccola ma il cuore è grande. Si dice anche di regalo che è piccolo...

14 - In cosa chi non connosches lea consizu. Su materia che non conosci chiedi consiglio, chiedi a chi ne sa più di te.

15 - A su bisonzu connosches sos amigos. Gli amici si conoscono nel bisogno.

16 - Sos amigos qui siant ne meda ne nudda. Gli amici siano non molti né alcuno - cioè siano pochi ma buoni. Vale anche per le amiche, naturalmente.

17 - Qui seminat ispinas non andet isculzu. Chi semina spine non vada scalzo. Ha lo stesso significato del "chi la fa l'aspetti", ma con la possibilità, per chi l'ha fatta, di evitare le conseguenze calzando scarpe.

18 - Unu contu faghet s'ainu, s'ateru s'ainarzu. Un conto si fa l'asino e un altro l'asinaio. Testimonia l'irriducibile conflitto tra il povero e il padrone, tra il popolo e il potere dello stato.

19 - Amore e odiu si decraran semper. L'amore e l'odio si manifestano sempre. Non si possono nascondere. Ma, Amore e odiu craman prantu. L'amore e l'odio chiamano pianto.

2O - Ne sapatu sentza sole ne femina sentza amore. Né sabato senza sole né femmina senza amore. Ricorda il detto greco: Dio non perdonerà l'uomo che ha lasciato sola nel suo letto una donna! S'amore est de tottus. L'amore è di tutti. Nonostante sia Mezzus corfu 'e balla chi dae amore! Meglio esser colpiti da una pallottola che dall'amore!

21 - Come in ogni altra parte del mondo, anche in Sardegna si chiava. Anzi, nei paesi sottosviluppati più che nei paesi sviluppati, dato che il tipo di civiltà attualmente proposto all'umanità tende a potenziare le capacità produttive a scapito di quelle riproduttive. Nei poli di sviluppo dove sono state impiantate le petrolchimiche - pare - la gente scopa di meno. Ecco alcuni saporosi proverbi sul tema caddigare, cavalcare, ovvero, coddai, chiavare, o con maggiore efficacia, accunnare, gettare coscia.
In mesa e in lettu fora rispettu. A tavola e a letto senza rispetto. Non si fanno complimenti.
Chie non coddat parente non coddat niente. Chi non si è mai chiavato un parente è come se non abbia mai scopato. Ovvero, Chie non coddat sorresta, no connoscit festa, cioè chi non ha chiavato la cugina, non sa cosa sia festa.
Mezus petire culu a savias chi non pane a macos. Meglio chiedere il culo alle savie che chiedere pane ai pazzi.
Sa femina (coddat) finzas a cantu campat, s'omine finzas a cantu podet. La femmina (chiava) fin quando campa, l'uomo fin quando può.
Pro caddigare non b'hat bisonzu de andare a Tattari. Per cavalcare non è necessario andare a Sassari, andare lontano.
Sa conca de sutta cumandat sa de supra. La testa di sotto comanda quella di sopra.
Tirat pius unu pilu de sutta chi non unu carru a boes! Tira più un pelo di sotto che un carro a buoi! Simile al detto veneto che suona: Un pelo di fica tira più di due buoi. E in lingua italiana, più raffinata: un capello di donna tira più di un giogo di buoi.

5 - DICIUS IN POESIA / Proverbi in versi


In una singolare composizione poetica della fine del secolo scorso, di ignoto dell'Oristanese, compare una elencazione di massime di uso comune nel mondo contadino. Con questi versi, il poeta moralista ha voluto tramandare la saggezza degli antichi padri. Egli interpreta un tutore che parla alla sua pupilla fattasi grande e pronta ad entrare nel mondo. I suggerimenti che vengono dati, per la verità, non sono rivoluzionari.

Mai non t'incantit riu sellenu,
mancai luxat prus de su cristallu;
e non t'innamoris de maridu allenu,
ca sa roba allena tenit fragu malu.
E de su traballu mai non t'appartis;
cun medas affarius troppu non strappazzis;
chi podis, non fezzas sa notti po dì.
E adattadì sempiri a su tempus;
is malus esemplus circa d'evitai.

Su divertimentu non siat continu.
Si passas in logu chi podis arrui,
su mellus chi fezzas, cambia camminu.
E a su bixinu portadiddu beni
ca non has a teni certu ne accusa;
non boghis iscusas de cosas fingidas;
cun is approntidadis non fezzas cumprottus:
fuedda cun totus e foras abitai.

In s' 'n casu cosis, provenidì agus;
si una 'n di scuas, un atera 'n di pigas;
non curras, non sigas dus lepiris paris;
e non ti decraris ca totu scis fai.
Biri e cagliai est bonu chi procuris;
e non ti mesturis cun vanagroriosa;
e po certas cosas lassa battallai.

Non stentis continu fendi aperi e serra;
si ballas, non ballis totu a unu pei
si nuncas ci ponis su tuveddu in terra.
Pensa e disterra sa teneridadi;
teni umilidadi, lassa sa perfidia;
non tengias invidia po beni perunu;
atturit ognunu cun su pagu suu;
e tui su tuu scididdu portai.

Scipias: chi beni non portat su suu,
ddi benit agou a disigiu s'allenu.
Prus de una borta istoria non repitas;
cosa non promittas po non dda donai.
Non ti vanagroris po chi t'estis beni;
non ti disperis po chi t'estis mali:
a istadu eguali non podeus istai.
Lassaddu passai su riu aundi passat;
lassa a chi ti lassat, a chi non t'hat circau;
e de su disdicau non ti coglionis.
Non bollas funis po t'accappiai.

Si a una domu ddu abitas oi,
po cali chi siat fattu chi deppis trattai,
si est chi ti ci narant a torraiddoi,
cumenti chi ti nerint a no ddui torrai.
Prangiu non aspettis de una domu allena.
Non fezzas iscena, ne tanti cumedia:
in tempus remedia su de remediai.
Si est chi t'attoppat calincunu, sciorosu,
amigu o gopai ti siat o nemigu,
faidì is origas che lepiri sposu,
però castiaddu che carroga in figu.
E a su perigulu sempiri t'opponis;
non abitis personas mali accostumadas.

Bivi retirada, timi is linguas malas,
evita is iscialas, bivi a banda sola.
Santus a marolla non pretendas fai;
non ti movas mai chi arroda in strettoxiu;
non boghis su maju prima de arribai.
Mai non ti fezzas contus ainantis;
e de cosas pedrias non fezzas istanzas.
Pensa a fai beni e non miris a chini;
e discurri a fini prima de oberai.
Prus de su chi sesi non circhis de ti fai.
Aundi non d'hat non circhis nienti;
cunforma a sa genti deppis cumprollai.

(Non fidarti mai del ruscello cheto,
anche se luccica più del cristallo;
non innamorarti dei mariti altrui,
che la roba altrui non ha buon odore.
Non alienarti mai dal lavoro;
ma non affaticarti dietro troppe cose;
e se puoi non fare della notte il dì.
Adattati sempre alle situazioni;
e cerca di evitare i cattivi esempi.

Il divertimento non sia troppo lungo.
Se passi in un luogo dove puoi cadere,
l'unico da fare è di cambiare strada.
Portati bene con il vicino di casa
e non avrai bisticci né pettegolezzi;
non scusarti con giustificazioni false;

e non creare dicerie con la tua improntitudine:
parla con tutti, non frequentare nessuno.

Se devi cucire, fornisciti di aghi:
se una ti si scruna, ne prendi un'altra;
non rincorrere due lepri per volta;
e non vantarti di saper fare tutto.
Vedere e tacere è buono da imparare;
non ti mischiare con gente superba;
e su certe cose lascia che dicano.

Non startene a fare l'apri e chiudi;
se balli, non ballare sempre su un piede
se non vuoi ritrovarti col sedere per terra.
Pensa e agisci con tenerezza;
sii umile e lascia la perfidia;
non avere invidia delle ricchezze altrui;
si accontenti ciascuno del poco che ha,
e ciò che è tuo sappilo amministrare.

Sappi: chi non sa amministrare il proprio,
finisce per desiderare l'altrui.
Non ripeterti più di una volta;
non promettere ciò che non puoi dare.
Non vantarti, se sarai ricca;
non disperarti, se sarai povera:
non possiamo essere tutti uguali.
Lascia che l'acqua del ruscello scorra per il suo verso;
rispetta chi ti rispetta, chi non ti offende;
e non burlarti del derelitto;
evita le situazioni che possono comprometterti.

Se attualmente frequenti una casa,
per qualunque motivo si tratti,
se dovessero dirti di tornare ancora
fa come se ti dicessero di non tornare più.
Non attendere pranzo, in casa altrui.
Non startene a far scena, a drammatizzare:
salva per tempo ciò che si può salvare.
Dovessi incontrarti con persona importante,
amico o compare o nemico che sia,
drizza le orecchie da lepre innamorato,
ma scrutalo come fa la cornacchia da sopra il fico.
Non ti avvicinare mai ai pericoli;
non frequentare gente scostumata.

Fai vita ritirata, stai alla larga dalle male lingue,
evita le baldorie, fai vita semplice.
Non voler fare santi per forza;
non uscire mai dal seminato;
non festeggiare maggio prima che arrivi.
Non disporre di ciò che non possiedi;
e di ciò che hai perduto non farne più conto.
Pensa a far del bene, senza badare a chi;
e rifletti a lungo prima di agire.
Non voler apparire più di quel che sei.
Non cercar nulla dove non ce n'è;
segui sempre la tradizione.

6 - FRASTIMUS / Invettive


Le invettive più frequentemente usate sono quelle che hanno per tema la giustizia (esempio classico: An chi ti currat sa giustizia!), e sono numerosissime e ne abbiamo fatto una scelta in un precedente paragrafo.
Queste che seguono sono alcune invettive (frastimus) che ricorrono ugualmente spesso nella parlata popolare.

1 - Iscuru ti biant! Che possano vederti meschino! E anche: Scedau ti nerint! - Poveretto ti dicano!

2 - Sa schina trunchis! Che ti si tronchi la schiena! E anche: Su zugu trunchis! Che ti si tronchi il collo! E' più efficace, se si sostituisce a su zugu (al collo) sa moba de su zugu, (la colonna cervicale).

3 - Su corpu de chi ti 'n d'hat zappulau! Il corpo di chi ti ha buttato fuori! Più volgarmente si dice: Su cunnu chi t'hat fattu! o anche Su cunnu chi ti 'n d'hat zappulau! La fica che t'ha fatto! - La fica di chi t'ha buttato fuori! E' infine usatissimo, anche tra bambini, Torranci in su cunnu! Tornatene nella fica! o più semplicemente Su cunn' 'e mamma tua! La fica di tua mamma!

4 - Su tiaulu chi t'hat fattu! (o ingenerau!) - Il diavolo che ti ha fatto (o generato!). Se chi lancia l'invettiva è persona devota; un laico, al contrario, dirà: Su santu chi t'hat fattu! - sostituendo santo a diavolo.

5 - Corpu de balla t'infrexat! - Colpo di palla ti ferisca! Palla di fucile, s'intende. E' usato anche, più frequentemente, abbreviata in Corp' 'e balla! Talvolta è usato con valore di complimento, parlando di persona che ci sa fare.

6 - Is manus cancaradas! Le mani rattrappite! - Si dice in gergo familiare ai piccoli che si fanno scivolar di mano un qualunque oggetto, danneggiandolo. Si usa anche Cancarau siast! Rattrappito sii! Si dice anche, ma non come invettiva, bensì come esclamazione laudativa, di persona capace: Ge non est cancarau! Non è mica rattrappito!

7 - Is ogus pendi pendi... Letteralmente: gli occhi penzoloni... Si dice a persona che non guarda con attenzione a ciò che fa.

8 - Non portat is ogus cosius a giuncu! - Non ha gli occhi cuciti con il giunco! Si dice specialmente per medici o sacerdoti i quali per la professione che esercitano dovrebbero essere senza malizia, quando visitano o confessano una donna. Si vuol dire che anch'essi guardano e concupiscono.

9 - Pira cotta, pira crua, dognunu a domu sua! Pera matura, pera acerba, ognuno a casa sua! E' una breve filastrocca che invita persona indesiderata a chiudere un certo discorso o ad andarsene.

1O - Has appiccau mali is crais! Hai appeso male le chiavi! Cioè: Mi trovi proprio giusto! Hai sbagliato il momento o anche la persona.

11 - Mai prus bia, scova de forru! Che non possa vederti mai più, come scopa da forno! La scopa da forno è d'erba e si consuma in pochi attimi al calore. Questa invettiva fa il paio con S'andada de su fumu! Che tu faccia la fine del fumo!

12 - Becciu fiat Battista Nuxi chi bogat farra de genugus. - Vecchio era Battista Nuxi il quale aveva le ginocchia tarlate (veniva farina dalle sue ginocchia)! E' di norma la risposta piccata di persona che non accetta di essere giudicata vecchia.

13 - Cantu ses mannu ses tontu! Sei tanto grande quanto tonto! Detto per persona già adulta ma di poco sale.

14 - Sezzi innoi ca bis a Pirri! Testuale: Siedi qui che vedi Pirri (o nome di altro paese, di appartenenza di chi pronuncia la frase, che è sempre accompagnata dal pugno chiuso con il medio alto: un gesto chiaramente sconcio.) Con lo stesso significato, ma più osceni e anche più usati sono i detti: Mrinca de molenti! Cazzo d'asino! che dovrebbe dirsi come rifiuto di una richiesta inopportuna, viene anche usato come esclamazione di meraviglia, anche dicendo semplicemente "Mrinca!" Frequente, in alcuni paesi dell'Oristanese, come a Cabras, anche nel parlare delle donne, è l'esclamazione "Corru in cu a tia!" (Corno in culo a te!)

15 - Corru de crabu! Corno di capro! Si dice a persona che abbia scoreggiato. Oppure gli si recita la filastrocca: Saludi, trigu e tappus de ortigu! Salute, grano e tappi di sughero! Se chi scoreggia è un bambino o una fanciulla, l'augurio di prammatica viene addolcito con Corru de memei! Corno di agnello; o anche con Corru de pisittu!, Corno di gatto!

16 - Fais una vida che porcu a pei segau - Fai una vita come quella di un maiale zoppo (che viene trattato con tutti i riguardi, perché ingrassi comunque). Con lo stesso significato Fais un'arti che su molenti chi molit! Fai un lavoro quale quello dell'asino alla mola!, cioè poco impegnativo e di poca responsabilità.

17 - Squartarau siast! - Che ti possano squartare! In memoria di tempi storici recenti, quando era praticata pubblicamente la tortura dello smembramento.

18 - S'arrisu de s'arenada de Cabras: arrutta a terra e squartarada! La risata ti sia come la fine della melagrana di Cabras: che cadendo si fa a pezzi! - Sono celebrate nell'isola le melagrane di Cabras, come ho annotato in altra parte di questo libro, che hanno la caratteristica di aprirsi oltre modo, in autunno dopo le prime piogge.

Seguono per il Nuorese alcuni frastimos e irroccos (bestemmie e imprecazioni) raccolti da Grazia Deledda per la rivista delle Tradizioni Popolari diretta da Angelo De Gubernatis (Roma 1894). Sono stati trascritti quelli ancora oggi in uso.

1 - Zustissia ti brussiet - Zustissia t'incantet - Zustissia bi colet e non lasset mancu chisina. La giustizia ti bruci - La giustizia ti incanti (cioè ti inebetisca) - Giustizia passi e non lasci neppure cenere.

2 - Bae a galera! Vai in galera! - Pacami Deu! Pagami Dio! Più che imprecazione questa è una invocazione sacrilega. Si chiede l'aiuto di Dio nella vendetta contro qualcuno che si ha offeso. Si usa anche in segno di ringraziamento allorché si apprende qualche disgrazia accaduta al nemico, all'offensore.

3 - Bae a sa furca, a su corru de furca! - Va alla forca, al corno della forca. Impiccau sias! - Impiccato sii!

4 - Ancu tinche ghiren in battor! Che ti riportino in quattro!

5 - Corfu 'e balla a s'ischina! Colpo di palla alla schiena! Corfu 'e balla chi ti trunchet sa bena 'e su coro! - Colpo di palla che ti tronchi la vena del cuore!

6 - Bae, e chi ti sian sos passos contaos! - Va, e che ti siano i passi contati. (Cioè che muoia presto, in modo che i passi che farai d'ora in avanti siano in numero da potersi contare.)

7 - Ancu ti pachen sa morte. Che ti paghino la morte. (Che tu muoia così miserabile da venir sotterrato a spese altrui).

8 - Ancu ti facan a sale! Che ti facciano a sale (che ti pestino).

9 - Bae e chi andes che su pilu 'e su puzone! Va e che tu vada come le piume dell'uccello. (Che sii disperso).

10 - Sa fune, su boja, e tottu sa cavalleria! La corda, il boia e tutta la cavalleria. (Cioè: la corda per impiccarti, il boia per tirar la corda e la cavalleria di guardia intorno alla forca.)

11 - T'ufriches e crepes! (comunissima nella variante campidanese Unfrau e crepau siast! - n.d.r.) Che ti gonfi e ti crepi.

12 - Sa balla, su focu e s'ispidu ruju! La palla, il fuoco e lo spiedo arroventato!

13 - Oliau sias! Estremunziato sii!

14 - Ancu ti chirchen e non t'accatten! - Che ti cerchino e non ti trovino!

15 - Chi ti pichet unu cussu, che cussu 'e ziu Predu Bardoula chi at trapassau sette taulaos. Che ti prenda una dissenteria come quella di zio Pietro Trottola che ha trapassato sette tavolati.

16 - Sa zustissia nighedda ti cabaddichet! - La giustizia nera ti cavalchi. (Che sii oppresso dalla giustizia).

17 - Ancu ti carrarjen! Che ti coprano di pietre e di frasche! (Che ti assassinino e nascondano il tuo cadavere).

18 - Ancu ti chirche iffathu 'e sas tuveddas e ti bochen a bia sos canes! Che ti cerchino per le macchie e ti scovino i cani! (Che sii assassinato fra le macchie).

19 - Ancu ti ponzan a sa miria che sordau renitente. Che ti pongano al bersaglio come soldato renitente. (Che tu sii fucilato).

7 - FRASTIMUS IN POESIA / Invettive in versi

Nella poetica popolare, non ultime come numero, vengono le "suppliche" ai potenti, composizioni espresse al fine di ottenere giustizia per malefatte subite da potenti "minori". Fra le tante ho scelto il brano di una, esente da cortigianeria e particolarmente viva.
Il "supplicante" inizia rivolgendosi al Re, ma se la sbriga senza aggettivi aulici contrariamente ad altri, per venire al fatto che gli sta a cuore:

Illustri Vittoriu, nostru regnanti:
pregu a sa Sardigna de dda consolai,
de bidda 'n ci 'oghit unu certu birbanti,
cuddu chi su Cumunu megat de si pappai;
is' si mostrat furbu, coru de giganti,
a su poburu trattat de dd'assassinai,
de dd'assassinai a su disgraziau.
Supprica fazzu a sa Corti Riali...
ma da poberesa pongu un abogau.

(Illustre Vittorio, nostro regnante:
la prego di aiutare la Sardegna,
scacciando dal paese un certo birbante,
colui che si sta mangiando il Comune;
egli si mostra furbo, cuore impietoso,
sta assassinando il povero,
sta assassinando il disgraziato.
Faccio supplica alla Corte Reale...
ma chiedo anche un avvocato d'ufficio.)

Più avanti il "supplicante" descrive con amarezza e risentimento il pignoramento per non aver potuto pagare il "focatico" (famigerata imposta di famiglia e sulla casa). Egli si dichiara invalido, in quanto cieco; ciò nonostante gli vengono sequestrati i pochi stracci che possiede. E a conclusione delle sue più che giustificate proteste, il vate cieco, povero e pignorato, lancia come fulmini i suoi frastimus, le sue invettive, i suoi malauguri.

Su dinai miu ti serbat po unghentu:
gravis maladias e foras a 'n di curai!
E ti fazzu meri de unu stabilimentu:
a Santu Bartumeu, sali po tirai!
E ti lassu stradas po divertimentu:
chi camminis sempiri e non arribis mai!
Scuru ti neint in su camminu 'e passai:
chi non biast luxi in s'ora 'e mesudì!

(I miei soldi ti servano per medicamento:
per gravi malattie e che siano incurabili!
Ti faccio dono di una industria:
a San Bartolomeo, condannato a estrarre sale!
Ti lascio strade perché vada a divertirti:
tu possa camminare sempre e non arrivare mai!
Ovunque tu passi, la gente ti dica: poveraccio:
che tu possa non veder luce neppure a mezzogiorno!)

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