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Indice articoli


Capitolo secondo

MESI DE LADAMINI - OTTOBRE

Mes'e ladamini, è ottobre, il mese del letame, delle concimazioni. L' attività primaria consiste nella eliminazione del vecchio letamaio e la ricostituzione del nuovo.
Normalmente il letamaio è situato nel cortile di casa, sotto sa biga de sa linna, la catasta della legna da ardere su palafitta. Il letamaio si forma con gli escrementi e le lettiere di paglia degli animali da lavoro, buoi o cavallo o asino, situati nella vicina tettoia-stalla, con gli escrementi degli animali da cortile, prevalentemente galline e conigli, e del maiale da ingrasso; più i rifiuti della cucina, la cenere del camino, vinacce, fogliame delle frasche della legnaia sovrastante.
Il letame dell'anno viene caricato sul carro a buoi fornito de cerda de ladamini, di veggia da letame, intelaiatura di vimini aggiuntiva al carro per aumentarne la capienza, e quindi sparso nei campi da grano e negli orti.
Si ricostituisce anche il patrimonio energetico: la legnaia viene rifornita de cozzina de monti, ceppaie di moddizi, murdegu, arrideli, olidoni (lentischio, cisto, filidea, corbezzolo), di fascine di arbusti vari, de astulas de olia e de mendula, copponi o ceppi appezzati d'olivo e di mandorlo.
Cumenzant is primas araduras, le prime arature che precedono la semina del grano e delle leguminose, che nello stesso terreno si alternano annualmente. S'orbada, il coltro, mette in luce le preziose mungettas tappadas, le chiocciole pomatiche, un boccone da re.
Et arribat su cabesusesu, arriva il barbaricino a cavallo, con le bisacce colme dei frutti della sua montagna: castagne, noci e nocciole, carico de is ainas de nuxi e de castangia, utensili di legno di noce e di castagno: pajas, furconis de forru, turras e talleris, pale, forconi da forno, mestoli e taglieri. Corrono i fanciulli al richiamo dell'uomo della montagna e si affacciano sulla via spalancando il portale per farlo entrare con il suo cavallo. Siamo alla fine di ottobre: i prodotti della montagna vengono barattati con quelli della pianura, è l'incontro commerciale del pastore con il contadino, l'incontro di due mondi, di due culture diverse che in Sardegna convivono da sempre.

SU MUNTONARGIU DE SU MEDITERRANEU
Il letamaio del Mediterraneo

"Sardigna. s.f. nome dato una volta al luogo suburbano in cui venivano portate le carogne e i residui della macellazione. Oggi reparto del macello in cui vengono distrutte o trasformate le carni infette e, quindi, non commestibili. Etimologia: Forse da Sardegna, con allusione all'aria dell'isola, una volta insalubre a causa della malaria."
(Da un dizionario della lingua italiana.)

Di recente gli Ebrei italiani hanno scatenato un putiferio contro il razzismo antisemitico dei dizionari, che alla voce ebreo riportano i significati nell'uso popolare di avaro, taccagno, usuraio. E hanno ragione. Perché non è lecito accomunare quell'unico ebreo, che pure deve esistere, prodigo, scialacquatore, generoso, a una maggioranza che storicamente si è acquistata tali attributi - eticamente riprovevoli ma niente affatto disonorevoli nella pratica capitalistica, ossia nell'attuale sistema.
Senz'' e dinai non si podit mancu chistionai, chi non ha denaro non può neppure aprir bocca. Pertanto i Sardi, ben lontani dal possedere i mezzi del giudaismo internazionale, ma anche, privi del potere, senza la vocazione di sterminare altri popoli, non hanno parole per opporsi all'uso razzistico e becero che vien fatto del termine Sardigna (Sardigna, in Campidanese e Sardinna in Logudorese). D'altro canto, i Sardi dovrebbero prima trovare l'unità e la forza per opporsi all'uso pratico di cacatoio che della loro terra viene fatto dai colonizzatori: area di servizi militari, petrolchimici, repressivi, di rapina e di ogni più criminale sperimentazione: su muntonargiu de su Mediterraneu. Appunto.


SA DOMU
LA CASA

In Sardegna si distinguono quattro tipi principali di abitazione contadina, e una tipica della montagna nell'area pastorale.
1) Casa con cortile anteriore chiuso, con o senza loggiato, dotata di ricoveri per gli animali e gli attrezzi da lavoro. E' la casa tipica del Meridione, cioè del Campidano di Cagliari, della Trexenta e della Marmilla.
2) Casa con cortile posteriore chiuso, talvolta con rudimentale loggiato posteriore o pergolato, con ricovero per gli animali (che per raggiungerlo passano attraverso la casa) ma non per gli attrezzi agricoli (carro, aratro o altro) che sostano per strada davanti alla casa. Tale abitazione è comune nell'area Centro-occidentale, nel Campidano di Oristano.
3) Casa elementare in largo, senza cortile, con o senza piccolo orticello posteriore. Non possiede quindi ripari né per gli animali né per gli attrezzi da lavoro, che sostano per strada. E' tipica del Logudoro e della Gallura, da Macomer a Sassari, a Tempio, fino a Olbia. Si ritrova anche lungo le coste dell'Iglesiente e nell'Alto Oristanese.
4) Casa elementare in lungo, senza cortile, con o senza piccolo orticello posteriore. Come la precedente manca di ricoveri sia per gli animali che per gli attrezzi. E' tipica dell'Alto Oristanese, nella zona che ha per centro Milis.
5) Casa di montagna, che si sviluppa in altezza per diversi piani, tipica del mondo pastorale, diffusa nelle Barbagie.
Quest'ultimo tipo di abitazione è sempre costruito con muri di pietra, per lo più grezza e a secco; i primi quattro tipi sono costruiti per la maggior parte con muri di mattoni crudi, talvolta senza intonaco esterno.

SA DOMU DE SU MESSAJU
LA CASA DEL CONTADINO

Sa domu comuna de su messaju campidanesu, la casa tipo del contadino campidanese, consta di quattro parti essenziali: sul davanti, sa cortilla, il cortile; da un lato, sul muro di confine del cortile, is istaulis o domu de serviziu, una serie di tettoie per diversi usi; sa domus de bivi, la casa di abitazione; e sul retro della casa, s'ortu, l'orticello.
Sa cortilla, il cortile. Vi si accede dalla strada, attraverso su portali, il portale, in legno (o anche, al suo posto sa gecca, robusto cancello in legno) abbastanza alto e largo da consentire il passaggio dei carri da lavoro. Nello stesso portale, nell'anta destra, è ricavata una porticina per il passaggio pedonale. Sa cortilla è acciottolata e nel mezzo vi si trova su putzu o funtana, il pozzo. Non di rado vi è piantato un fico o un gelso.
Is istaulis o domus de serviziu, le tettoie-dependances. La prima entrando è sa domus de sa linna, letteralmente la casa della legna, la legnaia; quindi sa domu de is carradas o de su binu, la casa delle botti o del vino, la cantinetta; segue sa domu de su giù, la casa del giogo, la stalla dei buoi; attigua alla precedente è sa domu de sa palla, la casa della paglia, il pagliaio; infine sa domu de su forru, la casa del forno, che si congiunge alla casa di abitazione, mediante la cucina.
Sa domu de bivi, la casa di abitazione, è situata sul fondo del cortile, occupandone tutta la larghezza. La facciata è protetta da sa lolla, il loggiato per lo più ad archi - che a sua volta può essere ombreggiato da su barrali o stauli de axina, il pergolato. La casa è su un piano, sovrastato da su stauli o sobariu (dal latino solarium), una mansarda che si affaccia sul tetto di sa lolla, il loggiato. Al solaio si accede mediante una scala di legno situata spesso nello stesso loggiato. Sa domu, la casa, è molto semplice. Nella parte destra del loggiato, quasi una continuazione dello stesso, trovasi la cucina, che comunica con sa domu de su forru, la stanza del forno, che abbiamo già visto.
Al centro un andito, più o meno lungo secondo il numero delle camere, da due a quattro, situate simmetricamente una (o due) a destra e una (o due) a sinistra. A destra la camera (o le camere) da letto; a sinistra s'apposentu bonu o cambara bella, la stanza dove si ricevono gli ospiti di riguardo.
In su stauli o sobariu, mansarda o solaio, le cui finestrelle sono sempre aperte nelle belle giornate per consentire una aerazione costante dell'ambiente, vengono conservate le provviste di alimentari per tutto l'anno: il grano e i legumi, le parti del maiale insaccate o salate, is appicconis, i penzoli, di uva, di mele, di sorbe, di pomodori, di cotogne e altro, e i meloni - specialmente una varietà detta meloni de jerru che si conserva a lungo.
S'ortu, l'orticello, un fazzoletto di terra dietro la casa, dove le donne coltivano le erbe aromatiche e qualche verdura: basilico, cipolla, prezzemolo, aglio, salvia, rosmarino, indivia, lattuga, ravanelli, e dove il contadino prepara anche su pranteri, il semenzaio, le cui piantine a tempo debito verranno trapiantate nella campagna.
Il materiale usato per la muratura era su ladiri o lardini, il mattone di fango crudo lasciato seccare al sole. Nell'impasto, alla terra argillosa si usava aggiungere il grosso della paglia di grano, altrove ciottoli, altrove nulla. Il soffitto della casa, su cui stava su sobariu, il solaio, era un tavolato poggiato su robuste travi di castagno o di ginepro.
Sa cobertura, il tetto, che ricopriva il loggiato e il solaio, era costituito da travi di legno comune, con la debita inclinazione, su cui poggiava un robusto traliccio di canne, e sopra questo le tegole cementate con malta di calce. Il pavimento era per lo più in terra battuta: si usava una sorta di argilla cui si aggiungeva paglia o sterco bovino. Ugualmente di malta di fango era l'intonaco dei muri, sia quello interno che esterno, che venivano tinteggiati per lo più di bianco, con il latte di calce.

SA DOMU CRABARISSA
LA CASA CABRARESE

Questa la descrizione della casa tipo a Cabras, nell'Oristanese, tratta dal romanzo "La bella di Cabras", di Enrico Costa, scritto nel 1887. Tale tipo di casa, come l'altra della Sardegna meridionale precedentemente descritta, è rimasto invariato fino al secondo dopoguerra, e soltanto in questi ultimi venti anni ha subito profonde modificazioni, sia nella struttura, sia nei materiali da costruzione.

"La casetta di Rosa, a pian terreno, come la maggior parte delle case, aveva tre camere di facciata: - quella di mezzo, più grande di tutte, prendeva luce dalla porta di ingresso e da una piccola finestra: un'altra finestra avevano le due camere laterali. Le quattro aperture davano tutte sulla strada.
La camera di primo ingresso è chiamata la sala, e gli arredi che la compongono consistono in un indispensabile telaio, in tre tavoli e in due armadi scavati nel muro, ai due lati dell'altra porta (di fronte a quella di entrata) che conduce alla così detta cucina. - La quale ha pur essa una terza porta (sempre a riscontro di quella di entrata) per cui si va nel cortile.
Le pareti della sala sono adorne di crobis e canistreddas (cesti, canestri e stracci di giunco) ricchi di fiocchetti di lana di ogni colore, disposti simmetricamente in giro, come fossero altrettanti quadri in cromolitografia. La tavola grande, destinata unicamente per impastare la farina e per fare il pane, è coperta da una tovaglia tessuta in casa; le altre due tavole, dette meseddas, servono per diversi usi e sono anch'esse coperte da piccole tovaglie. Nei due armadi a vista del pubblico, vengono esposti piatti, zuppiere, caraffe, chicchere e bicchieri, ancor essi fregiati di qualche fiocco di seta o di lana, e messi lì più per decorazione che per l'uso cui furono destinati. Vicino alla piccola finestra, nell'angolo in modo che dalla strada possa vedersi, è il telaio, il mobile prediletto e più caro della casa, dinanzi al quale siede sempre qualche donna della famiglia. Si sa d'altronde che Cabras vantò in ogni tempo molte tessitrici e l'Angius col Valéry, nel 1836, contarono nel paese non meno di 86O telai. (In tale anno Cabras contava non più di 3.5OO abitanti - ndr)
La sala ha due porte laterali che conducono, come abbiamo detto, a due altre camere. Quella a destra è la così detta camera da letto, in cui scorgesi un ampio letto matrimoniale, alcuni tavolini, e un cassettone massiccio che serve a riporvi il pane che deve bastare per l'intera settimana. L'altra, a sinistra, è detta la camera bella, in cui è un letto elegantemente montato, con coperta tessuta in casa, alla cui si dà il nome di fanuga; più un tavolino, un divano in legno con coperta e cuscini, e altre tavole su cui posa qualche santo di gesso, qualche vaso dorato ed altri diversi gingilli. Sulla parete di fronte a la finestra, da un capo all'altro, è un largo cornicione fabbricato apposta, il quale non serve che a collocarvi scodelle, calici, bicchieri, aranci, limoni e cento altri ninnoli, compresa qualche caraffa col solito nastro al collo, come i cagnolini delle signore. E' questa la camera delle solenni cerimonie; quel letto-comparsa non viene occupato che dalla sola puerpera in occasione della nascita di un primo figlio, e unicamente per ricevervi le visite e i complimenti. Qualche volta è offerto agli ospiti, ma non con troppa facilità, specialmente quando in casa vi sono zitelle.
Dalla sala si entra in cucina, dove ci colpiscono due cose: sa forredda, scavo fatto in terra per accendervi il fuoco, e l'asinello paziente, che gira intorno alla macina, incaricato di provvedere la farina, perché ogni sabato si possa fare il pane. Qua e là, sul pavimento, sono distese tre o quattro stuoie della fabbrica di S. Giusta, sulle quali d'ordinario i membri della famiglia siedono, o per filare, o per riscaldarsi al fuoco, o per mangiare.
Qualche volta il solo capo di famiglia, il padrone pranza alla piccola tavola (sa mesedda) e gli altri stanno sulle stuoie.
Dalla cucina si passa direttamente nel cortile, in fondo al quale erano due tettoie, una piccola e l'altra grande. La prima era destinata all'asinello macinatore; sotto la seconda ruminava un gioco dei buoi. Il carro a buoi, primo cespite di entrata del povero contadino, aveva per consueta rimessa la strada. Quell'ordigno primitivo, dal lungo timone e dalle ruote d'un pezzo, era esposto sempre là, a ridosso della facciata della casa, proprio sotto alla finestra della camera bella; e di frequente, nei giorni di festa, i monelli se ne servivano per giocare all'altalena."

Nota. - Nel terzo capoverso, il Costa parla di "cesti, canestri e stracci di giunco". Non mi risulta che con il giunco potessero ottenersi stracci, è probabile il riferimento ai pezzi di stoffa colorata che qua e là sembrano rattoppare i cesti e i canestri di giunco e di asfodelo. E' anche probabile che più banalmente si tratti di errore di stampa e che stracci vada letto setacci.

SA DOMU ANTIGA DE QUARTU
LA CASA ANTICA DI QUARTU

“Le abitazioni hanno quasi tutte un loggiato interno esposto a mezzogiorno, il quale serve di corridoio per accesso alle diverse stanze, tutte pulite ed arredate con molto ordine e buon gusto.
Quasi ad ogni casa è annesso un cortile, ridotto spesso a giardino con aiuole di fiori e con alberi di agrumi, ma che quasi sempre non apparisce all'occhio curioso dei passanti. Ben sovente i muri esterni, tutti screpolati e di miserabile aspetto, celano un alloggio dalle camere tappezzate e dai giardini deliziosi. Ciò potrebbe significare che i quartesi sono di buon senso; non tengono al culto esterno né all'apparenza vanitosa. All'orpello dell'insegno e alla lode altrui preferiscono la comodità propria e quella della famiglia.
La parte dell'abitazione destinata al maneggio interno della famiglia è tenuta con ordine ammirabile, con cura gelosa, e direi quasi con civetteria. Bisogna dirlo ad onore dei campidanesi: essi nutrono un vero culto per l'ordine e per la pulizia.
In una stanza appartata, le cui pareti sono intieramente ricoperte di setacci, di crivelli, e sovratutto di un numero infinito di canestri d'ogni forma e dimensione (tempestati di fiocchetti e disposti con ordine simmetrico) si eseguisce il crivellamento della farina e la confezione del pane, il quale è di una bianchezza eccezionale.
In altra camera apposita vedesi il grigio e minuscolo asinello (molenti), il quale gira rassegnato intorno alla macina, tutto orecchie e tutto pazienza, indifferente alle percosse, docile ad ogni voce di comando, e bendato come un Amore per non vedere le miserie umane. Il passo cadenzato di quella bestia, il brontolio monotono e incessante di quella macina mettono una nota gaia nella tranquilla operosità del nido domestico, dove si ama, si lavora e si vive senza sussulti, senza spasimi, senza passioni violente.
La sala rustica - quella cioè riservata ai lavoratori della terra che stanno tutto il giorno in campagna - è d'ordinario separata dalle altre, e raccoglie l'arsenale degli strumenti agricoli, il deposito dei foraggi, e, sotto a stalle aperte, anche il bestiame da lavoro. Ogni bestia ha il suo posto riservato con giaciglio e mangiatoia, ed ivi passa la notte, poiché vien tratta in campagna prima di sorgere il sole e rientra in paese poco dopo il tramonto.
Nelle principali case non manca mai la cantina per il deposito dei vini, né il ripostiglio per cereali. Quest'ultimo, d'ordinario, trovasi nel solaju, cioè a dire in alto, nello spazio compreso fra l'armatura del tetto ed il tavolino che serve di soffitto ai diversi ambienti della casa bassa.
Dal complesso di queste abitazioni caratteristiche spira una serenità patriarcale. Ti pare di essere in una delle case dell'antica Grecia, o meglio ancora in Palestina ai tempi biblici, dinanzi a Rebecca che torna con l'anfora dal pozzo, o al cospetto di Giacobbe che pensa di vendere le sue lenticchie al fratello Esaù.”
(Tratto da Enrico Costa - Album di costumi sardi - 1898).

SA DOMU DE SA FARRA
LA CASA DELLA FARINA

La città di Quartu possiede un museo che raccoglie testimonianze della cultura contadina campidanese, che è unico in Sardegna, e certamente uno dei pochi in Italia. Mi riferisco a Sa Domu de Sa Farra, la casa museo di proprietà di Gianni Musiu, situata nella via Eligio Porcu al numero 143.
Gianni Musiu è un uomo di quelli che gli studiosi accademici del folclore coloniale, definirebbero uomo senza cultura, perché non ha titoli di studio scolastici.
In effetti Gianni Musiu è un uomo di grande cultura, che conosce alla perfezione la realtà del mondo contadino - quello che fu e quello che ne è rimasto. Egli con l'amore che soltanto viene dalla conoscenza, ha dedicato tutta la sua vita a raccogliere in una vecchia abitazione, che conserva intatte le caratteristiche architettoniche campidanesi, migliaia di pezzi, (circa settemila), utensili da lavoro e oggetti d'uso familiare.
Sa domu de Sa Farra, testualmente "la casa della farina", (nome che vien dato al locale adibito alla lavorazione della farina per la preparazione del pane familiare) consta di ben trentacinque locali. In ciascuno di questi sono conservati numerosi reperti (talvolta utensili di antichissima data, ormai scomparsi, come l'aratro ligneo costruito con un solo ceppo di legno): utensili di cucina in rame e in terracotta; arredi, biancheria, sopraccoperta, coperte, tovagliati, tappeti; mobilia di antica fattura, quali tavoli da pane, armadi, cassapanche intagliate, letti in ferro battuto; e così via.

SA NOTTI DE IS PETTIAZZUS
LA NOTTE DEI LUMACONI

Le ultime settimane di ottobre avevano trascinato stracci di nuvole color cenere, e novembre le aveva ammucchiate a occidente. I tramonti erano afosi e cupi. Le stoppie brucate dalle pecore e bruciate dai contadini attendevano l'acqua per rinverdire.
La pioggia arrivò durante la notte, d'improvviso.
Dopo cena, Marta, Rinaldo e io, seduti sulla stuoia nel loggiato avevamo seguito il lampeggiare dei fulmini in direzione del mare. Marta si turava le orecchie, per paura del tuono - un rotolare di cento ruote su stradone selciato: su carru de Nannai.
Avevo insegnato a Rinaldo a calcolare la distanza del fulmine, contando l'intervallo tra il lampo e il tuono. Quando il contare era lungo, restava deluso, "Oh, è lontano", e quando arrivava a contare appena due o tre si rallegrava. "Ah, questo sì che è caduto vicino."
Durante la notte la pioggia crepitò fragorosa sopra il tetto. Mi svegliai. Dalla cucina mi giunsero scalpiccii e sussurri di voci.
Ziu Erasmu bussò alla porta ed entrò. Indossava un mantello cerato col cappuccio e reggeva una lampada ad acetilene. Disse: "Viene a prendere lumache? Marta dice che lei ha piacere per queste cose."
La furia con cui balzai dal letto lo stupì. "Certo che mi fa piacere. In un minuto sono pronto."
In cucina, zia Gina mi diede il caffè. Marta mi fece indossare un vecchio cappotto, mi avvolse collo e faccia con una sciarpa mi calcò sulla testa un cappellaccio di feltro.
Rinaldo era anche lui della partita, anche lui pronto intabarrato.
"Fate buona caccia!" ci raggiunse dal loggiato la voce di Marta.
Pioveva ancora. Scendemmo per il vicolo verso la pianura.
"Le lumache escono con la pioggia da sotto i sassi e dalle siepi per pascolare," mi disse il ragazzo.
Imparai presto a riconoscerle tra erbe e stoppie, ai margini dei campi incolti. Ero felice di imparare da loro, di essere come loro, come ziu Erasmu e Rinaldo, per vivere il destino loro e di Marta.
Tutt'intorno la campagna era punteggiata da lumi - apparivano, ondeggiavano, scomparivano dietro i muri e le siepi, tra gli ulivi, e con lo scrosciare della pioggia si udivano a tratti voci di richiamo, esclamazioni giulive di uomini e di fanciulli.
Ziu Erasmu evitava di avvicinarsi agli altri lumi. Conosceva i terreni più ricchi di preda, ed era veloce e instancabile nel chinarsi a raccogliere. Scopriva lui le lumache più grosse, una specie di colore marrone scuro che chiamavano boboitanas o pettiazzus.
"Babbo si getta su quelle, lui, mica scemo!" Ammiccò Rinaldo, "Sono le migliori, si possono anche vendere ai mercanti forestieri."
Albeggiava, quando rientrammo. I piccoli dormivano ancora, tutti in un mucchio sulla stuoia grande vicino al camino. Le donne impastavano sopra il tavolo la semola e preparavano la ricotta per gli agnellotti del pranzo.
Posammo per terra sacchetti e cestini. Le donne si voltarono e guardarono compiaciute.
"Si è stancato? Ha preso molta acqua?" mi chiese preoccupata zia Gina.
"No, no, sto bene, sono contento, molto ...." risposi, guardando Marta.
"Ed è anche bravo, sapete! quasi quanto me, ne ha prese," disse Rinaldo.
Marta lasciò allora la pasta, si asciugò le mani e mi aiutò a togliermi di dosso il cappotto fradicio. "Su, levatevi la roba bagnata e sedetevi vicino al fuoco. Vi faccio subito caffè con pane abbrustolito."
Si udì la pioggia riprendere il suo tambureggiare.
"Oggi niente zappare," borbottò soddisfatto ziu Erasmu andandosene a dormire coi piedi caldi, "la giornata l'abbiamo guadagnata lo stesso."


S'ARAU DE LINNA
L'ARATRO DI LEGNO

"Prima dei trattori, non molto tempo fa, veniva usato l'aratro di legno, che era molto adatto per i nostri terreni, poco profondi specialmente in collina e negli altipiani. Era tirato dai buoi o dal cavallo.
I trattori, arando molto in profondità, arrogant totu, sfasciano tutto, e portano in superficie il terreno sterile e sa perda, i sassi. Bene, quella terra non dà più frutto come prima, se non è imbottita di concimi. Aicci sunt is contus! Così stanno le cose! Is meris furisteris, i padroni del continente, hant fattu custa trassa po si bendi trattoris e cuncimus. Ci hanno fatto lo scherzo di venderci i trattori per farci comprare i concimi. Giustizia ddus currat! Giustizia li perseguiti!
L'aratro antico era completamente in legno. Aveva di ferro solo il puntale, che si chiamava s'orbada, e si rinnovava facilmente quand'era consumato. Per fare il piede si usava maggiormente l'olivastro, che abbondava dappertutto; ma per l'asta, che arrivava in testa al giogo dei buoi, si usava anche s'olimu, l'olmo, che cresce nei luoghi umidi, è duro ma anche elastico. S'olimu si usava anche per fare su giuali, il giogo, quel piccolo trave che serve per collegare le corna dei buoi tra loro. Per fare su giuali andava bene anche un altro tipo di legna, che noi diciamo sulargia, che somiglia all'olivastro ma è più resistente ancora e più flessibile. Nella nostra zona, sui monti di Serpeddì, di questi alberi detti sulargia ce ne sono pochissimi, soltanto in due posti. Cresce grande come l'olmo e dà un frutto nero, come quello del lentischio, e la gente lo mangia anche....
Due anni fa sono andato sui monti di San Nicolò di Gerrei, lì ce ne sono ancora. Ne ho tagliato un tronco per farmi fare un calessino. L'ho portato a casa e ce l'ho lì in cortile, a stagionare per bene.... Anche queste specie di alberi antichi stanno scomparendo. Tutto sta scomparendo."
(Testimonianza. Dolianova, 1982)

TERRA E TRIGU A MOIS E A CUARRAS
TERRA E GRANO (SI MISURANO) A MOGGI E A STAIELLI

Nel mondo contadino le misure di superficie e di capacità hanno parimenti il litro come unità.
Partendo dalle più grandi, abbiamo: su moi (in talune zone detto anche su stariu, dal latino sextarius), lo staio, è pari a 4O litri. Indica un campo che ha la superficie di mq. 4.OOO; e indica anche il cilindro di metallo della capacità di 4O litri, per la misurazione del grano o d'altro. Unu moi de trigu, uno staio di grano, pesa circa 4O chili; ed è l'equivalente per seminare unu moi de terra, un campo vasto unu moi.
Poi, sa cuarra, che può tradursi con staiello, è esattamente la metà del primo, cioè 20 litri. Indica una superficie agraria di mq. 2000 e nel contempo il recipiente capace di contenere 20 litri e circa 20 chili di grano. Ugualmente, una cuarra de trigu è la quantità di grano necessaria a seminare una cuarra de terra.
Duus mois e una cuarra, due stai e uno staiello, cioè 100 litri, fanno un ettaro, che abbisogna quindi per la seminatura di un quintale di grano.
Altre misure minori sono: su quartu, il quarto, 1/4 dello staio, cioè 1O litri e 1.OOO metri quadrati; su quartucciu, il quartino, 1/8 di staio, cioè 5 litri e 5OO metri quadrati; su imbudu (misura sfalsata rispetto alle altre), l'imbuto, pari a 3 litri, non utile a misurare la terra; e infine l'unità di misura, su litru, un litro, anche questo non utile a misurare la terra.
Vigevano due modi di misurare in capacità: a cuccuru, a colmo, e a rasu, a spianata. Per misurare a rasu si usava una bacchetta di ferro detta s'arrasadori.
Il grano e gli altri cereali, e delle leguminose le lenticchie, vengono misurate a rasu; mentre le leguminose, fave, ceci, piselli e la frutta secca o fresca, come mandorle, noci, castagne, susine si misurano a cuccuru.

CIXIRI E TALLARINUS
CECI E TAGLIATELLE

L'alimentazione tradizionale del contadino è a base di cereali e leguminose. Questa che segue è l'alimentazione tipo di una famiglia media negli Anni Cinquanta.
Colazione del mattino. Per le donne e i bambini, caffè d'orzo dolcificato con zucchero di bietola o con miele, e una fetta di pane brustolato. Talvolta latte. Per gli uomini che vanno a lavorare in campagna, i resti del minestrone della cena, e una tazzina di caffè d'orzo e ceci, ben zuccherato.
Pranzo di mezzogiorno. Non è lecito cucinare mettere in tavola cibi in assenza del padrone di casa e degli altri maschi della famiglia che si sono trattenuti a lavorare in campagna. In casa, donne e bambini pranzano con pane e companatico, di solito seduti nel loggiato, senza apparecchiar tavolo. Con il pane si consumano normalmente olive, frutta fresca o secca (fichi secchi, uva passa, noci, mandorle) e verdure crude dell'orticello (che normalmente è situato dietro casa) o portate dagli uomini la sera prima al loro rientro dalla campagna (lau, mattuzzu, reiga, appiu, indivia, ambuazza, fenugu - cioè crescione, ravanelli, sedani, finocchi, indivia, eccetera). In campagna, contemporaneamente, gli uomini pranzano con pane, formaggio, lardo, salsicce - companatici più ricchi di calorie.
Cena, subito dopo il tramonto. E' l'unico pasto che la famiglia consuma in comune, subito dopo l'imbrunire, al rientro degli uomini dal lavoro di campagna. Durante il pomeriggio le donne hanno preparato la pasta per il minestrone, normalmente di due tipi: is tallarinus, fettuccine di semola impastata con o senza uova e zafferano, oppure sa fregula, sorta di grumi di semola non impastata, ottenuti facendo ruotare la semola sull'orlo levigato di una conca, su cui si spruzza dell'acqua. Già nel pentolone sopra il fuoco del camino cuociono i legumi: ceci o lenticchie o cicerculi o piselli o più raramente fagioli. Con i ceci si accompagnano, per simpatia, is tallarinus, le fettuccine, frantumate; con le lenticchie, sa fregua (o fregula). Il minestrone viene condito e insaporito con ciccioli, pezzi di cotenna, qualche pezzo d'osso salato di maiale, con aggiunta di cavoli o bietole. Talvolta, al minestrone della cena, seguono verdure e frutta fresca di stagione o anche castagne e frutta secca come fichi, uva, noci, mandorle. La cena è accompagnata da uno o più bicchieri di piricciolu, vinello, di proprietà familiare.

IS BOMBAS DE SA DOMINIGA
LE POLPETTE DELLA DOMENICA

Una volta la settimana, la domenica, il contadino mangia da signore. Il venerdì si macellava. Il sabato si esponevano le carni in sa panga o crannazzeria, la macelleria in piazza. La domenica si consumavano.
Il contadino, al quale quasi sempre mancavano i contanti per acquistare la carne da su crannazzeri, dal macellaio, tirava il collo a un galletto - secondo una graduatoria che privilegiava i più turbolenti, perturbatori dell'attività copulativa de su caboni de fedu, il gallo da monta.
Il pranzo tipo della domenica consisteva in un primo a base di gnocchetti al sugo, is malloreddus; di un secondo a base di carne, is bombas, polpette sferiche, di carne di maiale macinato con pezzetti di lardo, con prezzemolo e aglio, soffritte e poi cotte in salsa verde. Infine frutta e verdura.
Altro pranzo tipico della domenica era costituito dal bollito di pecora. Come primo il brodo, che si consumava sia con fette di pane brustolato che con sa fregula, la minestrina.
Come secondo, la carne bollita della pecora, accompagnata da molta aromatica verdura, quali sedani e ravanelli, e da buon vino nero.

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