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Capitolo terzo

DOGNASANTU - NOVEMBRE

In questo mese cadono due importanti ricorrenze: si apre con sa festa de is mortus, la festa dei morti, e si chiude con sa festa de su procu, la festa del maiale: la macellazione e la conservazione del maiale.
Inizia in campagna la semina del grano, dell'orzo, dell'avena e di alcune leguminose, fave e piselli precoci. Le donne hanno già scelto e preparato le sementi.
Nelle giornate morte, di troppa acqua o di troppo vento, specie se spira da levante, non si semina, e il contadino in casa traffica nel loggiato e sotto le tettoie del cortile. Fruga in mezzo a is carramazzinas, alle carabattole, per riparare e approntare is ainas, gli attrezzi da lavoro, zappe, aratro, finimenti. Quando non se la cava con i propri mezzi, va dal fabbro, dal falegname o dal ciabattino, per rifare il filo a una zappa, saldare un pezzo dell'aratro, allungare o rinforzare una bretella di cuoio.
Si raccolgono le melagrane, frutto tradizionale nella mensa di dognasantu. Rinomate le melagrane di Cabras, da cui anche il detto, un tantino astioso, rivolto a chi ride sguaiatamente: "S'arrisu de s'arenada 'e Cabras!", La risata della melagrana di Cabras!; che sottintende un secondo versetto, che suona:"Arrutta a terra e squartarada!", che cadendo per terra crepa. Sono tante le varietà di melagrana, frutto un tempo molto diffuso nel mondo contadino. Principalmente tre: sa durci, s'arga e s'arbaruci, la dolce, l'agra e l'agrodolce. Nella varietà dolce eccellevano quelle dai chicchi grossi color granata dal seme tenero, di cui Terralba aveva il primato. In quel paese, nel giorno dei morti, visitavo l'orto del vecchio zio Muntoni, quando ero bambino.
Si raccolgono anche le mele e le cotogne, che profumano a lungo tutto il soggiorno con il loro agreste profumo. I meli allignavano spontanei nella campagna collinosa aspra e se ne distinguevano diverse specie, tutte dal frutto piccolo, dolce, dalla polpa soda, profumatissime: mel' 'e appiu, mel' 'e ollu, mela 'era. Come le cotogne venivano legate per il picciolo con del filo di cotone, fino a formare dei grappoli - is appicconis - che facevano bella mostra appesi alle travi del loggiato. Le cotogne venivano consumate durante l'inverno, tagliate a spicchi e cotte in acqua zuccherata. Il loro sciroppo, bevuto ben caldo, era considerato un toccasana per il mal di gola. Più frequente l'uso di arrostirle nel forno, dopo la cottura del pane, o nelle braci del camino, dopo cena, durante le lunghe notti dell'inverno piovoso.
A metà novembre si stuppat sa carrada de su piricciolu, si inizia la botte del vinello. Il contadino muore dalla voglia di gustare il vino nuovo, per vedere "come è venuto quest'anno"; e talvolta non sta neppure ad aspettare il crisma di San Martino. Invita gli amici nella cantina - un vano in fondo alla tettoia, chiuso da un incannucciato - e insieme siedono sugli sgabelli facendo semicerchio attorno alla botte da inaugurare. All'altezza giusta si fora con sa berrina, la verrina, e il boccale si riempie allo zampillo - prontamente fermato da unu tupponeddu, uno zipolo. Poi la combriccola sta lì a bere tutta la sera, e ci si sta così bene che ci si dimentica della cena - se non fosse per le donne, che arrivano a portar pane e formaggio. E pani e casu bolint binu a rasu, pane e formaggio richiedono vino a bicchiere colmo. E' già notte fonda quando la compagnia attacca a cantare is battorinas - che non finiscono mai, perché ognuno deve rispondere, in versi improvvisati, cantati, rimati a ciò che ha cantato l'ultimo. A stento, a malincuore la compagnia si stacca dalla botte e si sposta prima nel cortile e poi in strada per gli ultimi addii, lunghi e commossi, prima di sciogliersi.

USANZIAS MORTUARIAS
Usanze mortuarie

“In su tempus passàu, is mortus arrìcus benianta interràus cun su baùllu de castangia afforràu, cun accumpangiamentu, a gruxi de prata e canta canta…; mentris is mortus pòberus benìant interraus senza de cascia de linna o baùllu, solamenti imboddiàus cun lenzoru de tela, cun accumpangiamentu cun sa gruxi de linna, cun pagus avemarìas.
Po su trasportu de su mortu pòberu de bidda a su campusantu si usada una cascia fissa a stangas e a pèis cumente mesa, cun covèccu mobili o movibili, non cravillàu, chi ddi narànta "sa littiga" o "sa lettièra".
Po sa zerimonia de costumanzia is personas chi accumpangiànta su mortu a su campusantu usànta ghettài una farrancàda de terra frisca a suba de su mortu o de sa cascia o baùllu, cun sa dispidìda abituali propiziadòra: "A ddu connòsci in sa Santa Gloria!".

(Da Giuseppe Dessi "Contus de forredda" - Fossataro, Cagliari 1964 - pagg. 33/34)

"Nei tempi andati, i morti ricchi venivano sepolti in una bara di castagno foderata, con accompagnamento solenne, croce d'argento e canti funebri; mentre i morti poveri venivano interrati senza bara, solamente avvolti in un sudario di tela, accompagnati con la croce di legno e poche Ave Marie.
Per il trasporto del morto povero dal paese al camposanto si usava un cassone-portantina con le stanghe ai due lati e con i piedi come un tavolo, con un coperchio mobile, che veniva chiamato "sa lettiera".
Secondo la cerimonia tradizionale, le persone che accompagnavano il morto in camposanto usavano gettare un pugno di terra fresca sopra il morto o sopra la bara, congedandosi con la rituale frase propiziatoria: "A ddu connosci in sa Santa Gloria!" (saperlo in Santa Gloria!)"

SA FESTA DE SU PROCU
La festa del maiale

Sa festa de su procu, la macellazione e conservazione del maiale familiare, inizia dopo Dognasantu, dopo i primi di novembre e si protrae fino a mesi de Idas, a dicembre. Comincia una famiglia, poi seguono tutte le altre della comunità, secondo un ordine stabilito dalla disponibilità di tempo de su boccidori, il macellatore e sovrintendente alla conservazione delle carni, dalla fase lunare, dal vento che spira, dal ciclo mestruale della padrona di casa, e infine dalle esigenze proprie di ciascuna famiglia.
Nel giorno stabilito, già dall'alba, tutta la famiglia, grandi e piccoli, è in piedi e in fermento. Il cortile viene riordinato e approntato: ramazzato l'acciottolato; arrimadas is carramazzinas, rimessi gli oggetti in disuso e le carabattole; il tavolo della cucina, stretto e lungo, viene sistemato in un lato. Sono già pronti gli utensili d'uso: i coltelli per affettar carni e lardo; sciveddas, scivedditas, pingiadas e prattus mannus, conche, conchette, pentole e piatti da portata, per raccogliere il sangue, le frattaglie, il fegato in particolare, e is fazzas, le animelle e le ghiandole, il cervello e altre parti che vengono distinte in recipienti diversi, e talune cucinate subito. E ancora, su codru, gli intestini, che ben pulito con acqua tiepida, aceto e foglie di limone diverrà il contenitore di su sartizzu, delle salsicce; a questo si aggiungono is mannadas: budella di vacca, acquistate tempo prima, per insaccare su sartizzu 'russu, il salame.
E' pronta anche la legna per abbruschinai su procu, abbruciacchiare le setole del maiale: quelle del dorso verranno rasate prima, conservate o vendute per ricavarne spazzole e pennelli, oppure regalate al ciabattino, su maistu de crapittas, che le userà per infilare lo spago impeciato. Sono d'uso per l'abbrustolimento le fascine di ciorixina, un arbusto nano arido filiforme che brucia consumandosi in una vampata. L'animale intero, appena dissanguato, viene completamente avvolto con fascine di ciorixina, cui si dà fuoco contemporaneamente da più parti.
Il maiale resta digiuno dal giorno innanzi, per ovvi motivi igienici, ma nei giorni precedenti è stato alimentato da signore, a base di cereali e legumi. Nelle sue ultime ore di vita, l'animale, cui le donne e i piccoli si sono affezionati, riceve particolari attenzioni e coccole: su procu si ddu pensat chi est accanta de s'accabai, è presago dell'imminente fine.
La piccola folla di uomini e donne che dovranno occuparsi di "far la festa" si assiepa nel cortile: ciascuno è pronto a svolgere un proprio compito. Ed ecco finalmente arrivare su boccidori, l'uccisore, l'esperto nella macellazione del maiale. Reca con sé un solo arnese, su 'orteddu 'e pungi, il coltello puntuto, che avvolto in un pannolino depone sopra il tavolo. Viene accolto con un buon bicchiere di vino bianco e si scambiano con lui poche parole d'occasione. Quindi si fa silenzio. L'esecuzione ha inizio.
I bambini, ai margini, seguono lo spettacolo con occhi rotondi: curiosità e angoscia, davanti alla morte.
Alcuni uomini, anche quattro o cinque secondo la mole dell'animale, tengono ben fermo la vittima sull'acciottolato, mentre su boccidori lo sgozza. Immediatamente il maiale viene issato sopra il tavolo inclinato, con la testa e il collo penzoloni, affinché tutto il suo sangue fluisca dentro la conca, che due donne si sono affrettate a parare; e mentre una tiene fermo il recipiente, l'altra immerge una mano nel sangue e lo rimesta perché non si raggrumi. Quindi, prontamente il sangue viene trasferito nella cucina, dove, nella stessa conca, viene insaporito con zucchero, cannella, anice, noce moscata, uva passa e mandorle o noci tritate (altrove, più parchi, mettono il sale e basta). Più tardi, la sera, le donne insaccheranno il sangue in buddas, budella di vitella, a mo' di salami corti, che verranno infine bolliti e conservati tra rametti di finocchio selvatico per essere mangiati nei giorni di festa. Il sangue così confezionato veniva chiamato buddedda, sanguinaccio.
Dopo abbruschinau, (più che abbrustolito depilato alla fiamma), il "morto" viene raschiato e lavato scrupolosamente. Qualcuno degli inservienti ha scalzato gli unghielli per distribuirli ai bambini, i quali devono lanciarseli alle spalle per acquistarsi buona sorte e tenere lontana la morte. Qualcun altro taglia le estremità della coda e delle orecchie che vengono ugualmente distribuite ai piccoli, un pezzetto a ciascuno, perché se le rosicchino.
La sventratura è impegnativa: da una parte i visceri e da un'altra le frattaglie. Questa operazione è diretta da su boccidori, il quale controlla lo stato di salute del "morto", in particolare se ci sono focolai di echinococcosi. Spetta allo stesso boccidori un pezzo di fegato, che egli mangia crudo, ancora caldo.
Infine, tagliato in due parti, lungo la spina dorsale, il maiale viene appeso dentro casa, nel solaio oppure nel loggiato, in luogo fresco e ventilato, ricoperto di tela di lino o di cotone, affinché stiridi, asciughi. Il giorno dopo verrà sezionato, con la presenza dello stesso boccidori o di altro esperto, che ha il compito di separare e dividere il tutto in parti omogenee, rispetto all'uso che di ciascuna parte si dovrà farne: carne da salsicce, carne da salare, carne da consumare fresca, carne per is presentis, le donazioni ai vicini di casa e ai parenti, il lardo da salare, il grasso da far lo strutto e is gerdas, i ciccioli, con cui confezionare su pan''e gerdas, il pane grasso, almeno un prosciutto, la pancetta da salare, sa mustela, la coppa; e ancora la testa e le parti cartilaginose da bollire per farne "testa in cassetta", secondo una recente usanza; e via via tutti gli ossi dello scheletro, suddivisi secondo la pezzatura, da salare e conservare per condire e insaporire i minestroni di legume secco: squisite le lenticchie, ma i fagioli non sono da meno, e neppure i ceci, specialmente se l'osso non è stato spolpato troppo coscienziosamente. E se la massaia avverte il boccidori: "Non di ddi lassit troppu de pezza a cussus ossus!" (Non lasci troppa carne a quegli ossi!), questi risponde: "Aicci pappais tottu sartizzu e nudda fasolu!" (così mangerete molta salsiccia e niente fagioli!).
La sera, dopo lauta cena, davanti al camino, si ripete per i bambini la filastrocca delle cinque dita. Indicandoli uno dopo l'altro a partire dal pollice per finire con il mignolo, si recita:
"Custu est su procu / custu d'hat mortu / custu d'hat abbruschinau / custu si dd'hat pappau / e a custu chi hat scoviau / non di dd'hant lassau!"
(Questo è il maiale / questo l'ha ucciso / questo l'ha abbrustolito / questo se l'è mangiato / e a questo che ha fatto la spia / non gliene hanno lasciato!)

SU PRESENTI
La donazione

In occasione di sa festa de su procu, la festa del maiale, una discreta parte dell'animale macellato viene distribuita, in forma di dono, ad altre famiglie della comunità, che non hanno ancora, o hanno già, macellato il loro maiale o che non ne possiedono. In quest'ultimo caso, chi lo riceve non è tenuto a ddu torrai, a restituirlo.
Su presenti, la donazione, consiste in un insieme di pezzi d'assaggio delle varie parti dell'animale, fino alla capienza di un piatto fondo da cucina, costituito per lo più in carne, fegato e buddedda, sanguinaccio.
Su presenti viene anche detto su prattu torrau, il piatto restituito, poiché normalmente chi lo riceve a sua volta lo restituisce, quando ammazza il proprio maiale. Avviene così che per buona parte di novembre, e anche oltre, le famiglie della comunità mangiano quasi quotidianamente carne di maiale fresca - che giova, dopo l'alimentazione di fine estate a base di uva, fichi e fichidindia.
Su presenti viene di norma recato a casa del beneficiario all'imbrunire, da fanciulli, in un piatto avvolto in un tovagliolo di bucato. I portatori, con i ringraziamenti d'uso ricevono anche qualche monetina, con la frase rituale: A si ddu torrai nosus! A noi restituirlo!
La locuzione "su prattu torrau", il piatto restituito, sta anche a significare "la doverosa restituzione di una offesa ricevuta". In tal caso, su prattu torrau va restituito a pesu bonu, a buon peso, cioè con l'aggiunta, per non restare in debito. Ciò vale nei rapporti di marca colonialistica del Continente con la Sardegna, dove molti sono i piatti che i Sardi devono ancora restituire. Ma a pagai e a morri c'est sempiri tempus. Per pagare e per morire c'è sempre tempo.

S'ANIMA DE SU PURGADORIU
Contu

Narant chi seu morta de mal' 'e sanguni, ma non est berus: si mi 'essint portau luegu de zia Crabiou forzis mi happessi sarvada, ca seu morta de azzicchidu.
Su fattu m'est sutzediu in s'ottoniu de is olias, torrendi de is bingias. Fiat s'ora chi scurigat e deu totu prexerosa, cun d'unu scarteddu de axina, fia torrendi facci a bidda, cand'eccu tot' in d'unu intendu passus sighendimì.
Non seu femina timorosa e no happu penzau a su mali, ca in su sartu nostu, grazias a Deus, de cussa genti non ci 'n d'est. Mi seu penzada chi fessit genti de bidda fadendi su matessi camminu, e mi seu firmada po mi fai sodigai... Mi giru e dda biu, firma a palas mias, cun d'una crobi manna in conca: fiat zia Pepparrosa, parenti arriolesa de Sarbadoricca. Fia unu scant'annus senza de dda biri, ma dd'happu arreconnota luegu.
"A bidda nosta est tocchendi, zia Pepparrosa?", dd'happu pregontada.
E issa, senza de bogai boxi, m'hat fattu accinnu de sì cun sa conca. Sa cara portat trista, cumenti chi sunfrissit dolori mannu. No happu insistiu, e in pari si seus incarreladas, deu a innanti e issa avatu.
Lompias chi seus appizzus de su cuccuru de sa 'ia, an ca cumenzat sa cresura de prunixedda, zia Pepparrosa m'est parria stracca meda. Dd'happu nau:
"Lessit chi dd'aggiudi a si 'n di cabai pagu pagu sa crobi de conca, ca parrit grai, parrit."
E issa, castiendimì cun oghidura strania, cun d'una boxi mujada chi parriat bessia de sutta de terra, m'hat nau:
"Mancai fessit, filla mia bella, chi mi podessisti alliggerì de custu pesu mannu..."
"Cun prexeri, zia Pepparrosa - dd'happu nau - lessimidda portai a mei po unu arroghixeddu de biasci; in su mentris vusteti si pausat pagu pagu..."
Aici heus fattu: 'n di dd'happu liau sa crobi e mi dd'happu attuada in conca ...Gesugristu miu gloriosu! Aturu che grai fiat! Parriat plena de perda, parriat.
Totu scianca scianca e sulendi che una pibera, e issa avatu, seus arribadas accant' 'e is primas domus. Innì zia Pepparrosa s'est firmada; e in su mentris fia attuendiddi sa crobi, castiendimì riconoscenti m'hat nau:
"Deus ti ddu paghit, filla mia bella! Tui non ddu scis sa grazia chi m'has fattu portendi po mei custu pesu: dogna minutu de 'ia, tui m'has resparmiau cent'annus de Purgadoriu!"
Cumenti hat finiu de fueddai s'est girada po s'incarrelai, e insaras dd'happu bista ... de palas ... Portaiat in sa schina unu tuvoni mannu plenu de fogu teni teni... Mi seu fuida zerriendi: "Aggitoriu, aggitoriu! ... Gesùgristu miu aggiudaimì! ..." Scarteddu e totu happu lassau, currendi che una macca, ghettendi zerrius, finzas a chi seu lompia a domu, e mi seu arrutta...

L'ANIMA DEL PURGATORIO
Racconto

Dicono che sono morta di dissenteria, ma non è vero: se mi avessero portata subito da zia Crabiou forse mi sarei salvata, perché io sono morta di spavento.
Il fatto mi è accaduto nel viottolo degli oliveti, tornando dalle vigne. Era l'ora in cui comincia a imbrunire e io felice e contenta con il cestino dell'uva me ne tornavo in paese, quando a un tratto sento dei passi dietro di me.
Non sono donna paurosa e non ho pensato ad alcunché di male, perché nelle nostre campagne, grazie a Dio, gente cattiva non ce n'è. Ho pensato che doveva essere uno del paese che stesse facendo la mia stessa strada, e mi sono fermata per farmi raggiungere... Voltandomi, l'ho vista ferma alle mie spalle, con una grande corbula in testa: era zia Pepparosa, una parente riolese di Salvadorica. Ero diversi anni senza vederla, ma l'ho riconosciuta subito.
"Sta andando verso il nostro paese, zia Pepparosa?" le ho chiesto.
E lei senza aprir bocca mi ha fatto cenno di sì con il capo. Aveva una espressione triste, come se patisse per un grande dolore. Io non ho insistito, e insieme ci siamo avviate, io davanti e lei dietro.
Quando siamo arrivate sul dosso della strada, dove inizia la siepe di pruno selvatico, zia Pepparosa mi è sembrata molto stanca. Le ho detto:
"Lasci che l'aiuti un pochino a liberarsi la testa dalla corbula, che sembra pesante, sembra."
E lei, guardandomi con occhi strani, con una voce sussurrata che sembrava venisse da sotto terra, mi ha detto:
"Magari fosse, figlia mia bella, che mi potessi alleggerire di questo grande peso..."
"Con piacere, zia Pepparosa - le ho detto - me la lasci portare per un tratto di strada; intanto lei si riposa un pochino ..."
Così abbiamo fatto: le ho preso la corbula e me la sono caricata sulla testa... Gesù Cristo mio glorioso! Altro che se era pesante! Pareva fosse piena di pietre, pareva.
Arrancando e sudando con lei dietro, siamo arrivate vicino alle prime case. In quel punto zia Pepparosa si è fermata; e intanto che l'aiutavo a ricaricarsi la corbula in testa, guardandomi riconoscente, mi ha detto:
"Dio te ne renda merito, figlia mia bella! Tu non sai quale grazia mi hai fatto, portando per me questo peso: ogni minuto di strada, tu mi hai risparmiato cento anni di Purgatorio!"
Come ha finito di parlare si è girata per avviarsi, e allora l'ho vista ... di dietro... Aveva la schiena cava piena di fuoco ardente... Sono fuggita urlando: "Aiuto, aiuto! ... Gesù Cristo mio aiutatemi! "... Cestino e tutto quanto ho lasciato, correndo come una matta, urlando, fin che sono arrivata a casa, e ho perso i sensi...

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